La candidatura di Alberto Bagnai nelle fila della Lega di Matteo Salvini
va definita per come è: una scelta infame. E’ infame perché porta, o
cerca di portare, consenso a un partito parafascista e perché pretende
di perpetuare il solito giochino politico: illudere che, con
qualche scelta mitizzata come chissà quale mossa del cavallo, si possano
promuovere politiche di sinistra dal campo della destra.
La politica e la politica economica non
sono però manovrabili da quella partita doppia che sta alla base delle
discipline contabili: se da sinistra si possono, e si sono viste, fare
politiche economiche di destra, da destra non si possono, e non si sono
mai viste, fare politiche economiche di sinistra.
Anche il concetto di “interesse nazionale” evocato da Bagnai per legittimare la propria candidatura – in un partito che fino a ieri ha stentato a riconoscere persino
l’esistenza dell’Italia, è maggiormente radicato al Nord e ha vinto
referendum che intendono trattenere le tasse di Lombardia e Veneto in
quelle regioni – francamente appare qualcosa di pasticciato, confuso e bizzarro. Senza nominare gli alleati di Salvini oggi – Berlusconi che va a Davos per rassicurare il capitale globalista delle scelte dell’Italia. Oppure di quelli che potrebbero esserlo, come il Movimento 5 stelle. Un
movimento in piena confusione dove un giorno si parla di politiche alla
Trump, un altro di ripristino dell’articolo 18, un altro ancora di
superamento del concetto stesso di Pil cioè di due cose che
fanno drammaticamente a pugni con le politiche di Trump (per non parlare
del fatto che Bagnai ha più volte definito il M5S “asservito al
progetto neoliberista” si veda qui). Per non parlare degli alleati di sempre della Lega, Fratelli d’Italia della Meloni, pronti a smantellare tutto ciò che è “di sinistra” una volta al governo.
Siamo di fronte a un nuovo Bombacci?
Per chi non avesse seguito la vicenda storica del personaggio, Bombacci
fu socialista, segretario della camera del lavoro di Modena, tra i
fondatori di spicco del Partito Comunista d’Italia nel ’21. Aderì alla
repubblica di Salò, di cui ne evidenziava i caratteri di “sinistra”,
finì fucilato insieme a Pavolini, al grido di “viva il socialismo”, ed
esposto a testa in giù a piazzale Loreto assieme a Mussolini, la Petacci
ed altri noti gerarchi.
Ora intendiamoci, Bagnai non è Bombacci. La
sua scelta, infame perchè favorisce destre regressive, non va liquidata
con il semplice giudizio negativo sul passaggio di campo.
Siamo di fronte infatti a un autore vero, nato nel campo della
sinistra, che, come nessuno in questi anni, è riuscito a spiegare che
l’euro esiste per impoverire i salari, deindustrializzare i paesi più
deboli, privatizzarne (dall’estero) i beni e valorizzare i capitali.
Bagnai in questi anni, a partire dall’orribile 2011, ha fatto attività
di vera e propria innovazione scientifica su questi temi, divulgazione e
disseminazione di ottima qualità. E, non è qui il terreno per essere
critici, ha avuto sostanzialmente ragione: l’euro è nato per
impoverire il lavoro e valorizzare i capitali, per deindustrializzare i
paesi periferici (tra cui il nostro), per favorire la tenuta dei
capitali a detrimento delle economie territoriali.
C’è stato
però un problema: la teoria, non quella in senso astratto ma quella in
grado di capire il mondo, nel momento in cui sa di essere vincente cerca
sempre una sponda politica. E qui, nonostante molte premesse
favorevoli, la sponda politica per Bagnai si è sempre mostrata a destra. Perchè? Diciamo che per i tipi di sinistre presenti sul campo nonostante l’ora della ricreazione sia suonata da tempo non hanno, come colui che è in preda a droghe che rallentano fortemente la percezione, ancora avvertito il suono della campanella.
