La scena del professore di Lucca bullizzato da un suo studente tra
gli sghignazzi del resto della classe deve aver mandato in visibilio le
truppe agli ordini della biopolitica: quale miglior esempio di
destituzione del potere costituito? L’attacco al cuore del dispositivo
repressivo incarnato nella figura del professore è il primo beffardo
segno di ribellione verso una microfisica del potere che dal professore
toscano tramanda direttamente alla governance capitalista. Non può che
essere così a unire i puntini del filosoficamente corretto. Eppure in
questa eccitante ricostruzione ideologica si perde di vista non solo la
dignità umana momentaneamente calpestata, ma i ruoli dei soggetti
coinvolti. Confondere un anonimo impiegato pubblico per il ganglio
periferico di una pervasiva catena di comando del capitale significa
affidare la propria comprensione della società al sabba strutturalista
espunto dalla realtà ma ancora gagliardo nei corridoi universitari.
Definire la scuola, l’istituzione scolastica, il sapere, unicamente o
prevalentemente come sistema coercitivo-repressivo, dunque valutato
unicamente o prevalentemente attraverso una sua critica gnoseologica
volta a scovarne il significato primo e ultimo nella suddetta governance
capitalista, significa ridurre drasticamente e arbitrariamente la
realtà, storicamente determinata, a una serie di luoghi comuni utili
alla propria posa intellettuale ma inutili alla comprensione del vero.
Scorgere, infine, nelle minacce dello studente un moto, seppure
incosciente, di ribellione verso il presunto potere costituito,
significa confondere la protesta con la viltà. Quello studente non
contesta la scuola, men che meno altri e più importanti professori
determinanti per la sua carriera scolastica, così come se ne guarderà
bene dal bullizzare i suoi futuri baroni universitari o i suoi datori di
lavoro: non siamo in presenza di Franti o, si parva licet componere magnis, Rosso
Malpelo. Ma, mutato quel che c’è da mutare, non siamo neanche in
presenza di un Roberto Spada adattato alla provincia toscana.
Quello studente – e questa modalità di rifiuto dell’autorità del sapere – non è la caotica fase di apprendimento alla non collaborazione col potere costituito – costituito anche nell’istituzione
scolastica, ovviamente – ma la proposizione egoistica ed egocentrica,
dunque perfettamente in linea col pensiero dominante, del rifiuto del dovere. Non
collaborare con il potere costituito non significa sottrarsi agli
obblighi sociali che persino la non collaborazione comporta. Non
collaborare è più difficile, meno immediato, un percorso di
apprendimento più faticoso. Se fosse più facile avremmo già la
destrutturazione fatale del capitalismo e dei suoi ingranaggi
riproduttivi. Eppure non solo non è in corso alcuno smantellamento delle
attuali relazioni di potere, ma la torsione ideologica contemporanea
comprende non solo il consenso, ma soprattutto forme apparenti di dissenso. Per
capirlo non arriveremo a citare qualche polveroso marxista col vezzo
dell’anticapitalismo, ma Umberto Eco, che di questa cultura dominante
faceva ampiamente parte, sebbene in modo del tutto peculiare: «uno degli
elementi di vitalità del neocapitalismo consiste nel fagocitare, nel
“comprare” ogni fenomeno nuovo, fosse pure insidioso, e di ridurlo a eresia vitale del sistema» [in Modelli descrittivi e interpretazione storica, «Rinascita», 12 ottobre 1963].
C’è un modello borghese di adesione ai valori tramandati per mezzo delle istituzioni nazionali. Ma c’è un altro modello, altrettanto borghese, di
apparente contestazione di quei valori. Nella relazione instaurata tra
professore e studente nell’istituto tecnico lucchese il potere non
risiedeva nel modesto travet pubblico, ma nello studente. Anche fosse
per quei cinque minuti, non c’era contestazione, ma violazione di
un’autorità per mezzo di violenza personale. Niente di tragico,
s’intende. Gli schiamazzi moralizzanti letti in questi giorni a reti
unificate sono il contraltare a quell’eresia vitale che sviluppa
costantemente nuove relazioni di potere fondate sul rafforzamento delle
pervasive relazioni economiche dominanti. Le “perquisizioni a casa degli
studenti”: ma di cosa stiamo parlando? Eppure, nuovi mitologemi, false
mitopoiesi, artefatte disillusioni e farsesche narrazioni del bel tempo
andato sono lì a farsi da sponda a vicenda, persino in un evento
limitato e irrilevante come quello accaduto a Lucca. A fare paura è però
questo strisciante bisogno di legittimare comportamenti presentati come
devianti, e che invece lavorano sottotraccia per rafforzare le
relazioni dominanti: sono, cioè, comportamenti dominanti. Il giorno che
non avremo più scuola né insegnanti non staremo a un passo dalla
liberazione, ma al fondo di una nuova subordinazione sociale.
Fonte
In merito al grassetto, io averi aggiunto "l'ennesima".
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