Ciò che più ha fatto notizia, dell’annuale conferenza stampa di Vladimir Putin, è stata, a buon motivo, la dichiarazione circa la “sottovalutazione del rischio di un conflitto nucleare”. Si assiste, ha detto Putin, “al deterioramento del sistema internazionale di freno alla corsa agli armamenti. Gli USA escono dall’accordo sulla eliminazione dei missili a medio e corto raggio: se questi missili arriveranno in Europa, cosa faremo noi?”. La risposta è più che chiara: non potremo che reagire.
Come noto, Vladimir Vladimirovic ha toccato anche molti altri temi, ma l’attenzione generale si è ovviamente concentrata sul pericolo di scontro armato mondiale; un argomento al centro dei media di tutti i paesi, tanto che innumerevoli siti russi riportano le osservazioni dello yankee Robert Farley su “dove possa iniziare la terza guerra mondiale nel 2019”: mar Cinese meridionale, Golfo persico, Corea o Ucraina.
In effetti, se per molti un conflitto globale può apparire ancora un’ipotesi “di là da venire”, nessuno esclude uno scontro armato diretto con Kiev. Su questo versante, la situazione non accenna affatto a stabilizzarsi; oltre all’intensificazione dei bombardamenti nazisti sul Donbass (centinaia di violazioni del cessate il fuoco solo negli ultimi due-tre giorni), Mosca non nasconde di temere ulteriori provocazioni nell’area dello stretto di Kerch e del mar d’Azov: questa volta, con la diretta intromissione di USA e Gran Bretagna.
Per il portavoce presidenziale russo, Dmitrij Peskov, Mosca “non ha alcun dubbio che Poroshenko inasprirà ulteriormente i rapporti con la Russia”. E così, una fregata lanciamissili russa sarebbe stata avvistata a 1,5 miglia marine al largo di Feodosia e si starebbe dirigendo verso il mar d’Azov: Mosca sta adottando misure di fronte alla mobilitazione di reparti d’assalto ucraini verso l’area di Mariupol. In particolare, la 95° brigata d’assalto aviotrasportata, composta interamente da professionisti a contratto addestrati dalla NATO, potrebbe spingersi nelle aree dei mari Nero e d’Azov, mentre il vascello-spia britannico HMS “Echo” (H87) è giunto a Odessa, con probabile destinazione Mariupol.
Nell’area delle Repubbliche popolari, la ricognizione delle milizie ha evidenziato il dispiegamento di mezzi corazzati e blindati pesanti ucraini lungo la linea di demarcazione; anche gli osservatori OSCE hanno confermato l’arrivo in prossimità della cosiddetta “zona grigia” di carri armati ucraini, obici semoventi, sistemi razzo e cannoni di grosso calibro. Le milizie popolari (e anche Mosca, che all’epoca ne frenò l’avanzata) stanno scontando ora l’aver lasciato Mariupol ai nazisti di Kiev.
Durante la conferenza stampa del 20 dicembre, in risposta al giornalista ucraino Roman Tsimbaljuk che ha accusato Mosca di aver ridotto “in miseria e schiavitù” il Donbass, Putin ha riversato su Kiev ogni responsabilità per le sofferenze delle popolazioni di DNR e LNR, confermando che la Russia fornisce “assistenza umanitaria e di altro genere alle persone che vivono in questo territorio” e lo fa affinché “non siano definitivamente schiacciate e annientate; e continueremo a farlo”.
A proposito delle dichiarazioni di Putin, Aleksej Polubota su Svobodnaja Pressa ha raccolto le considerazioni di alcuni abitanti del Donbass. Il deputato della DNR Miroslav Rudenko ha osservato che Kiev ha “dirottato l’attenzione mondiale dal Donbass allo stretto di Kerch. In questa situazione, senza il sostegno russo, il Donbass non sopravviverebbe, dato che si confronta non solo col regime di Kiev, ma anche con tutto l’Occidente. E’ importante enfatizzarlo: al Donbass non mancherà mai il sostegno della Russia”. E tuttavia, nota Polubota, Putin ha sottolineato ancora una volta che DNR e LNR sono parte dell’Ucraina. “Putin non poteva rispondere diversamente; vediamo però che molto sta cambiando nelle questioni concrete dell’interazione tra la Russia e la nostra repubblica. L’Ucraina stessa ha creato una situazione per cui il Donbass si integra, di fatto, sempre più con la Russia”, ha detto Rudenko.
Il politologo di Donetsk Roman Manekin considera “passaggio chiave la dichiarazione di Putin secondo cui la Russia non lascerà la DNR nelle sciagure in cui l’ha precipitata Kiev. Ma, d’altronde, i cittadini di Donetsk aspettano qualcosa di più da Mosca. Senza il sostegno russo, la popolazione è destinata all’annientamento. Il Donbass attende questo dal Presidente russo; lo aspetta da quattro anni. Attendiamo che la Russia restituisca al Donbass il suo destino politico; attendiamo queste parole dalle autorità della Russia. Il popolo russo l’ha detto da tempo. Ora è il turno delle autorità”.
