Il Missouri non è ancora Midwest, dove solitamente trova luogo
l’immaginario dell’America profonda. Non è neanche il sud nostalgico e
xenofobo che fa da sfondo al cinema antirazzista. Distante dal New
England, ripudiò a suo tempo i vicini confederati scegliendo l’Unione
nordista, pur mantenendo la schiavitù fino al termine della guerra, nel
1865. Ha tutte le caratteristiche per essere terra di frontiera,
crocevia tra le diverse pulsioni che attraversano gli Stati Uniti. Luogo
perfetto, dunque, per raccontare l’odierna società nordamericana, o
quantomeno una sua parte rilevante. Uno Stato poco definibile, così come
poco inquadrabile appare questo film di Martin McDonagh, incrocio –
anch’esso – di più generi: commedia, dramma, film di denuncia. Una di
quelle opere che sanno dare dignità al post-moderno. Forse per questo,
forse per la presenza di Frances McDormand, tutto di questo film ricorda
i fratelli Coen. Paragone impegnativo e probabilmente ricercato, ma che
McDonagh regge benissimo.
Nella cittadina di Ebbing una madre (McDormand) cerca di sapere chi
le ha ucciso la figlia. Una figlia prima stuprata e successivamente
bruciata viva. Un crimine orrendo, a cui però la polizia locale non solo
non sa dare risposta, ma neanche sembra troppo interessata a cercarla.
Ecco allora che Mildred Hayes (il nome della madre) affitta tre grandi
cartelloni pubblicitari, scrivendo su di essi quelle domande che non
riesce a fare alle autorità locali. L’evento scuote la sonnolenta
cittadina, ma nella direzione contraria a quanto sperato: gli abitanti
solidarizzano con la polizia.
La ricerca della verità non idealizza nessun personaggio. Al
contrario, ribaltando completamente stereotipi e schemi narrativi
consolidati, la figura con cui si dovrebbe simpatizzare, ovviamente la
madre ancora traumatizzata e in lotta per una qualche forma di
giustizia, appare in tutte le debolezze, i limiti e le ristrettezze
mentali del cittadino medio di questa America mediocre e alienata. La
polizia è invece il rifugio d’ogni razzismo, stracolma d’ignoranza Wasp,
eppure anche in questo caso lo schema viene travolto da un più capace
racconto della realtà. L’ignoranza bianca di questa America profonda è,
in qualche modo, incolpevole. Ciascuno è vittima del proprio ruolo e del
suo contesto, ma se questo cambia, possono cambiare anche le persone.
Non è la stantia riproposizione della polizia in fondo buona, siamo
davvero distanti dal cliché qui. Siamo di fronte a una consapevolezza
della realtà che scava in profondità, forse schematizzando troppo i
processi psicologici, ma più utile alla comprensione della società
americana dove ignoranza e razzismo celano una disperazione umana che
sfoga in qualche feticcio culturale il suo squilibrio.
La madre è la protagonista indiscussa, ma non l’eroina di una storia
impossibile. Non c’è niente di eroico nell’impotenza di una persona in
cerca di verità, ed è per questo che la sua figura non trascende i
confini della realtà. Le sue relazioni private (con il figlio, con l’ex
marito, con altri cittadini di Ebbing), così come le relazioni umane
degli agenti di polizia (con le proprie madri, con le proprie mogli),
tutto contribuisce a dischiuderci la realtà di un mondo perverso ma non
per questo senza speranza.
Il linguaggio è espressione del miglior cinema post-moderno. La
commedia, dura, volgare, impietosa, procede dentro un dramma che
racconta i limiti della vendetta. Il tutto contribuisce al grottesco
entro cui prendono forma le relazioni tra i vari personaggi. Però, a
differenza del post-moderno classico, in questo caso non c’è
dissacrazione né ignavia. La comicità non stempera l’oggetto della
narrazione, cioè la ricerca della verità e la legittimità della
vendetta. E’ parte integrante di un linguaggio sociale, di rapporti
pervertiti che richiedono una via di fuga per resistere entro l’ordine
sociale. Senza distensione, senza derisione di sé, il marcio della
società americana sfocerebbe rapidamente in un’altra guerra civile,
visto lo sbrindellamento complessivo dei rapporti umani.
Qualcuno ha detto che il film rappresenta bene “l’America di Trump”.
Non c’entra niente Trump qui. E’ un’America immobile ed eterna ad essere
raccontata, dove l’unico tempo pensabile è il presente, senza alcuna
possibile via di fuga che non sfoci nell’alcol, nella droga, nel vizio,
nel razzismo, nella difesa di un presente che è solo sofferenza, ma che è
anche capace di rassicurare i più deboli. Insieme a Get Out – Scappa, è
il film hollywoodiano dell’anno, e si avvale anche di una straordinaria
– l’ennesima – interpretazione di Frances McDormand, già Oscar in Fargo, altro film a cui McDonagh appare debitore.
Fonte
Nessun commento:
Posta un commento