E’ innegabile che TIM, da quando è stata privatizzata nell’ormai lontano 1997, si riconferma ancora teatro di scorribande finanziare, dopo gli spagnoli di Telefonica e i francesi di Vivendi, è la volta degli americani del fondo Elliott specializzato in operazioni finanziarie in aziende in difficoltà.
L’Assemblea dei soci fissata per domani 24 aprile, con all’ordine del giorno la nomina del nuovo Consiglio di amministrazione del gruppo TIM, promette scintille fra l’attuale socio di maggioranza Vivendi e il fronte dei fondi capeggiati da Elliott.
Dopo gli episodi burrascosi che hanno scompigliato la compagine societaria di Telecom Italia in questi ultimi mesi, sarà inevitabile lo scontro fra l’attuale azionista di maggioranza Vivendi (23,94% del capitale) e il fondo americano Elliott (8,90% del capitale).
Per quanto riguarda il fondo Elliott, come riportato sul sito www.transformingtim.com, ha evidenziato la costante sottostima del prezzo delle azioni (-35% da quando i francesi sono entrati nel CdA), a cui gli americani vorrebbero rimediare, cedendo parte delle quote di rete in rame (Netco) e della controllata Sparkle, consentendo di dimezzare l’attuale debito da 25 a 12 miliardi di Euro e tornare alla distribuzione dei dividendi azionari.
In altre parole, si tratterebbe di svendere l’asset più importante in mano a TIM, oltre a
garantire l’enorme debito accumulato a margine di una privatizzazione fallimentare. Per non parlare di Sparkle, che ai noti profili di sicurezza affianca ricavi annuali intorno al miliardo.
Il destino del colosso italiano sembra ormai segnato: a pesare è sia l’incertezza proprietaria (che da decenni si traduce nella mancanza di continuità gestionale, ancor più grave in un settore ad alta intensità di investimenti), sia sul fronte politico vista l’incertezza del futuro esecutivo, dopo la recente sintonia tra il Ministro uscente dello Sviluppo Economico Carlo Calenda e Amos Genish, sulla separazione della rete anche se controllata al 100% da TIM.
Non è un caso che nel corso di questo scontro si annota l’ingresso della Cassa Depositi e Prestiti (Cdp) con una quota del 4,26 %, già proprietaria insieme a Enel di OpenFiber (società destinataria di tre miliardi di fondi pubblici per la costruzione di una rete in fibra ottica nelle aree meno remunerative del Paese).
Dopo anni di tentativi, riprende forma l’ipotesi della società della rete nell’alveo pubblico che venne evocata per la prima volta nel 2006 dall’allora consigliere economico del premier Romano Prodi, Angelo Rovati.
Operazione con l’intento di “tutelare l’interessa strategico della rete”, dopo che fu ostacolata da personaggi come Carlo Azeglio Ciampi, Mario Draghi e il Massimo D’Alema dei capitani coraggiosi?
Comunque vada, resta da porsi la domanda del perché con la gestione di TIM da parte di Monsieur Bollorè/Vivendi, dopo anni si è riaperta la discussione politica per il controllo pubblico della rete, con l’appoggio trasversale di tutte le forze politiche vincitrici delle elezioni del 4 marzo (5 Stelle, Lega e Forza Italia).
Chi beneficerà dell’ingresso della Cdp in TIM, dunque soldi pubblici, con l’eventuale cessione della rete?
Al momento, sicuramente, Silvio Berlusconi, capo di Forza Italia. Il quale, dopo la manovra di scalata per il controllo di Mediaset, non vede di buon occhio i francesi di Vivendi.
Con la cessione della rete si depotenzia il progetto di Bollorè, pericoloso concorrente di Mediaset, di creare un player europeo in grado di veicolare i contenuti multimediali in tutto il sud Europa. L’alleanza con Sky va in direzione anti francese.
Guarda caso, dopo anni di silenzio, solo dopo il tentativo di Bolloré di scalare Mediaset (Berlusconi), abbiamo registrato un flebile sussulto di reazione da parte del Governo italiano; che ha deciso di usare la Golden Power per blindare l’italianità di imprese (TIM) d’importanza strategica.
Al contrario degli altri paesi europei che non hanno mai dismesso le loro partecipazioni nelle società di telecomunicazione, noi abbiamo da tempo perso il controllo su uno degli asset più importanti del sistema paese, in bilico fra depauperamento ed esproprio, non solo sul fronte economico, ma principalmente in questo momento di conflitti di guerra, sul piano strategico militare. In Francia la chiamerebbero una débâcle.
Ciò che non viene più detto sui giornali e in TV è che, come previsto dal piano industriale per la realizzazione della NETCO (societarizzazione della rete fissa), la contropartita prevista sono 6.500 esuberi strutturali, da gestire con un piano di 2.500 esodi incentivati e 4.000 prepensionamenti. Questo in cambio dell’assunzione di 2.000 giovani (precari), le cui retribuzioni saranno finanziate tramite la decurtazione oraria/retributiva di 20 minuti al giorno, da parte di tutti i dipendenti.
Non dimentichiamo neanche i lavoratori delle ditte appaltatrici della filiera e dei call center, dove necessita la messa al bando delle gare al massimo ribasso, la re-internalizzazione dei lavoratori e dei servizi presso i propri committenti, una reale clausola sociale che tuteli diritti e occupazione nei casi di cambio appalto.
Come per il settore dell’informatica, nel quale la politica di privatizzazione e svendita ha impoverito il tessuto tecnologico e produttivo, anche i centri di ricerca e sviluppo come IBM, ITALTEL, TIM e ecc., soffrono di mancati investimenti; con i quali si riusciva a competere con gli altri grandi operatori europei.
Le TLC sono infrastrutture essenziali e strategiche e, al pari di energia e trasporti, non possono essere gestite in base alla logica del profitto a scapito dei diritti dei lavoratori.
L’unica strada possibile è UN NUOVO CONTROLLO PUBBLICO delle Telecomunicazioni, necessario per la democrazia, lo sviluppo e il lavoro. Questo chiuderebbe definitivamente la disastrosa stagione della privatizzazione. Azione sconsiderata, che ha permesso lo smantellamento di un settore strategico per il paese: sia in materia di sicurezza nazionale, sia di reale servizio per buona parte dei cittadini a vantaggio di multinazionali straniere.
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