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11/08/2019

Alla Germania tutto è consentito

Un sistema che non funziona più o cambia o muore. Pure se ti chiami “Germania” e hai imposto per 30 anni il tuo modello a tutta l’economia continentale, guadagnandoci e riscrivendo le filiere produttive in funzione delle tue.

Che l’economia europea e soprattutto tedesca, nel nuovo mondo multipolare e col mercato sempre meno “globalizzato”, stia soffrendo pesantemente non è più un segreto per nessuno. A giugno l’indice della produzione industriale della maggiore economia dell’Eurozona ha segnato una flessione dell’1,5% rispetto al mese precedente e del 5,2% su base annua.

Non è stato certo un fulmine a ciel sereno, ma il punto d’approdo di un processo che dura ormai da qualche anno e che segna la fine del modello “export oriented” (bassi salari, precarietà, zero investimenti pubblici, eliminazione progressiva dello Stato sociale, per favorire le esportazioni in termini di prezzo), il cui corollario è più noto con il termine di politiche di austerità. Le conseguenze di queste politiche sono note sia sul piano sociale (impoverimento della stragrande maggioranza delle popolazioni europee), sia su quello industriale (disincentivo all’innovazione, rallentamento dello sviluppo tecnologico, arretratezza rispetto alle economie più dinamiche, a cominciare da quella cinese, ecc).

La logica imporrebbe di abbandonare velocemente quel modello, ma la competizione capitalistica fa a cazzotti con la logica. Vista la straordinaria rendita di posizione guadagnata dell’economia tedesca, il problema per il governo di Berlino è “fare qualcosa” senza però allentare le redini del comando sull’economia continentale, ferreamente disciplinata secondo le regole dei trattati europei (scritti sotto moral suasion germanica).

Aveva cominciato già all’inizio del 2019 il ministro democristiano dell’economia, Peter Altmaier, presentando un “piano” ultradecennale che riscopre il sempre maledetto “intervento dello Stato nell’economia”. Ora fa un concreto passo in avanti il ministro delle Finanze Olaf Scholz, socialdemocratico, stanziando investimenti pubblici per circa 40 miliardi l’anno da qui al 2023, per «innovare e modernizzare il Paese». Economia digitale, lotta al cambiamento climatico, ecc.

Non è finita. Altri 100 miliardi, nello stesso periodo, per potenziare istruzione e ricerca e sviluppo (a conferma dell’arretratezza tecnologica ora diventata palese, specie dopo il dieselgate di Volkswagen). E persino “spesa sociale”, al momento non meglio dettagliata.

Una mezza rivoluzione, che ha sorpreso – positivamente – anche gli addetti dei giornali ultra-liberisti italiani, tra cui IlSole24Ore, organo di Confindustria, con l’articolo che qui di seguito vi proponiamo.

Mezza e non intera, naturalmente, perché “il modello” non viene affatto messo in discussione, ma si tenta semplicemente di mantenerlo in vita apportando ritocchi anche molto sostanziosi, ma che non ne mettano a rischio i fondamenti strutturali.

Soprattutto, senza assolutamente mollare le redini sul resto d’Europa. Anzi, praticando in solitudine la serie di “eccezioni alle regole europee” che Berlino ha sempre praticato mentre bacchettava (a colpi di procedure di infrazione e balzi in alto dello spread) anche piccoli conati di altri paesi in tale direzione. Basterebbe ricordare la pratica, inaugurata di recente, di congelare presso la banca centrale nazionale (Bundesbank) la quota di titoli di Stato non venduti in asta, riservandosi di immetterli in un altro momento sul mercato “secondario”. In pratica, tornando ai tempi in cui Bankitalia comprava i Btp per tenere basso il rendimento dei titoli, anche se “i mercati” avrebbero preferito una soluzione opposta.

La Germania può, gli altri no. E la Bce tace, naturalmente.

Non c’è dunque da “esultare” immaginando una prossima virata “keynesiana” dell’Unione Europea. Si va invece verso un indurimento dell’austerità per quasi tutti e qualche margine di “flessibilità” in più soltanto per chi comanda.

In fondo con queste centinaia di miliardi di investimento la Germania non rischi di aumentare il proprio debito pubblico, visto che è l’unico paese dell’Eurozona da anni con rendimenti negativi sui propri titoli di Stato. Tradotto: può rifinanziare a gratis il proprio debito, anzi, guadagnandoci qualcosa...

Del resto è così che funziona la “competizione”, no?

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Berlino, braccio di ferro sul nuovo indebitamento per investimenti

Isabella Bufacchi – IlSole24Ore

Il ministro delle Finanze Scholz ribadisce l’obiettivo del pareggio di bilancio. Ma all’interno della Spd cresce la pressione per nuovi piani di stimolo

Investimenti pubblici record poco sotto i 40 miliardi l’anno tra il 2020 e il 2023 – di cui 5 miliardi solo per la digitalizzazione – per «innovare e modernizzare il Paese»: un totale di 159 miliardi che rappresenta un aumento del 30% rispetto al quadriennio precedente.

Maggiori spese mirate al sociale e al cambiamento climatico, sebbene sul clima le politiche in dettaglio si sapranno a fine anno, nonostante circolino indiscrezioni – non confermate – di maxipiani a protezione del clima e l’ipotesi di un aumento dell’Iva sulla carne come mezzo per finanziarlo, almeno in parte.

Oltre 100 miliardi di euro saranno destinati all’istruzione e alla ricerca e sviluppo nei prossimi quattro anni. Un pacchetto di tagli delle tasse tra i più pesanti degli ultimi dieci anni (secondo un documento del Ministero delle finanze federale la GroKo avrebbe ridotto le tasse per la prima volta nel 2019 da anni, con il gettito fiscale diminuito rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso a 155,6 miliardi): le tasse sono ora più leggere per le classi meno agiate, sebbene le tasse societarie siano tra le più alte in Europa e l’industria tedesca, soprattutto manifatturiera, ne stia reclamando da tempo la riduzione per disporre di più mezzi per contrastare il rallentamento economico.

