Quando i francesi sono stati in Siria come potenza coloniale intendevano sostenere minoranze come minaccia contro il nazionalismo arabo. In questo contesto, in alcune fasi avevano aperto la strada anche ai curdi. Furono i francesi che incoraggiarono la popolazione della regione a diventare stanziale e a fare attività agricole per poter controllare i confini con la Turchia. Le città hanno preso forma in questa fase. Ma quando i curdi arrivarono a un punto in cui chiesero autonomia, furono i francesi a rifiutare questo desidero e a fare in modo che i rivoltosi fossero oggetto di repressione. Era una politica titubante. Quando i francesi nel 1920 nella “Grande Siria” proclamarono lo “Stato Libanese”, lo “Stato di Damasco”, lo “Stato di Aleppo”, lo “Stato Alevita”, lo “Stato Druso”, per le regioni curde nel nord non prevedevano né uno Stato né un’autonomia.
Nelle sue relazioni con la Turchia, i curdi erano una carta [NdT un asso]. Lui [NdT lo Stato francese] da un lato tollerava le attività politiche e culturali di personalità curde che erano fuggite dal nord verso il sud, ma quando il collegamento Ankara–Parigi per via dei curdi si faceva teso, si decideva per la Turchia. Questo periodo è rimasto nella memoria dei curdi come un capitolo nero.
Dopo decenni, la Francia inizia a interessarsi maggiormente dei curdi. Quando i curdi nel 2015 si sono messi in evidenza nella lotta contro IS, l’allora presidente, François Hollande, ricevette la comandante delle YPJ Nesrin Abdullah e l’ex co-Presidente del PYD Asya Abdullah, al Palazzo dell‘Eliseo. Che PYD e YPG/YPJ siano stati ricevuti in una capitale europea, è stato importante nel senso di un “riconoscimento politico”. Era una fase in cui Ankara conduceva la guerra contro il PYD per procura, non dichiarava ancora ostilità aperta e, come si è visto con lo spostamento della tomba di Süleyman Şah, teneva perfino aperti canali per il dialogo e la collaborazione. Così rispetto a questo incontro, anche se era scomodo, non si è rovistato più di tanto.
Il Presidente in carica, Emmanuel Macron, ha rotto il lungo silenzio: il 29 marzo ha ricevuto personalmente all’Eliseo una delegazione costituita da Asya Abdullah, ora incaricata della co-Presidenza del TEV-DEM, la portavoce delle YPJ Nesrin Abdullah, il responsabile per gli Affari Esteri delle Forze Siriane Democratiche (FSD), Redur Halil, la co-presidente del Consiglio Esecutivo del Cantone di Afrin, Hevin Raşid, il co-Presidente per gli Affari Esteri del Cantone di Cezire Kantons, Siham Kiryo, un componente del Consiglio Esecutivo per la Regione Cezire, Faner Gaet e il rappresentante in Francia dell’Amministrazione Autonoma Siria del Nord, e si è consultato con loro per un’ora.
[Questo avviene] Proprio in un periodo nel quale Macron, nonostante l’operazione Afrin, tenta un nuovo inizio con Erdoğan. Questa apertura può essere legata a molte ragioni. Intanto si può dire che il Presidente USA, che parla di un ritiro dalla Siria, spinge la Francia, che non può restare lontana più di tanto dal Medio Oriente, davanti alla Turchia. Prendere l’iniziativa attraverso un contratto con i curdi per Parigi migliora la situazione. Viene riferito che Trump in precedenza, in un incontro con Macron avrebbe comunicato: “Per via delle comuni strategiche difficoltà in Siria, è necessario intensificare le relazioni con la Turchia.”
Come sembra, Macron, da questo suggerimento ha implicato un compito di mediazione tra la Turchia e le YPG, ma sono venute fuori affermazioni che hanno dato ai curdi la sensazione che la Francia potrebbe diventare uno scudo per i curdi a Manbij e a est dell’Eufrate. I curdi non hanno potuto inquadrare completamente l’ultimatum di Trump di un ritiro e la dimostrazione di forza di Macron.
La Francia è “particolare”, quando si tratta di Siria. Come vecchia potenza coloniale ha tenuto nelle sue mani le pietre fondanti del Paese. Perfino quando si è concluso il capitolo dello sfruttamento, ha portato avanti il suo interesse.
Come la Francia ha avuto le mani in pasta in Libia nel 2011, così anche in Siria è tornata alla memoria in modo distruttivo. Quando la “nuova generazione dell’arma jihadista” [FT qui parla in modo figurato dei delegati della Francia nella destabilizzazione della Siria, NdT] usata in Siria ha colpito lei stessa come un boomerang, ha fatto un passo indietro. E ora un nuovo ruolo, questo ovviamente fa sorgere mille domande. Facendo riferimento alla storia, appare necessario chiedere: per i francesi i curdi sono come un tempo un mezzo per produrre gli equilibri sia a Damasco sia a Ankara o preziosi partner?
