Qualche volta il fiuto aiuta a mettere in connessione episodi relativamente diversi tra loro restituendo uno scenario più nitido; anche se in questo caso è più fosco.
Nei giorni scorsi il sistema dei media mainstream ha diffuso alacremente video assai poco edificanti sui comportamenti di alcuni studenti verso i loro insegnanti. Immagini inaccettabili in qualsiasi contesto ma, appunto da contestualizzare.
La nebbia del mainstream ha invece messo sullo stesso piano l’abuso dei social network, la perdita di rispetto verso i docenti da parte degli studenti, l’aumento dei comportamenti sanzionabili tra le nuove generazioni.
Qualcuno, come Michele Serra, ci ha messo del suo, riproducendo una lettura “di classe” della scuola, sottolineando come gli “irrispettosi” siano numerosi tra gli studenti degli istituti tecnici e professionali e meno numerosi tra quelli dei licei. Dietro l’oggettività della presa d’atto c’è una visione del mondo che si ripercuote inevitabilmente tra i banchi delle scuole. La disgregazione sociale che sta impoverendo quote consistenti del paese, produce “comportamenti devianti” che vanno sanzionati.
Specularmente, nei giorni precedenti all’operazione mainstream sui comportamenti irrispettosi degli studenti “proletari”, abbiamo visto agire pesantemente i meccanismi punitivi contro gli studenti che avevano contestato l’aberrazione dell’alternanza scuola-lavoro in salsa italiana (in Germania ad esempio è previsto un contratto di apprendistato e la retribuzione degli studenti degli istituti professionali che fanno formazione scuola-lavoro, ndr). Contesti diversi ma che hanno visto manifestarsi concretamente un modello disciplinare e repressivo a tutto tondo.
Il primo effetto è stato quello di riconsegnare dall’alto quella autorità ai docenti che le stesse elìte dominanti – a partire dai dogmi dell’Ocse della Commissione Europea – hanno sgretolato negli anni con “riforme della scuola” frustranti e penalizzanti per gli insegnanti.
Allo stesso tempo, il recupero di autorità impone un prezzo pesante per gli stessi docenti attraverso le nuove normative disciplinari e sanzionatorie, assai più rigide che in passato, contenute nell’ultimo contratto.
Il risultato di questo mix micidiale è il ritorno ad una scuola dal sapore ottocentesco, ma in salsa 2.0.
La ruota della regressione sociale, che ormai da almeno venti anni macina all’indietro diritti e priorità sociali non conformi alla competitività, non poteva non dare rilievo strategico ai luoghi e alle istituzioni adibite alla formazione dei “cittadini/consumatori” del XXI secolo. Soprattutto al loro adeguamento alla logica dominante fondata sulla competizione e le competenze individuali.
Ma qual’è l’obiettivo e il senso di questo ritorno alla scuola ottocentesca? Come mai tutta questa preoccupazione per i “Franti” cresciuti negli istituti tecnici e professionali e per le proteste contro l’alternanza scuola-lavoro nei licei?
In primo luogo c’è la netta consapevolezza del sistema dominante di non sapere né potere assicurare una soddisfazione dignitosa alle aspettative delle nuove generazioni. L’ascensore sociale non è soltanto “fermo”; è proprio tornato al piano terra.
La miseria materiale e morale che il sistema può mettere a disposizione per il futuro è talmente evidente che occorre disciplinare con la forza e l’autorità i “cittadini” di domani, cooptando nell’operazione anche i docenti contro gli studenti e consegnando maggiori poteri sanzionatori (contro docenti e studenti) ai presidi/dirigenti/manager che ormai amministrano le scuole come fossero aziende.
Imporre l’abitudine al lavoro gratuito o sottopagato, l’obbedienza e la subalternità, le “competenze” in funzione della competitività individuale, è l’unico spirito del tempo con cui le elìte sono in grado di disegnare la società che hanno costruito demolendo le istanze di progresso affermatesi nei decenni precedenti.
Un disegno troppo misero e stupido per poter funzionare senza trovare opposizione, tra i giovani e non solo.
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