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19/08/2019

Agosto ’74: (quasi) tutto pronto per il golpe bianco

Riprendiamo dalla Bottega del Barbieri una ricostruzione storica del tentato golpe del 1974 vista alla luce delle ultime misure “securitarie” del governo gialloverde.

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Scrivo queste righe – sul tentato golpe dell’agosto 1974 – poche ore dopo l’approvazione del decreto “sicurezza bis” voluto da Lega e M5S. Decreto che, oltre a punire chi soccorre naufraghi, limita fortemente il diritto di manifestazione e di dissenso politico. Non posso quindi fare a meno di far notare, in maniera un po’ pedante, a lettori-lettrici più giovani come il problema del mantenimento degli spazi democratici in Italia sia rimasto immutato negli ultimi cinquanta anni. Restare in silenzio ci rende complici. (GC)

«Negli anni ’70 c’erano persone pronte a sparare contro chi avesse deciso di governare con i comunisti... Oggi la Dc si guarda bene dal dire queste cose perché ha paura. Ma noi prendemmo l’impegno di sparare contro coloro che avessero fatto il governo con i comunisti. Nei partiti di governo allora c’erano anche dei vigliacchi, dei traditori, pronti a governare con i comunisti... Nel maggio 1970 furono fondati i Comitati di Resistenza Democratica il cui obiettivo era impedire con ogni mezzo che il Pci andasse al potere, anche attraverso libere elezioni... Non si poteva sottoporre ad alcuna regola un duello all’ultimo sangue in cui non potevamo accettare regole e limiti di legalità e legittimità, sapendo che avremmo potuto contare sull’appoggio degli Stati Uniti e degli altri Paesi Nato».

Così – nella sua deposizione al pubblico ministero per la strage dell’Italicus, riportata nella sentenza – Edgardo Sogno spiega la funzione del suo gruppo e il ruolo che ebbe nel tentato golpe dell’agosto 1974.

Sogno è una figura centrale nell’eversione fascista degli anni ’70 in Italia. Ex partigiano bianco, monarchico, visceralmente anticomunista, iniziò a preparare una repubblica presidenziale, che avrebbe dovuto sovvertire la Costituzione italiana, già dalla fine degli anni ‘60. Il suo gruppo, con molti elementi che si scoprirà poi essere legati anche alla loggia P2 di Licio Gelli, è uno dei perni dell’eversione antidemocratica e atlantica degli anni più insanguinati della repubblica italiana, quelli delle stragi e dei tentativi di rovesciare i governi democraticamente eletti.

L’Italia degli anni ’70 vede l’irresistibile ascesa elettorale del Partito comunista italiano. Un’anomalia nell’Europa occidentale legata agli Usa e alla Nato, un pericolo geopolitico per l’organizzazione del mondo uscita dagli accordi di Yalta al termine della seconda guerra mondiale, cioè la spartizione in zone d’influenza tra Usa e Urss. Un elettore su tre in Italia vota comunista e in molti Comuni e Regioni il Pci già governa. Il timore che vinca le elezioni disturba le notti degli uomini di Washington e dei loro servili alleati occidentali. Lo ha capito bene il segretario comunista Enrico Berlinguer, che in quegli anni – ragionando sul golpe sanguinoso che ha rovesciato in Cile il governo democraticamente eletto di Salvator Allende – elabora la teoria del compromesso storico, un incontro tra le forze democratiche costituzionali in cui i comunisti italiani, abbandonando le velleità rivoluzionarie bolsceviche, si pongono all’interno della Nato per un governo progressista.

Ma tutto ciò non basta alla fortissima componente di eversione atlantica che si nasconde nei punti chiave delle istituzioni italiane. Già negli anni ’60 il generale dei carabinieri De Lorenzo aveva ideato un golpe, il Piano Solo (“solo” i carabinieri dovevano portarlo a termine) per contrastare l’ingresso nell’area governativa del Partito Socialista italiano voluto dal democristiano Aldo Moro. Il piano prevedeva l’arresto e la deportazione in basi militari di tutti i leader di sinistra. Ma la scoperta del piano e il successivo allontanamento di De Lorenzo dal comando dei carabinieri non era bastato a sopire le velleità reazionarie che si annidano all’interno delle istituzioni repubblicane.

