Squarcio la notte all'interno di un vetusto autobus che si addentra nelle buie strade della periferia metropolitana. Il mezzo è gremito di passeggeri d'ogni etnia, accomunati da un'unica caratteristica: essere sottoproletariato, umanità cui è concessa la fruizione del centro borghese solo nell'ottica di sostenere i profitti del capitale che, sulla messa a valore della vita cittadina sta giocando, per ora con successo, la sua nuova scommessa.
Nelle orecchie Post Self, ultimo inquietante parto dei Godflesh. Un album che descrive alla perfezione la distopia fattasi realtà di un presente che ha raggiunto e superato ogni fantascienza.
Di questi tempi, rimane poco da immaginare all'estro artistico, per tentare di scuotere le coscienze non è più necessario proiettare immagini e suoni in un futuro post apocalittico mezzo secolo avanti ai nostri giorni, perché il disastro è qui ed ora, non sì è più a un passo dall'abisso, ma direttamente al centro dell'occhio dell'orrore fatto del più bieco e pervasivo sfruttamento dell'uomo sull'uomo, così strisciante da raggiungere vette di perversione inimmaginabili per capacità annichilente.
Il post industrial – e molto altro – targato novembre 2017 della coppia Justin Broadrick/G.C. Green è tutto questo: un'istantanea, spesso stupefacente, della putrescenza che ammorba la società occidentale, un pugno allo stomaco che cancellerà dai nostri volti i sorrisi di convenienza con cui cerchiamo di mistificare la pochezza delle esistenze che ci vengono imposte, distorsioni disturbanti ed ossessive che incalzeranno inesorabilmente ogni nostra serenità presunta fino a decostruirla pezzo per pezzo.
Non c'è un barlume di speranza in queste note, nessun accenno armonico che suggerisca la possibile esistenza anche solo di una fortuita casualità capace d'indirizzare il domani verso un orizzonte di speranza.
Questo album riconsegna al pubblico i Godflesh pregni di un vigore che avremmo dato per smarrito e ci ribadisce, se mai ve ne fosse necessità, che se vogliamo davvero un futuro diverso lo dobbiamo costruire pezzo per pezzo, perché siamo circondati da rovine ormai irrecuperabili.
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