di Chiara Cruciati
Nella notte raid aerei
governativi hanno colpito la zona sud di Damasco. Dopo la ripresa di
Ghouta est, l’esercito aveva annunciato la controffensiva sui sobborghi
meridionali, il campo profughi palestinese di Yarmouk, Hajar al-Aswad e
Babila. Ieri, dopo alcuni bombardamenti e un ultimatum all’Isis e al
Fronte al-Nusra, le due fazioni islamiste presenti, sembrava che il
governo avesse ottenuto la resa delle migliaia di miliziani che da anni
assediano le tre località.
A darlo per certo era stata anche al-Mayadeen, tv legata a Hezbollah, il movimento sciita libanese, che aveva indicato anche i termini dell’accordo: «L’uscita
di tutti i combattenti di Daesh, Fronte al-Nusra e altre fazioni più
piccole dalla Ghouta occidentale», come viene chiamata l’area. «I
miliziani di Daesh, circa 1.200, lasceranno la cittadina di Hajar
al-Assuad e il campo di Yarmouk verso la provincia orientale», ha aggiunto l’emittente.
Dunque verso Deir Ezzor, città del nord-est siriano, in parte ripresa
dal governo ma dove sono ancora presenti sacche legate allo Stato
Islamico. Ovvero al confine con l’Iraq, per anni poroso punto di
transito di armi e uomini, che ieri il governo di Baghdad ha
bombardato: dietro coordinamento con Damasco l’aviazione irachena ha
compiuto alcuni raid aerei contro postazioni dell’Isis in
territorio siriano. Al contrario i miliziani qaedisti di al-Nusra
sarebbero stati trasferiti a Idlib, provincia nord-occidentale, dove da
tempo vengono evacuati gli islamisti a seguito di accordi di
evacuazione, facendo diventare la zona un concentrato di gruppi
jihadisti e salafiti di cui al-Nusra è leader – quasi – indiscusso.
Ma l’accodo è collassato e ieri notte l’aviazione siriana ha
colpito più volte le postazioni islamiste a Yarmouk e Hajar al-Aswad.
Aree sotto assedio da anni, con Yarmouk dal 2015 in mano allo Stato
Islamico, ridotto letteralmente alla fame e spopolato: quello
che è sempre stata considerata la “capitale” della diaspora palestinese,
nel campo oggi vivono solo 5mila persone delle 180mila di prima della
guerra, rifugiati palestinesi, ma anche siriani poveri, libanesi,
profughi iracheni.
Sono invece diretti a Jarabulus (cittadina di
confine tra Siria e Turchia, nella regione a maggioranza curda di
Rojava, probabilmente a sostegno delle operazioni turche contro le unità
di difesa popolare curde Ypg/Ypj) i 1.500 miliziani di Jaysh
al-Islam che ieri hanno lasciato a bordo di 21 autobus la cittadina di
al-Dumayr, est di Damasco. Uscita in sicurezza in cambio di armi
pesanti, veicoli militari, cannoni e sistemi lancia-missile, un
equipaggiamento significativo che si spiega con i ricchi finanziamenti
da parte dell’Arabia Saudita, primo sponsor di Jaysh al-Islam.
Il gruppo, fino a due settimane fa leader di Douma, la principale
città di Ghouta est, nel sobborgo damasceno aveva messo in piedi un
articolato sistema militare. Lo mostrano in questi giorni i reportage, i
video e le foto dei giornalisti occidentali ammessi in Siria, tra cui
Robert Fisk. Una rete di tunnel, laboratori e magazzini di armi. A
seguire un video inviato a Nena News da un giornalista siriano mostra il sofisticato sistema di tunnel sotterranei degli islamisti a Ghouta est.
Video
Non è invece ancora partita la missione dell’Opac, l’Organizzazione per
la proibizione delle armi chimiche, che dovrebbe investigare l’utilizzo o
meno di armi chimiche a Ghouta est attraverso analisi biometriche,
raccolta di campioni e interviste ai feriti. Arrivata a Damasco una
settimana fa, sarebbe dovuta entrare nel sobborgo sabato ma da allora
sta ancora aspettando. Secondo Mosca mancava all’inizio il via libera
del segretario generale dell’Onu, poi – una volta entrati – gli esperti
sono stati oggetto di colpi di arma da fuoco. Nessun ferito ma un nuovo
ritardo.
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