Quindi Bagnai era troppo, una provocazione,
per la sinistra istituzionale, quella che si mette sull’attenti quando
parla Draghi. Ma era troppo anche per la sinistra che ha bisogno solo di
qualcuno che reciti bene la lista dei diritti violati e da
ripristinare. Lasciando perdere la sinistra istituzionale, che
ha promosso politiche di destra ben prima del taglio della scala mobile
seguito allo choc valutario del 1992, nessuna sinistra, diciamo,
radicale è davvero riuscita a dialogare con Bagnai. Perché oggi il
rapporto tra teoria e politica è troppo simmetrico, causa la scarsità di
istituzioni politiche che la contengono. O la teoria legittima
direttamente una politica, dicendo meccanicamente “cosa fare”, oppure
viene rigettata tra equivoci, incomprensioni, accuse. Saper far rimanere
una teoria allo stato puro, assieme al suo autore, magari favorendo
qualche interpretazione e realizzazione del suo pensiero meno
dirompente, senza far uscire l’autore dal campo della sinistra, fa parte
di un know-how di politica culturale oggi quasi del tutto scomparso.
E così Bagnai che, a suo modo, ha impattato
come una supernova sulla superficie della sinistra, di ogni tipo, ha
finito semplicemente per rimbalzarci. Nell’ostilità della
sinistra istituzionale e nell’incapacità di quella non istituzionale di
dialogare con questo autore per costruire le fondamenta di politiche
economiche rivolte ad un modello nuovo, necessariamente almeno
postcapitalista. E nel frattempo, mentre Bagnai è atterrato a
destra, dopo 10 anni di crisi non si intravedono modelli di uscita da
sinistra di una economia, quella ostaggio del primato della finanza,
che ha mostrato tutti i suoi gravi limiti. E, sempre nel frattempo,
Bagnai, a ragione su questo piano, non si è risparmiato certo le accuse
di tradimento della sinistra rispetto agli interessi dei ceti
subalterni.
Tradimento, in effetti, è una parola utile se si
ricorda che ciò che è rimasto della sinistra istituzionale è figlio di
gente come Trentin che ai convegni del Cespe (il centro studi
economici del PCI) andava letteralmente urlando che le vere lotte della
classe operaia erano quelle per “i sacrifici” (sic). E che il calore con il quale l’economista liberista Modigliani, un santone dell’austerità (per i lavoratori)
veniva accolto dallo stesso Cespe (sempre quando era il sancta
sanctorum economico del PCI). Sono cose che dovrebbero far capire molto
non solo del mondo di ieri ma anche quello di domani. Eppure non sono
cose che fanno passare a destra. Perché passare ad una destra che è
egemonica rispetto alla sinistra non porta certo a promuovere politiche
di sinistra. Elementare, Watson.
Il modo con cui Bagnai usa il concetto di
“interesse nazionale” è qualcosa che sta tra il romanticismo politico e
un malinteso utilitarismo. L’idea che nel “nazionale”, ci sia
sempre qualcosa che richiami a una certa cura delle condizioni sociali
dei ceti subalterni dovrebbe essere superata da tempo. Senza una forza
politica di questi ceti subalterni niente garantisce che questo avvenga.
E questo non è certo ciò che la destra, a cui Bagnai si è alleato,
vuole. Ecco il cerchio magico in cui è finito un economista importante,
brillante, utile a sinistra: invoca l’interesse nazionale che, con la
destra che ha scelto come partner politico, non è garanzia di tenuta
sociale.
Certo la sinistra oggi è economia morale e non un modello di economia reale tanto più necessario quando si pensa di uscire da finanza globale, vincoli esterni. Passare a un campo parafascista è pero’ infame, specie se porta persone a destra in un momento critico come questo.
Per quanto la sinistra, nelle sue tante variazioni, sia di fatto
qualcosa oggi di destra, passare a destra non porterà a realizzare
nessuna politica di sinistra. Quando le forze economiche guardano a
destra è della diseguaglianza della distribuzione delle risorse che
hanno bisogno. Il resto è decorazione.
Redazione, 26 gennaio 2018
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