Fonti giornalistiche di Gaza riferiscono oggi a Nena News che si fanno più intense le pressioni dell’Egitto sui palestinesi affinché pongano termine alla Grande Marcia del Ritorno,
le manifestazioni popolari cominciate venerdì 30 marzo, per chiedere la
fine del blocco di Gaza e il ritorno ai villaggi d’origine, che hanno
portato decine di migliaia di palestinesi a ridosso delle linee di
demarcazione con Israele. Raduni ai quali l’esercito dello Stato ebraico
– che considera la Marcia una “provocazione a scopo terroristico” del
movimento islamico Hamas – ha risposto impiegando tiratori scelti che
hanno fatto sino ad oggi oltre 30 morti e molte centinaia di feriti da
arma da fuoco tra i palestinesi che si erano avvicinati alle barriere di
separazione.
Venerdì sono previsti nuovi raduni di massa nei cinque
accampamenti eretti lungo le linee con Israele per ricordare i “martiri e
i prigionieri politici palestinesi”. Tuttavia, avvertono le nostre fonti, gli
egiziani insistono: le manifestazioni devono cessare o svolgersi a
grande distanza dalle barriere con lo Stato ebraico poiché rappresentano
un “fattore di instabilità” che mina gli interessi di sicurezza
dell’Egitto.
I funzionari egiziani sono stati molti chiari su questo punto con la
delegazione di Hamas, guidata da Saleh al Arouri e Moussa Abu Marzuk,
convocata ieri al Cairo per discutere della riconciliazione tra il
movimento islamico e il partito Fatah, spina dorsale dell’Autorità
Nazionale del presidente palestinese Abu Mazen. L’Egitto inoltre
avrebbe intimato ad Hamas di consegnare la Striscia di Gaza ad Abu
Mazen, come previsto dagli accordi raggiunti lo scorso anno al Cairo. In caso contrario, minaccia, isolerà il movimento islamico e impedirà ai suoi dirigenti di lasciare Gaza attraverso il valico di Rafah. Al Cairo si troverebbe anche Mahmoud al Aloul, il numero due di Fatah. Non è escluso un suo incontro con i dirigenti di Hamas.
L’Egitto, aggiungono le fonti, allo stesso tempo continua a
premere su Abu Mazen affinché prenda in considerazione il cosiddetto
“Accordo del secolo” il presunto piano di pace dell’Amministrazione
Trump non ancora annunciato ufficialmente. I palestinesi lo
rifiutano perché – stando ad alcuni dei suoi punti anticipati dai
giornali – è apertamente sbilanciato dalla parte di Israele e non
garantisce la creazione dello Stato di Palestina.
Con un messaggio fatto arrivare alla stampa nel 16esimo anniversario della sua detenzione, il più noto dei prigionieri politici
palestinesi, Marwan Barghouti, ha chiesto ad Abu Mazen di respingere
l'“Accordo del secolo”. “Dobbiamo renderci conto” ha scritto
l’ex segretario del partito Fatah, incarcerato in Israele, “che fra
uno o cinque anni Donald Trump non ci sarà più mentre Gerusalemme, la
Palestina ed il suo popolo rimarranno e porteranno avanti la resistenza e
la lotta contro il colonialismo sionista”. I palestinesi
hanno diritto di “resistere in tutti i modi”, anche in forma armata ha
lasciato capire Barghouti limitando però il raggio d’azione della
resistenza ai Territori palestinesi occupati. Noto come il
“Mandela palestinese”, Barghouti è sempre molto popolare e nei sondaggi
resta uno degli esponenti politici preferiti, posizionato più in alto
rispetto ad Abu Mazen e al leader di Hamas Ismail Haniyeh.
Intanto il ministro della difesa israeliano Avigdor Lieberman
riafferma la linea dura contro la Marcia del Ritorno. Ieri, in una
intervista rilasciata a “Walla News”, ha detto che Israele non
consentirà alla Striscia di Gaza “di diventare una base dell’Iran”.
Secondo Lieberman e il resto del governo israeliano, sarebbe l’Iran a
spingere Hamas e le altre forze palestinesi a manifestare a ridosso
delle linee di demarcazione per tenere sotto pressione Israele.
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