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24/04/2018

Reddito di cittadinanza: l’esperimento finlandese

Il reddito di cittadinanza è, senza dubbio, un elemento centrale del dibattito politico degli ultimi mesi. Inserito nel programma del Movimento 5 Stelle, potrebbe esser stato uno dei fattori a determinare il grande consenso ottenuto sopratutto al Sud, dove disoccupazione e precarietà picchiano più duro che altrove.

In questi giorni circola la notizia del presunto fallimento di una sperimentazione proprio sul reddito di cittadinanza portata avanti in Finlandia. Anche se poi, a ben leggere, forse di fallimento non si tratta.

All’inizio del 2017 la Kela, l’autorità che gestisce il sistema del welfare finlandese, annuncia l’erogazione in via sperimentale di un reddito minimo garantito nei confronti di duemila disoccupati, scelti tra i circa duecentomila che conta la Finlandia.

560 euro al mese, esentasse, a prescindere dal fatto che il soggetto cerchi o meno lavoro e addirittura trovi o meno lavoro: qualora il disoccupato trovasse lavoro, lo stato proseguirebbe ad erogare il contributo.

Condizioni interessanti ed innovative, anche per un paese a welfare avanzato: ma si tratta di un esperimento, appunto, i cui risultati saranno oggetto di valutazione.

Iniziamo infatti a dare il giusto senso alla notizia: non stiamo parlando di un passo indietro della Finlandia che, dopo aver introdotto un reddito di cittadinanza o reddito minimo garantito, decide di tornare sui propri passi.

Si tratta di una sperimentazione che era stata prevista fino a fine 2018 e che è stato deciso di non proseguire.

L’obbiettivo dell’esperimento era verificare i comportamenti delle persone di fronte alla certezza di un reddito e confrontarli con chi la certezza non ce l’ha. Lo staff di ricercatori avrebbe voluto un budget più alto dei 20 milioni di euro stanziati dal governo, e di tempi più lunghi.

La “seconda fase” dell’esperimento avrebbe coinvolto un numero più ampio di soggetti, in condizioni lavorative ed economiche diverse rispetto ai primi duemila: non più disoccupati ma lavoratori, per verificare la diversità e la particolarità dell’impatto sociale.

Il governo ha ritenuto di non dare seguito al progetto, ufficialmente perché il sistema di welfare finlandese è considerato “troppo capillare” e quindi tendenzialmente disincentivante rispetto la ricerca di nuovi lavori: troppa assistenza, insomma, renderebbe “pigri” i cittadini.

Appare evidentemente diversa la ragione di un esperimento del genere: liberare le persone dalla paura della povertà assoluta, emancipandole dalla possibilità di subire il “ricatto dell’occupazione” che in Italia ormai conosciamo bene: lavoro a condizioni inaccettabili, che diventano però le uniche possibili.

In realtà pare che il governo abbia deciso di sospendere la sperimentazione per tensioni interne alla maggioranza di centro destra rispetto ad un tipo di prospettiva sociale e politica abbastanza divisiva.

Conosceremo i risultati del progetto nel 2019: rimane senza dubbio un importante esperimento alla ricerca di nuove forme di welfare che rispondano alle necessità che la società esprime.

Partendo dal presupposto che, per ripensare il welfare, è necessario che il welfare esista, ci sia.

Fatto che, di questi tempi, non è per niente scontato.

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