Tutto concluso, in Medio Oriente, dopo l’aggressione tripartita alla Siria del 14 aprile? Alcuni sviluppi, sia a livello generale, sia nello specifico dell’area mediterranea, farebbero sorgere dei dubbi.
Giorni fa, sull’edizione bielorussa di Sputnik, il politologo Gevorg Mirzajan scriveva di uno “show missilistico” rivolto contro obiettivi di pochissima importanza, “preselezionati e concordati con la parte russa, che ha poi riferito le informazioni a Damasco”. E, a proposito della disputa sul numero di missili lanciati, quanti andati a segno e quanti abbattuti, secondo Washington nessun loro missile sarebbe stato intercettato, mentre Mosca assicurava che le vecchie batterie antimissilistiche siriane (di fabbricazione sovietica) ne avrebbero buttati giù 71 sui 103 lanciati.
Successo delle armi russe, quindi, da una parte; ma anche Trump avrebbe esclamato “Missione compiuta”, riferendosi non tanto ai 70 Tomahawk abbattuti, bensì ai 19 nuovi AGM-158 JASMM lanciati da due bombardieri B-1B (con base in Qatar), arrivati a destinazione su Damasco ed evidentemente rimasti invisibili ai sistemi radioelettronici russi. Questo, secondo Washington, sarebbe stato il vero scopo del raid: il test del JASSM (Joint Air-to-Surface Standoff Missile) mai usato prima in combattimento. Quanto agli obiettivi colpiti in quello che ancora Mirzajan definisce lo “show” siriano, gli americani hanno parlato di una grande quantità di obiettivi: in verità, molti più iraniani che siriani. A Washington si considera infatti la guerra siriana un “conflitto in periferia” tra USA e Teheran, la cui posta non sarebbe però altro che una “test del nuovo approccio americano agli affari internazionali, che prevede l’abbandono di metodi diplomatici e pone l’accento sulla minaccia di mettere in campo la propria superiorità militare”.
Ora, il portale topcor.ru scriveva ieri di un “Gruppo d’attacco nucleare” USA in navigazione nel Mediterraneo e, contemporaneamente, della riunione a Mosca del Consiglio di guerra: Vladimir Putin avrebbe convocato il Ministro della difesa Sergej Šojgu e il Capo di Stato maggiore Valerij Gerasimov. Topcor.ru ricordava anche di una “strana” notizia diffusa il 18 aprile scorso dal servizio russo della BBC, a proposito della discussione al Parlamento inglese della possibilità di attacchi atomici russi alla Gran Bretagna. L’accuratezza della diffusione di tale notizia, nota topcor.ru, induce a supporre che non si tratti tanto di una discussione realistica su probabilità ipotetiche, ma di un chiaro segnale lanciato alla leadership russa: la Gran Bretagna innalza la posta in relazione alla crisi siriana. Da parte sua, Mosca diffonde l’informazione circa un prossimo attacco di circa dodicimila uomini dell’opposizione siriana nell’area di Der’a, in prossimità delle frontiere con Giordania, Libano e Israele. Poco prima, il Ministro degli esteri Sergej Lavrov aveva categoricamente escluso ogni eventualità ultimativa: “…sulla questione dei rischi di confronto, parto dal 100% del fatto che i militari non lo permetteranno e non lo permetteranno nemmeno” Putin e Trump. Le assicurazioni “al 100%" incutono sempre un certo timore.
Dunque, nel primo pomeriggio del 19 aprile la US Naval Institute News informa che un gruppo d’attacco guidato dalla portaerei atomica Harry Truman è entrato nella zona operativa della VI Flotta, cioè nel Mediterraneo. Ne fanno parte anche l’incrociatore Normandy, i cacciatorpediniere Arleigh Burke, Bulkeley, Farragut, Forrest Sherman, The Sullivans e Winston S. Churchill. Pare che al gruppo debba unirsi anche la fregata tedesca Hessen. Tenendo conto della crescente intensità di dichiarazioni, sia di parte britannica che russa, conclude topcor.ru, è probabile che esse dispongano di informazioni abbastanza fondate sulla preparazione di un secondo attacco missilistico USA alla Siria, una volta che il Gruppo d’attacco arriverà in zona.
In proposito sembra da non sottovalutare nemmeno l’atteggiamento di una delle maggiori ex Repubbliche sovietiche che, dall’accordo con Mosca, passata poi a una sorta di “attesismo neutrale”, sembra ora spostarsi sempre più verso un orientamento atlantista. Il sito pvo-info.ru scrive che il Parlamento del Kazakhstan (tra l’altro, Astana si è astenuta al Consiglio di sicurezza ONU sulla proposta russa di risoluzione sulla Siria, dopo l’attacco del 14 aprile) ha concesso alle forze armate degli Stati Uniti l’uso dei porti di Kuryk e Aqtau sul mar Caspio, per il trasporto di materiale bellico in Afghanistan. Il percorso, alternativo a quello tradizionale attraverso il Pakistan, prevede l’attraversamento dell’Azerbajdžan e, dal Caspio, si snoderebbe quindi su ferrovia lungo Kazakhstan e Uzbekistan.
Ed ecco che, in relazione alle mosse statunitensi, la Tass scrive che il segretario del Consiglio di sicurezza russo Nikolai ha parlato della necessità di innalzare il livello attivo della politica estera russa, per garantire un sufficiente livello di difesa del paese. E’ evidente, ha detto Patrušev che “a causa della mutata politica USA nei confronti della Russia, crescono le minacce alla sicurezza nazionale”. In questo quadro, ha detto, mentre Washington tenta di isolare la Russia, “è necessario sondare le possibili aree di cooperazione con paesi stranieri, senza escludere compromessi con quelli che si muovono sulla scia degli Stati Uniti”.
La “politica estera indipendente della Russia e la difesa costante dei propri interessi nazionali, sono considerate dagli USA una minaccia al loro predominio assoluto nel mondo” ed essi sono così passati “da una politica di cooperazione con la Russia all’uso aperto di contenimento e duro confronto”. La nuova strategia USA attribuisce enorme importanza all’uso della forza militare, ha detto ancora Patrušev, “quale strumento per promuovere gli interessi USA e garantire il dominio sul sistema energetico globale, rafforzare la leadership in campo economico, scientifico e tecnologico”.
Par di capire insomma che, almeno sul momento, sufficientemente messo “sotto controllo” il fronte orientale, Washington si stia concentrando su quello mediorientale. Dopo che Kim Jong Un aveva dichiarato la disponibilità di principio della RPDC alla denuclearizzazione della penisola coreana, la stampa USA aveva fatto trapelare la notizia secondo cui l’ex direttore della CIA, Mike Pompeo, poco prima di esser nominato Segretario di stato, il 13 marzo si sarebbe incontrato a Pyongyang con Kim. Dopo di ciò, il CC del Partito del lavoro ha annunciato la propria nuova strategia di rinuncia alla sperimentazione missilistica e nucleare.
Su quel versante, Washington si sentirebbe dunque coperta e in grado di concentrare lo sforzo militare più a occidente. E, in ogni caso, rimane la domanda, esplicitata dall’osservatore di topwar.ru, sulle prossime mosse americane e cioè: se il direttore della CIA è riuscito a raggiungere un accordo con Kim sulla rinuncia della RPDC al programma nucleare, dopo quanto tempo gli USA, alla loro solita maniera, annunceranno la necessità di annullare l’accordo, come hanno fatto a suo tempo con l’Iran?
La situazione non è affatto eccellente.
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