di Chiara Cruciati
Le notizie che arrivano dalla Penisola del Sinai sono poche. Dal lancio dell’operazione “Sinai 2018”,
iniziata il 9 febbraio scorso con la partecipazione di esercito e
polizia, l’area è chiusa e le informazioni che escono sono quelle
fornite dal Cairo.
Il 18 aprile un alto comandante dello Stato Islamico è morto: Nasser
Abu Zukul, “emiro dell’Isis nel Sinai centrale, dopo un duro scontro a
fuoco”, è stato ucciso, ha fatto sapere l’esercito egiziano. Pochi giorni
prima l’Isis aveva compiuto un attacco contro una base militare, uccidendo almeno otto soldati e ferendone 14. Uccisi anche 14 miliziani mentre tentavano di infiltrarsi nella base.
Negli stessi giorni il governo egiziano annunciava
l’investimento di 15,6 miliardi di dollari per lo sviluppo della
Penisola del Sinai e lo sradicamento del terrorismo, nel corso di
quattro anni: “Gli sforzi di controterrorismo non mostreranno i
loro frutti fino a quando non si accompagneranno a uno sviluppo
comprensivo – ha detto il 15 aprile il primo ministro Ismail al
parlamento egiziano – Sulla base di ciò, un programma nazionale è stato
lanciato per lo sviluppo del Sinai con un finanziamento iniziale di 275
miliardi di sterline egiziane per quattro anni”.
Ai parlamentari, poi, Ismail ha fornito i numeri di “Sinai 2018”: 200
terroristi uccisi da febbraio, 22 perdite tra i soldati. Difficile
verificare vista l’assenza di giornalisti sul posto e la chiusura
pressoché totale della Penisola. A parlare di emergenza
umanitaria è oggi Human Rights Watch che in un nuovo rapporto denuncia
la crisi dei civili nell’area a causa delle operazioni militari in
corso: “420mila residenti in quattro città nord-orientali hanno urgente
bisogno di aiuti umanitari”, scrive Hrw, che sottolinea quanto
emerso in questi mesi, ovvero la quasi totale restrizione della libertà
di movimento di persone e beni che impedisce l’arrivo di cibo nelle
comunità.
“I residenti dicono di vivere con una grave diminuzione di cibo,
medicinali, gas da cucina e altri beni essenziali”. Una carenza a cui si
aggiunge il taglio frequente dei servizi di telecomunicazioni, di acqua corrente ed elettricità.
“Un’operazione di controterrorismo che impedisce l’arrivo di beni
essenziali a centinaia di migliaia di civili è illegale e difficilmente
smorzerà la violenza”, commenta Sarah Leah Whitson, direttrice di Hrw
per Medio Oriente e Nord Africa.
Punizioni collettive, raid e perquisizioni arbitrarie nelle
case, arresti, chiusura delle comunità: il Sinai è sotto assedio. I
residenti riportano di fermi illegittimi ai checkpoint e nelle
abitazioni, della confisca di telefoni e computer. E se durante
le elezioni presidenziali di fine marzo alcuni cittadini e giornalisti
denunciavano la compravendita di voti anche attraverso pacchi di cibo,
nella Penisola non arriva quasi nulla se non con camion dell’esercito.
Secondo quanto riportato dall’agenzia indipendente Mada Masr, l’arrivo
sporadico di camion di cibo dell’esercito – i soli a poter entrare e
uscire senza problemi – si accompagna ad assembramenti di persone che
cercano di ottenere qualche pacco di prodotti alimentari, “assalti” di
folle affamate dal governo centrale a cui – denuncia Hrw – l’esercito in alcuni casi ha risposto con il fuoco.
Racconti diversi da quelli dell’esercito secondo cui la popolazione
appoggia l’operazione in corso e fornisce informazioni importanti alla
neutralizzazione dei gruppi armati. Dal 2013, la deposizione via golpe
del presidente eletto Mohammed Morsi, il presidente-golpista al-Sisi ha
lanciato una serie di operazioni militari per eliminare i gruppi, sempre
più ampi, di matrice islamista attivi nel Sinai e nel deserto e capaci
di compiere attacchi terroristici in tutto il paese. Una
radicalizzazione facilitata dall’assenza pressoché totale dello Stato –
se non sotto forma di polizia ed esercito – nelle zone più
marginalizzate dell’Egitto, tra cui il Sinai dimenticato dai piani di
sviluppo del governo centrale.
Al-Sisi lo aveva annunciato a febbraio, quando lanciò “Sinai “2018”:
“E’ vostra responsabilità – disse rivolgendosi all’esercito – mettere in
sicurezza e stabilizzare il Sinai nei prossimi tre mesi. Potete usare
tutta la forza bruta necessaria”. La stanno pagando i civili: “La
popolazione del Sinai continua ad essere schiacciata tra Isis ed Egitto –
è il commento dell’analista Zack Gold – Se l’operazione Sinai 2018
smantellerà la filiale dell’Isis in Sinai, il duro trattamento che Hrw
documenta è il seme di un futuro movimento di insurrezione”.
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