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16/04/2018

Siria - Sanzioni USA alla Russia, OPAC al lavoro a Ghouta

A due giorni dai 103 missili lanciati su Damasco e Homs dalla nuova “coalizione dei volenterosi”, Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna, le tensioni sulla Siria non si allentano mentre il team dell’Organizzazione per la Proibizione delle Armi Chimiche (Opac) comincia il suo lavoro a Douma.
 
Ieri l’esercito governativo siriano ha annunciato la totale ripresa di Ghouta est, sobborgo della capitale, dal 2013 enclave delle opposizioni e per questo sottoposto ad un doppio assedio, interno islamista ed esterno governativo, una tragedia lunga quasi cinque anni che ha affamato i 400mila civili presenti. Dopo l’ultimo accordo di evacuazione e l’uscita da Ghouta dei salafiti di Jaysh al-Islam, nelle ore immediatamente successive all’attacco aereo a guida Usa, polizia militare russa e truppe siriane hanno ripreso il controllo totale della zona mentre manifestazioni popolari celebravano l’uscita della milizia e condannavano l’intervento statunitense.

Questa mattina l’Opac ha iniziato a lavorare a Douma, la principale città di Ghouta est, dove secondo il fronte anti-Assad il governo avrebbe compiuto un attacco a base di armi chimiche sabato 7 aprile, uccidendo tra le 70 e le 85 persone. Gli esperti dell’organizzazione stanno raccogliendo campioni per verificare la presenza di gas, cloro e sarin in particolare, e compieranno indagini biometriche e interviste con i feriti, con gli Stati Uniti che mettono già le mani avanti: le prove, dice Washington, sono state già compromesse. Nei giorni scorsi, l’Opac – annunciando la partenza per Damasco, dopo l’invito del governo – aveva indicato in un mese il tempo necessario all’attività di raccolta e analisi in laboratorio.

Non hanno voluto aspettare tanto Trump, Macron e May che hanno lanciato l’attacco nella notte tra venerdì e sabato, con la premier britannica che ha espressamente detto di non aver bisogno di alcuna indagine internazionale per agire. L’ennesimo colpo per la legalità internazionale e il ruolo delle Nazioni Unite che non hanno emesso alcun mandato per un intervento che si è tradotto in un’azione unilaterale.

Ieri mattina la tensione bellica pareva sul punto di riesplodere insieme a un deposito militare vicino Aleppo: a Jabal Azzan una forte esplosione ha fatto saltare in aria un centro che sarebbe stato utilizzato dagli uomini del movimento sciita libanese Hezbollah e dall’esercito iraniano, uccidendo almeno 20 persone. Subito si è pensato a un nuovo bombardamento con molti che immaginavano la mano di Israele, ben poco soddisfatta dall’azione trumpiana considerata troppo debole. Hezbollah ha però fatto sapere che non si è trattato di un attacco militare, ma di esplosioni controllate sfuggite di mano.

E allora le tensioni si sono spostate sul piano diplomatico. Ieri alle Nazioni Unite l’ambasciatrice statunitense Nikki Haly, falco dell’amministrazione Trump ha ribadito il cambio, l’ennesimo, di strategia del presidente intorno alla Siria: dopo aver annunciato il ritiro delle truppe dalla Siria, meno di dieci giorni fa, gli Stati Uniti hanno deciso di restare. Per tre motivi, spiega Haley: evitare che le armi chimiche siano un rischio per gli interessi statunitensi; sconfiggere lo Stato Islamico; avere un punto di controllo delle attività iraniane nella regione. Dietro la decisione anche i consigli del presidente francese Macron, subito pronto a lanciarsi in guerra al fianco dell’alleato e che da due giorni insiste sulla necessità di mantenere i marines in Siria.

Non solo: secondo Haley, oggi il segretario del Tesoro Usa Mnuchin annuncerà nuove sanzioni alla Russia in relazione al sostegno garantito al presidente siriano Assad. “Colpiranno direttamente ogni compagnia che ha a che fare con equipaggiamento legato ad Assad e all’uso di armi chimiche”, ha anticipato Haley. Risponde Mosca, tramite il vice presidente della commissione della Difesa Serebrennikov: le sanzioni, ha detto erano attese e “saranno dure per noi, ma danneggeranno di più Usa e Europa”.

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