Il botta e risposta tra i vari attori coinvolti nel nord della Siria
fa da sfondo alla tensione bellica che avvolge l’ovest della curda
Rojava. Ieri il ministro degli esteri turco Cavusoglu ha ribadito quanto
detto in questi giorni dal presidente Erdogan e soprattutto quanto
visto al confine tra Turchia e Siria, il dispiegamento di numerosi carri
armati e batterie di artiglieria.
La Turchia, ha detto ieri alla Cnn Turk, interverrà
ad Afrin e a Manbij contro la minaccia rappresentata dalle unità di
difesa popolari curde, le Ypg perché le rassicurazioni statunitensi ad
Ankara non bastano. Parole che svelano gli obiettivi
chiarissimi da un anno e mezzo, da quando l’esercito turco entrò nel
nord della Siria, nell’agosto 2016: distruggere il progetto di
unificazione dei cantoni curdi di Afrin, Kobane e Jazira ma anche la
loro base ideologica di cui Manbij – non certo citata a caso – è una
delle espressioni. Liberata dall’occupazione islamista dell’Isis con la partecipazione delle varie comunità etniche e religiose siriane, ha
rappresentato la sconfitta del monolito pensiero unico islamista ma
anche i piani di un paese, la Turchia, che immagina come soluzione della
crisi la divisione etnica e confessionale della Siria.
E l’attacco è partito ieri: una settantina di missili sono stati
lanciati nella zona di confine verso Afrin. La denuncia è delle Ypg,
confermata da giornalisti della Reuters e dallo stesso ministro della Difesa turco, Nurettin Canikli:
“L’operazione è de facto iniziata con missili oltre il confine. Quando
dico de facto, non voglio essere frainteso, è iniziato senza varcare il
confine”.
L’annuncio da parte della coalizione a guida Usa di voler formare un
esercito di 30mila uomini nel corridoio settentrionale siriano ha dato
il là alle minacce turche, che già si erano concretizzate negli ultimi
18 mesi in attacchi sporadici contro le postazioni delle Ypg e delle
Forze Democratiche Siriane. A nulla è valsa la giustificazione
statunitense, tipica di un’amministrazione molto poco consapevole delle
mosse da fare: la creazione dell’Esercito del Nord è stata interpretata
male, ha detto due giorni fa il segretario di Stato Usa Tillerson.
Seguendo la linea di Washington che aveva già mandato a dire alle Ypg
che non sarebbe intervenuta ad Afrin perché lì l’Isis non c’è.
Gli Stati Uniti sono comunque consapevoli del pericolo di
aprire un nuovo fronte a nord, in particolare nell’ovest, a poca
distanza da Idlib, la provincia siriana in mano a qaedisti e
islamisti, un bubbone jihadista la cui esplosione provocherà – lo si
vede già da giorni, con la fuga di 100mila civili – bagni di sangue e
nuova instabilità. Ieri il Dipartimento di Stato ha invitato la Turchia a non prendere iniziative contro il cantone di Afrin e di concentrarsi sul nemico Isis, come se quest'ultimo fosse stato sempre un avversario per il governo di Ankara.
In qualche modo una risposta all’appello lanciato dal partito
curdo-siriano Pyd che mercoledì ha chiesto al mondo di evitare
l’attacco turco contro una regione che conta un milione di abitanti e
una città, Afrin, che ne conta 500mila di cui la metà sfollati da altre zone della Siria.
Ieri Afrin è scesa in piazza, migliaia di persone in marcia
sotto la pioggia per mostrare la loro intenzione di resistere alle
minacce turche: Afrin sarà il cimitero di Erdogan, avvertivano i
manifestanti sventolando le bandiere delle Ypg e quelle con il volto del
leader del Pkk, Abdullah Ocalan. I manifestanti hanno
raccontato il desiderio di salvaguardare la rivoluzione in corso a
Rojava, il suo obiettivo politico e inclusivo, certi che non saranno
solo i curdi a mobilitarsi. Ci nasconderemo nelle grotte, dicevano ieri,
e difenderemo la città dagli attacchi dell’esercito turco.
Da parte sua il governo di Damasco promette di reagire e abbattere
ogni caccia turco che oserà violare lo spazio aereo siriano. La Russia
media dietro le quinte, gli Stati Uniti lanciano dichiarazioni
contradditorie. Rojava è sempre più sola.
Fonte
Cane pazzo Erdogan colpisce ancora illuminando a giorno la pochezza della strategia americana e ponendo una seria ipoteca anche a quella russa.
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