Ho incontrato i componenti della delegazione che hanno condotto i colloqui con Macron a Parigi. Alle mie domande ha risposto Redur Halil. Mi riservo i commenti per i miei prossimi articoli, di seguito riporto un riassunto del lungo colloquio:
Di cosa si è discusso nel Palazzo dell’Eliseo? Cosa hanno chiesto i curdi, cosa ha prospettato Emmanuel Macron?
Redur Halil: Non ci siamo andati con una lista di richieste. Abbiamo illustrato la situazione. La Francia segue gli eventi con grande interesse e è preoccupata per le attività della Turchia. Come sa, la Francia è comunque parte della coalizione internazionale per la guerra contro IS. Macron non ha usato l’espressione “Noi stazioneremo soldati a Manbij”, ma ha detto che assumeranno una maggiore responsabilità all’interno della coalizione internazionale. Non solo per Manbij, ma in tutte le zone di operazione della coalizione internazionale la Francia sarà più attiva.
Come interpreta l’avanzata della Francia, mentre Trump dichiara: “Noi ci ritireremo a breve dalla Siria.”
Redur Halil: Sono in corso cose, sulle quali anche noi non sappiamo abbastanza. Mentre Trump parla di un ritiro, gli statunitensi aumentano le loro capacità militari sul campo. Per quanto possiamo valutare, Trump vuole impegnare maggiormente i suoi partner della coalizione; per via delle tensioni con la Turchia ora l’Europa deve svolgere un ruolo un po’ più forte. L’intenzione potrebbe essere che con questo le tensioni non possano più essere interpretate come tensioni turco-statunitensi. Inoltre la Francia si accosta alla regione meglio di tutti gli altri. Che venga messa in primo piano quindi è normale.
Cosa cambia questo [nuovo] atteggiamento della Francia?
Redur Halil: La Francia è un Paese importante all’interno dell’UE. La posizione di Parigi influenza anche gli altri Paesi. In questo modo può nascere un blocco più ampio contro la Turchia. Io penso che il messaggio inviato da Parigi sia arrivato ad Ankara.
Dopo l’inatteso ritiro da Rajo e Jindires è stato dichiarato che le YPG si preparano a un combattimento urbano. Ma con l’improvviso ritiro da Afrin, il controllo della città è stato lasciato all’esercito turco e a gruppi armati. In proposito da cerchie curde con le quali ho parlato fino all’altro giorno si diceva: “Noi opponiamo resistenza fino alla fine”. È chiaro che lì era in corso qualcosa. Al momento ci si limita a tre scenari. In primo luogo lo Stato turco potrebbe aver trovato un accordo con Abdullah Öcalan. Da Imrali potrebbe essere stato trasmesso un messaggio sul ritiro. Le YPG hanno ricevuto un messaggio da Öcalan?
Redur Halil: No. Certamente non è stata ricevuta alcuna notizia da Öcalan. Né nella direzione “Fate resistenza!” né nella forma “Ritiratevi!”, non ci ha mai raggiunto alcun messaggio.
Il secondo scenario: gli USA, per placare la Turchia e mantenere lo status quo a est dell’Eufrate, potrebbero aver proposto ai curdi un ritiro da Afrin. Gli USA hanno un ruolo a questo proposito?
Redur Halil: No. Nella nostra decisione rispetto a Afrin non si può parlare di un ruolo [influente] o di un’intromissione degli USA. Gli USA non hanno cercato di spingere la Turchia a desistere dall’operazione Ramoscello d’Ulivo. Non hanno costruito una pressione su Ankara per i curdi. Lei sa, gli USA fin dall’inizio non hanno mostrato alcun tipo di impegno rispetto a Afrin. Hanno accennato che qui non si immischiano. Lo hanno detto apertamente. Non hanno fatto pressioni su di noi rispetto a Afrin in alcun modo.
Il terzo scenario, Qandil voleva una resistenza fino alla fine, ma il comando locale era per una ritirata. C’è stata una divergenza del genere tra KCK e YPG?
