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19/01/2018

Siria - Non solo Afrin, la Turchia punta anche su Manbij

Il botta e risposta tra i vari attori coinvolti nel nord della Siria fa da sfondo alla tensione bellica che avvolge l’ovest della curda Rojava. Ieri il ministro degli esteri turco Cavusoglu ha ribadito quanto detto in questi giorni dal presidente Erdogan e soprattutto quanto visto al confine tra Turchia e Siria, il dispiegamento di numerosi carri armati e batterie di artiglieria.
 
La Turchia, ha detto ieri alla Cnn Turk, interverrà ad Afrin e a Manbij contro la minaccia rappresentata dalle unità di difesa popolari curde, le Ypg perché le rassicurazioni statunitensi ad Ankara non bastano. Parole che svelano gli obiettivi chiarissimi da un anno e mezzo, da quando l’esercito turco entrò nel nord della Siria, nell’agosto 2016: distruggere il progetto di unificazione dei cantoni curdi di Afrin, Kobane e Jazira ma anche la loro base ideologica di cui Manbij – non certo citata a caso – è una delle espressioni. Liberata dall’occupazione islamista dell’Isis con la partecipazione delle varie comunità etniche e religiose siriane, ha rappresentato la sconfitta del monolito pensiero unico islamista ma anche i piani di un paese, la Turchia, che immagina come soluzione della crisi la divisione etnica e confessionale della Siria.

E  l’attacco è partito ieri: una settantina di missili sono stati lanciati nella zona di confine verso Afrin. La denuncia è delle Ypg, confermata da giornalisti della Reuters e dallo stesso ministro della Difesa turco, Nurettin Canikli: “L’operazione è de facto iniziata con missili oltre il confine. Quando dico de facto, non voglio essere frainteso, è iniziato senza varcare il confine”.

L’annuncio da parte della coalizione a guida Usa di voler formare un esercito di 30mila uomini nel corridoio settentrionale siriano ha dato il là alle minacce turche, che già si erano concretizzate negli ultimi 18 mesi in attacchi sporadici contro le postazioni delle Ypg e delle Forze Democratiche Siriane. A nulla è valsa la giustificazione statunitense, tipica di un’amministrazione molto poco consapevole delle mosse da fare: la creazione dell’Esercito del Nord è stata interpretata male, ha detto due giorni fa il segretario di Stato Usa Tillerson. Seguendo la linea di Washington che aveva già mandato a dire alle Ypg che non sarebbe intervenuta ad Afrin perché lì l’Isis non c’è.

Gli Stati Uniti sono comunque consapevoli del pericolo di aprire un nuovo fronte a nord, in particolare nell’ovest, a poca distanza da Idlib, la provincia siriana in mano a qaedisti e islamisti, un bubbone jihadista la cui esplosione provocherà – lo si vede già da giorni, con la fuga di 100mila civili – bagni di sangue e nuova instabilità. Ieri il Dipartimento di Stato ha invitato la Turchia a non prendere iniziative contro il cantone di Afrin e di concentrarsi sul nemico Isis, come se quest'ultimo fosse stato sempre un avversario per il governo di Ankara.

In qualche modo una risposta all’appello lanciato dal partito curdo-siriano Pyd che mercoledì ha chiesto al mondo di evitare l’attacco turco contro una regione che conta un milione di abitanti e una città, Afrin, che ne conta 500mila di cui la metà sfollati da altre zone della Siria.

Ieri Afrin è scesa in piazza, migliaia di persone in marcia sotto la pioggia per mostrare la loro intenzione di resistere alle minacce turche: Afrin sarà il cimitero di Erdogan, avvertivano i manifestanti sventolando le bandiere delle Ypg e quelle con il volto del leader del Pkk, Abdullah Ocalan. I manifestanti hanno raccontato il desiderio di salvaguardare la rivoluzione in corso a Rojava, il suo obiettivo politico e inclusivo, certi che non saranno solo i curdi a mobilitarsi. Ci nasconderemo nelle grotte, dicevano ieri, e difenderemo la città dagli attacchi dell’esercito turco.

Da parte sua il governo di Damasco promette di reagire e abbattere ogni caccia turco che oserà violare lo spazio aereo siriano. La Russia media dietro le quinte, gli Stati Uniti lanciano dichiarazioni contradditorie. Rojava è sempre più sola.

Fonte

Cane pazzo Erdogan colpisce ancora  illuminando a giorno la pochezza della strategia americana e ponendo una seria ipoteca anche a quella russa.

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