“Il Donbass ascolta sempre con molta ansia queste conferenze stampa”, dice una cittadina di Gorlovka; “ma sembra che le risposte non cambino mai. Putin dice che vuole la pace nel Donbass e in tutta l’Ucraina; ma, di fatto, nessuno fa nulla per questo e anzi si dice che l’Ucraina “rimane un importante partner commerciale ed economico” e il giro d’affari tra Russia e Ucraina, nonostante l’attuale genocidio del Donbass, continua ad aumentare”.
Oltre al Donbass e al pericolo di guerra, una questione in particolar modo ha attirato l’attenzione della sinistra e dei comunisti russi nella conferenza stampa di Putin: quella sociale, per molti versi a quelle strettamente legata. Il presidente russo ha accennato alla “necessità” dell’innalzamento dell’età pensionistica, una questione che sta suscitando forti movimenti di protesta; ha detto che il PIL è cresciuto del 1,7% in dieci mesi e con esso, ma molto debolmente, anche i redditi reali e, di più, l’inflazione; la disoccupazione, secondo il presidente, toccherà quest’anno il minimo storico del 4,8%, mentre crescono le riserve auree del paese. Putin ha anche ricordato che il volume dei pagamenti mondiali in dollari è leggermente diminuito, così come quello delle nostre riserve valutarie russe; il ruolo del rublo è in lieve aumento, soprattutto nei conti tra i paesi della Comunità economica euroasiatica.
Dipinto questo quadro e rispondendo al giornalista di RIA Novosti, il quale, osservando come “molti cittadini ricordino con nostalgia i tempi dell’URSS”, gli ha chiesto se ritenga “possibile la restaurazione del socialismo in Russia”, Putin ha detto di giudicarla “impossibile. Un’equa distribuzione delle risorse, un giusto atteggiamento verso le persone che vivono al di sotto della soglia di povertà, politiche statali per ridurre al minimo il numero di poveri: questa è la politica che conduciamo oggi”.
Di fronte alla risposta di Putin, ancora su Svobodnaja Pressa, Andrej Polunin ricorda che però le stime ufficiali parlano di oltre 20 milioni “non di poveri, ma addirittura di indigenti”. Secondo il Rosstat, a novembre i redditi reali sono caduti del 2,9% su base annua. Dalle regioni più periferiche si chiede quando verranno aumentati gli assegni per i bimbi invalidi; perché le pensioni minime di vecchiaia siano di appena 8.000 rubli; perché la sanità sia allo sfacelo. Ma Putin sostiene che un ritorno al socialismo condurrebbe “la Russia in un vicolo cieco” e, così, il governo sta perseguendo una “politica di equa distribuzione della ricchezza nazionale”: forse per questo abbiamo così pochi ricchi e così tanti poveri – ironizza Polunin.
Il politologo del PCFR Sergej Obukxov nota che Putin ha parlato di un surplus del 60% nel commercio estero e di una crescita di 4 volte delle operazioni correnti; ma non ha detto che anche la fuga di capitali è stata di 4 volte maggiore del previsto: circa 60 miliardi di dollari. Aumentano di 2,3 volte gli introiti da petrolio e gas di 2,5 volte dalla metallurgia, con profitti per 3 trilioni di rubli: ma ciò ha portato solo ulteriori 35 miliardi di dollari nelle tasche della “centuria d’oro” di Forbes; Putin non ha parlato, osserva Obukhov, dei 25 milioni che vivono al di sotto della soglia di povertà, dei 33 milioni che faticano a comprare il cibo, dei 60 milioni con reddito inferiore ai 20.000 rubli. Secondo RIA Rejting, tra il 20 e il 33% dei lavoratori guadagna oggi meno di 15.000 rubli: 195 euro.
In effetti, nonostante le ricchezze naturali del paese, a sinistra si rileva il basso livello di benessere della grande massa della popolazione; questo, grazie anche alle regole di bilancio imposte dal FMI, per cui dalle entrate energetiche, solo 40 dollari (la cosiddetta “soglia limite”: oggi di 40 $ al barile) vanno a impolpare il bilancio statale e tutto il resto viene speso per acquistare valuta estera (dollari). Una volta detratte le spese per estrazione e trasporto, di quei 40 $, al tesoro non rimangono che 25-28 dollari. Il resto va a finanziare il debito pubblico americano: secondo l’economista e consigliere presidenziale Sergej Glazev, le regole del FMI pompano oltre 100 miliardi $ l’anno dalla Russia. Inoltre, per il “currency board”, la Russia ha diritto di emettere moneta solo con l’acquisto di dollari: l’economia russa è formata all’80% di investimenti stranieri e ovviamente l’economia opera a vantaggio di coloro da cui proviene il denaro. Il resto, va nelle tasche degli oligarchi.
