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17/04/2018

Macron alza la voce a Strasburgo, ma stecca

Il segnale più forte della crisi che serpeggia nell’Unione Europea è arrivato stamattina da Strasburgo, dove il presidente francese Emmanuel Macron ha parlato per la prima volta. Un discorso “ansiogeno”, a tratti quasi apocalittico, in palese dissonanza con la melassa di banalità e buoni propositi che si ascoltano in genere in quell’aula.

«Non possiamo far finta di essere in un tempo normale, c’è un dubbio che attraversa molti dei nostri Paesi europei sull’Europa, una sorta di guerra civile europea sta emergendo: stanno venendo a galla i nostri egoismi nazionali e il fascino illiberale». Il rimedio è però poco più di un gioco di parole («Di fronte all’autoritarismo che ci circonda, la risposta non è la democrazia autoritaria ma l’autorità della democrazia») che non una visione di lungo periodo.

L’unica proposta concreta uscita dal suo discorso è straordinariamente flebile. Per risolvere il problema dell’ostilità all’accoglienza dei migranti, non ha trovato di meglio che «creare un programma europeo per finanziare le comunità locali che accolgono e integrano i rifugiati». Un po’ di soldi per chi accoglie e stop. Nessun progetto di integrazione (lavoro, casa, servizi, scuola, ecc.), dunque nessuna soluzione duratura. Monetizzare un problema è l’unica cosa che può venire in testa a un pollo d’allevamento cresciuto in banca (Rotschild). E che non riesce neppure a far arrivare ordini meno disumano alla sua polizia di frontiera, come a Bardonecchia...

In ogni caso, ha evocato lo spettro di una riemergente “guerra civile europea” come conseguenza del prevalere degli “interessi nazionali”. Strano discorso, per un presidente che più di tutti dovrebbe sapere che questi “interessi”, certamente forti e sussistenti, sono sollecitati soprattutto dagli svantaggi che l’operare delle multinazionali (anche della finanza) provoca negli Stati meno forti.

Diversi analisti inquadrano il suo discorso come una conseguenza della doppia tenaglia che si va stringendo su di lui. Una, tutta interna al suo paese, riguarda la fortissima opposizione sociale alle sue “riforme liberali”, che hanno portano decine di categorie ad entrare in lotta. Durissima quella dei ferrovieri, con 23 giornate di sciopero (due alla settimana) che potrebbero però arrivare a 36. I sondaggi lo danno in calo costante, mentre sale prepotente la sagoma di Jean-Luc Mélenchon, che ha da tempo superato in tromba anche i lepenisti.

La seconda sciagura, per Macron, arriva però dalla Germania. Il suo progetto di arrivare in tempi brevi – entro giugno – a una revisione dei trattati dell’eurozona, primo passo dell’“Europa a due velocità”, sembra stia per infrangersi sull’opposizione dei conservatori tedeschi – il partito di Angela Merkel – in particolare alla sua idea di un bilancio della zona euro per favorire gli investimenti.

Un “egoismo nazionale” di fonte decisamente potente, che di fatto rende impossibile anche solo immaginare una “condivisione di futuro” tra paesi forti e paesi in difficoltà: senza forme di redistribuzione interna, insomma, i primi continueranno a rafforzarsi a spese dei secondi. Con buona pace della retorica europeista.

La contraddizione di fondo del progetto Macron sta però proprio nella convinzione di poter risolvere le evidenti slabbrature interne alla costruzione europea con una dose più massiccia della vecchia medicina. Se è vero che, in teoria, un bilancio comune della zona euro consentirebbe qualche margine di manovra in più sul lato “crescita”, la via scelta da Macron è ancora quella di aggiustare il bilancio francese tagliando posti di lavoro, contratti, diritti, pensioni e salari. Ossia la vecchia ricetta dell’austerità che tanti danni ha fatto a tutti i paesi del Mediterraneo, Francia compresa (anche se il conto lo va pagando solo ora).

Italia e Spagna potrebbero – anche qui in teoria – essere a fianco di Parigi nel pretendere un cambio di passo nella gestione degli affari comunitari, ma sono due paesi in evidente crisi politica (governo precarissimo a Madrid, difficile a farsi a Roma), che faticano a tenere insieme tensioni montanti.

Non mancano contraddizioni ancora più palesi, anche se meno enfatizzate. Come quella tra il voler essere “il più europeista dei leader europei” e l’aver deciso di bombardare la Siria insieme a Usa e Gran Bretagna, contro il parere o comunque l’orientamento, del resto d’Europa.

Insomma, Macron sembra cominciare ad assomigliare a un Renzi della “seconda fase”. Quella perdente in serie...

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