Per lo meno la tassa di solidarietà, che ha finanziato la riunificazione, dal 2021 sarà stata cancellata per il 90% dei contribuenti.

Un emendamento nel patto di stabilità interno, inoltre, consente allo Stato federale di finanziare direttamente i Länder e le autorità locali per le scuole, il trasporto pubblico e la costruzione di case popolari per l’edilizia sociale.

Così la GroKo, la Grande coalizione Cdu-Csu e Spd, si è attrezzata per fronteggiare le sfide del momento, prima tra tutte quella del rallentamento della crescita economica in Germania: una sfida questa che il governo rischia di perdere se la Germania dovesse entrare in recessione tecnica nel secondo e terzo trimestre di quest’anno.

Ma la GroKo non sembra al momento intenzionata ad allentare i cordoni della spesa pubblica. Conferma infatti la linea del rigore sui conti pubblici che saranno tenuti sotto controllo, per portare il debito/Pil sotto il 60% quest’anno: la tesi è che il rallentamento dell’economia, pur con un mercato del lavoro che continua a sostenere la domanda interna e il gettito fiscale, ha già ridotto e potrebbe ridurre ulteriormente la crescita delle entrate tributarie rispetto agli ultimi anni: il gettito fiscale dovrebbe calare di 6,8 miliardi nel 2020, per un taglio totale fino a 33,7 miliardi al 2022.

A tutto questo il socialdemocratico ministro delle Finanze Olaf Scholz il 26 giugno ha messo la firma: un disegno di legge del bilancio federale 2020 e un programma finanziario fino al 2023 «senza nuovi debiti», garantendo «in modo decisivo il calo quest’anno del debito/Pil sotto la soglia di Maastricht del 60% per la prima volta in 17 anni», al 58,75% come previsto nel budget. Una posizione dalla quale non ha intenzione di schiodarsi, per ora. Con una crescita che pur rallentando quest’anno allo 0,5% per le stime del governo, dovrebbe tornare all’1% o anche sopra nel 2020.

La Germania è «ben preparata per le sfide future», si legge in una nota del ministero delle Finanze che, nella puntualizzazione, sembra voler qui mettere il punto alle spese per investimento così come sono ora pianificate.

Intanto però la politica monetaria ultra-accomodante della Bce, che preannuncia nuovi tagli dei tassi e una possibile riapertura del QE, è oramai sempre più spesso abbinata al flight to quality per via delle incertezze macroeconomiche. E queste due forze messe assieme hanno portato a inizio agosto sotto lo zero per cento l’intera curva dei rendimenti dei titoli di Stato tedeschi fino a 30 anni, facendo crollare il costo del rifinanziamento del debito a livelli senza precedenti.

Le stime del ministero delle Finanze restano per ora prudenti sul taglio della spesa degli interessi per il rifinanziamento di un debito pubblico che ha lo stock vistosamente in calo: 2,24 miliardi di costo del rifinanziamento in meno nel 2020 e 6,16 miliardi in meno cumulati nel triennio 2021-2023.

Olaf Scholz va per la sua strada, che è anche la strada maestra della cinghia stretta sui conti pubblici che preferiscono gli altri due partner della grande coalizione, Cdu e Csu. Ma nel partito del ministro delle finanze non la pensano tutti così: la corsa alla leadership dell’Spd, che attraversa la più grave crisi esistenziale della sua storia, ha portato la campagna dei candidati inevitabilmente sul terreno fertile e solitamente acchiappavoti della maggior spesa pubblica.

«Abbiamo bisogno di una massiccia espansione degli investimenti pubblici nelle energie rinnovabili. Lo zero nero (ndr. zero aumento di debito) è privo di senso dal punto di vista economico ed ecologico», ha dichiarato Karl Lauterbach, che assieme a Nina Scheer mira alla leadership dell’Spd.

Lauterbach è arrivato a mettere in discussione il freno sul debito, che è nella costituzione: «Quando si investe nell’istruzione e nell’ambiente, il freno all’indebitamento non dovrebbe essere applicato», ha detto. Christian Lindner, leader del partito liberale Fdp, ha invitato il Governo a non deviare dallo “schwarze Null”.

Al ministero delle Finanze ricordano, a chi critica l’elevato surplus di bilancio, che la GroKo ha impiegato mesi per formarsi e per mettersi d’accordo sul programma di governo. Di conseguenza, dopo le elezioni che si tennero nel settembre del 2017, il primo Budget federale del nuovo governo è stato adottato dal Bundestag nel giugno del 2018.

Nei mesi precedenti, il budget è andato avanti con il pilota automatico, senza la possibilità di introdurre misure urgenti: i primi impatti del budget arrivano dunque in ritardo, anche oltre il 2019.

Il mercato del lavoro, con piena occupazione e una disoccupazione ai minimi storici (sia pur in lievissimo rialzo in luglio), è uno dei punti di forza della strategia del governo e di Scholz per dimostrare che non c’è crisi né emergenza sul fronte dell’economia in Germania.

Resta da vedere se questa posizione di Cdu-Csu e Spd nella GroKo si ammorbidirà, al cospetto di un Pil negativo nel secondo trimestre di quest’anno, con Donald Trump che potrebbe introdurre dazi sulle auto tedesche, con una hard Brexit oppure con una batosta elettorale nelle elezioni in Sassonia, Brandeburgo e Turingia in arrivo in autunno.

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