Ed ecco dunque l’intreccio politico-sociale: “E’ sintomatico che in questo quadro, Putin abbia posto l’accento sulla sottovalutazione del pericolo di guerra nucleare. Lo stile di gestione del Cremlino non cambia: mentre cala il rating di Putin e Medvedev, ci viene nuovamente detto che la Russia è una fortezza assediata”, commentano i comunisti del PCFR.
Putin parla di un “nuovo ordine tecnologico”, ma il direttore del Servizio federale antimonopolio Igor Artemev sostiene che in periferia “non c’è nemmeno il capitalismo: c’è puro feudalesimo e nepotismo. Stiamo scivolando in una nuova Russia medievale”. E’ vero, dice Obukhov: c’è una capitale consumistica, con “i consumatori spinti verso i centri commerciali, le strade piastrellate, illuminate, con feste infinite. E poi c’è il resto del paese, che si tuffa nel medioevo. Oggi è chiaro come il Cremlino governerà un tale paese: noi, cittadini comuni, ci preoccuperemo della possibilità di una guerra nucleare e di un conflitto con l’Ucraina, ci angosceremo per l’oligarca Oleg Deripaska” – (le manovre angloamericane attorno al magnate dell’alluminio e i fondi pubblici russi per salvarne le imprese meritano una trattazione a parte). Per la catastrofe ucraina, ha detto ancora Obukhov, è interamente “responsabile l’attuale leadership russa e Putin personalmente: nel 2014, una volta riunita la Crimea, si doveva riunire anche la Novorossija. Di fatto, cogliamo oggi i frutti dell’indecisione di allora e dell’illusione di mettersi d’accordo con l’Occidente. Se si fosse consentito allora alle milizie di prendere Mariupol, la situazione nel mar d’Azov e nello stretto di Kerch sarebbe stata del tutto diversa”.
Poco diverso il commento del coordinatore del Fronte di sinistra, Sergej Udaltsov, che si dice soddisfatto che “finalmente Putin abbia definito con esattezza le proprie inclinazioni di classe. Di solito, cerca di rimanere nel vago, così che ognuno si illuda su di lui. Ora, ha detto al mondo intero che non considera possibile la restaurazione del socialismo in Russia. Ha stupito tutti per una profonda conoscenza economica, aggiungendo che invece del socialismo, bisogna trattare equamente coloro che vivono al di sotto della soglia di povertà”. Finora, alcuni nostri concittadini con idee socialiste, ha detto Udaltsov, “continuavano a credere che Putin prima o poi avrebbe calato la maschera liberale e si sarebbe indirizzato verso i tradizionali sentimenti di sinistra. Ci sono tali visionari nelle nostre organizzazioni dell’opposizione di sinistra. Ora Putin ha ammesso pubblicamente di non condividere il socialismo e che si atterrà ai precetti dei classici del capitalismo e dei Chubais nostrani.
Secondo la sua visione, la “giustizia sociale non è lo sradicamento della povertà e della miseria, ma “un trattamento equo delle persone che vivono al di sotto della soglia di povertà”. E’ evidente che Putin è “sempre più apertamente in contrasto con la maggioranza dei russi e, come la storia ci insegna, il potere che entra in conflitto con gli interessi della gente è destinato al fallimento. L’unica incognita sono i tempi. Proprio in questi giorni, il sondaggio del Centro Levada ha mostrato come il numero di cittadini che si rammaricano per il crollo dell’URSS abbia raggiunto il massimo degli ultimi 15 anni: il 66%. Dunque” ha concluso Udaltsov, “ricordiamo questo giorno: 20 dicembre 2018, quando Putin ha finalmente messo da parte i sostenitori del socialismo, che sono davvero tanti in Russia. Ora nessuno ha il diritto di nutrire illusioni su una possibile “svolta a sinistra” di Putin. Dopo il 20 dicembre, chiunque si definisca sostenitore del socialismo e sostenga Putin deve decidere: o per il socialismo, o per Putin. Perché queste, come ci ha spiegato lo stesso presidente, sono due categorie incompatibili”.
Se, come tesi, l’atteggiamento popolare nei confronti dell’URSS è stato rappresentato, lo scorso 21 dicembre, dall’autentica montagna di fiori sulla tomba di Stalin, in occasione del 139° anniversario della nascita; mentre quello della leadership, come antitesi, dalla presenza di Putin all’inaugurazione del monumento a Aleksandr Solzhenitsin e dalla moneta che la zecca gli ha dedicato; allora la sintesi è data dall’atteggiamento nei confronti di Anatolij Chubajs, che simboleggia tra la gente le privatizzazioni predatorie eltsiniane ed è visto oggi come l’eminenza grigia di un potere politico al servizio degli oligarchi.
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