Redur Halil: No, non è come viene rappresentato, non si può parlare di un conflitto di contrapposizione. Naturalmente Qandil voleva che venisse mostrata una forte resistenza. Ma le circostanze sul posto erano diverse. Di questo nessuno può non tenere conto. Abbiamo visto che la Turchia era decisa a distruggere la città e a massacrare la gente per occupare Afrin. Come Forze Siriane Democratiche, per evitare la distruzione della città e massacri di civili, ci siamo decisi a ritirarci dalla città e a dedicarci a una diversa strategia di guerra. Questa non è stata la decisione del comando di Afrin, ma una decisione di tutte le FSD. Ma a Afrin non abbiamo alzato bandiera bianca, in molti luoghi la nostra resistenza continua. E continuerà fino a quando Afrin sarà liberata.
Veniamo a Manbij. Ritiene affidabili le assicurazioni degli USA? Potrebbero nuovamente cercare un’intesa con la Turchia per portare avanti i loro piani per la Siria a est dell’Eufrate.
Redur Halil: A noi è stata confermata una continuazione del sostegno a Manbij e nelle zone a est dell’Eufrate.
Questa è una promessa certa?
Redur Halil: Sì, è una promessa certa. Gli USA fanno di Manbij una questione di prestigio, non vogliono trasferire il controllo di zone che sono state liberate da IS. A noi è stato detto che non si ritireranno da Manbij. Anche nella pratica vediamo esattamente questo.
Ma gli USA, senza lasciare Manbij, potrebbero condividere il controllo con l’esercito turco. In un caso del genere, quale sarebbe l’atteggiamento dei curdi? Afrin era un luogo molto simbolico per il movimento curdo. Da anni parlate del fatto che Afrin è un luogo particolare. Le YPG, [già] che si ritirano da Afrin, possono altrettanto ritirarsi anche dalle zone non abitate da una maggioranza curda di Tel Rifaat e Manbij. Potrebbero farlo per proteggere la loro posizione nelle zone a est dell’Eufrate.
Redur Halil: Indipendentemente dalle nostre posizioni, sarà determinante l’atteggiamento delle forze internazionali. Gli USA hanno calcoli propri.
E che ne è di Tel Rifaat?
Redur Halil: A Tel Rifaat ci sono ancora molti civili che sono stati evacuati da Afrin. Lì le YPG non hanno una particolare presenza. Nel caso di Tel Rifaat il vero ostacolo per la Turchia è l’Iran. In effetti li fa presa il fattore Iran. Perché lì si trovano le località sciite di Zehra e Nubl. L’Iran ha un grande interesse per la zona e non vuole un ingresso della Turchia.
A tratti si parla del fatto che lì entrerebbe il regime siriano. Poi è stato affermato che la Russia e la Turchia, come a Afrin, si sarebbero messi d’accordo anche su Tel Rifaat.
Redur Halil: Il regime non svolge alcun ruolo. La parola ce l’hanno i russi. Il posizionamento del regime siriano in queste regioni è stato impedito dalla Russia.
Intanto è stato fondato il Partito per il Futuro della Siria. Si sostiene che si tratti di un progetto degli statunitensi per aggirare resistenze nei confronti del PYD. A che scopo è stato fondato questo partito, rispetto a chi o a che cosa rappresenta un’alternativa?
Redur Halil: Non si tratta di un progetto statunitense. Si tratta di un progetto sviluppato appositamente da parte nostra per la rappresentanza di territori sotto il controllo delle FSD. È il progetto delle FSD. Gli statunitensi naturalmente lo hanno sostenuto. In realtà abbiamo creato questo partito per una rappresentanza di quei territori. Si tratta quindi di un progetto che riguarda il futuro della Siria. Il PYD è il partito dei curdi. Questa nuova formazione (in prevalenza non curda) invece comprende zone come Raqqa, Manbij e Deir ez-Zor e tutti i territori con diversi gruppi etnici. Questa alternativa serve alla costruzione del futuro della Siria. Questo non ha niente a che vedere con le intenzioni degli USA per ammansire la Turchia. E non sarà nemmeno sostitutivo del PYD. Il PYD come in passato continuerà a svolgere le sue attività.
A Gaziantep viene costruita un’amministrazione di Afrin alternativa a voi. C’è un corrispettivo ad Afrin rispetto a questo? Questo naturalmente costituisce uno sviluppo che potrebbe rievocare antiche inimicizie tra curdi. Lei come la pensa in proposito?
Redur Halil: No queste perone non hanno niente a che fare con Afrin. Non avranno alcun sostegno da parte della popolazione. Anche il fatto che siano curdi non cambia niente.
Giornalista e esperto della Siria, 10.04.2018
Questo articolo è apparso in originale il 04.04.2018 con il titolo “Elysée’de ne konuşuldu? Afrin’den sonra Kürtler ne bekliyor?” sulla homepage del portale di notizie Gazete Duvar.
Tradotto e pubblicato da Rete Kurdistan
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