Arrivano le bombe: la strage di piazza Fontana nel ’69, il sabotaggio dei binari a Gioia Tauro nel ’70, la strage di Peteano nel ’72 e quella alla questura di Milano nel ’73. Nel 1974, quando Edgardo Sogno ha disposto già le sue pedine per il golpe “bianco”, sono due le stragi che insanguinano la penisola. Il 28 maggio esplode la bomba che in piazza della Loggia a Brescia uccide otto persone e ne ferisce gravemente un centinaio. Poco dopo, il 4 agosto, una bomba esplode sul treno Italicus all’altezza di San Benedetto Val di Sambro, in provincia di Bologna, provocando dodici morti e centocinque feriti.

È in questo contesto – dove il destino della democrazia italiana sembra appeso a un filo – che Edgardo Sogno dà vita al suo progetto golpista. Un progetto che è sempre stato sminuito nella sua portata reale anche dagli storiografi contemporanei, Sogno uscirà senza conseguenze penali dall’inchiesta gestita dall’allora magistrato Luciano Violante. Ma che il tentativo di golpe ci sia stato lo dicono le carte e lo racconta lo stesso Sogno qualche anno dopo al magistrato, nell’estratto del processo per la strage dell’Italicus con cui abbiamo aperto questo articolo.

Il confuso impianto politico di base sul quale si muove Sogno è quello di una repubblica presidenziale simile a quella che in Francia in quel momento ha come dominus Charles De Gaulle. Sogno prese contatti con diversi generali e preparò un progetto di governo. Nelle sue intenzioni, doveva svolgersi «un’operazione largamente rappresentativa sul piano politico e della massima efficienza sul piano militare.

Lo scopo era spingere il presidente della Repubblica Giovanni Leone a nominare un nuovo governo capace di modificare la Costituzione in senso presidenzialista, con a capo Randolfo Pacciardi, che fu più volte segretario del Partito Repubblicano, ma poi ne venne espulso. Un ruolo importante, come accennato, lo ebbe la massoneria della loggia P2, a cui aderirono oltre a Sogno molti dei personaggi coinvolti in questo tentativo.

Nel 1976 il magistrato Luciano Violante lo accusò di aver pianificato insieme a Randolfo Pacciardi e Luigi Cavallo il cosiddetto golpe bianco «al fine di mutare la Costituzione dello Stato e la forma di governo con mezzi non consentiti dall’ordinamento costituzionale». Sogno finì per un mese e mezzo in carcere con Luigi Cavallo, che secondo Violante era il vero ideatore del “Golpe bianco”. Cavallo era stato a lungo corrispondente dell’Unità, non era un personaggio di secondo piano nel partito comunista.

Alla Conferenza della Pace del 1947 Cavallo accompagnò Palmiro Togliatti in veste di tecnico delle questioni geografiche, economiche, demografiche e linguistiche relative ai confini italo-jugoslavi, in alcuni incontri all’Ambasciata sovietica di Parigi con Molotov, Manuilskij e con il diplomatico moscovita Vidiassov, l’alta dirigenza della politica estera sovietica. Ebbe poi una crisi politica e morale – o almeno così disse – prima degli anni ’50, che lo portò a una critica radicale del mondo comunista e iniziò la sua collaborazione con Pacciardi. Entrambi hanno sempre negato pubblicamente che un “Golpe bianco” sia esistito anche solo come progetto.

L’istruttoria fu alla fine sottratta al suo luogo naturale e trasferita a Roma, costringendo Violante a dichiararsi territorialmente incompetente nel proseguire l’indagine.

Soltanto molti anni dopo Sogno ammetterà che era già pronta anche la lista dei ministri per il governo del dopo-Golpe. Eccola:

Presidente del Consiglio: Randolfo Pacciardi (UDNR, unione democratica per la nuova repubblica, ex PRI)

Sottosegretari alla presidenza del Consiglio: Antonio de Martini (UDNR) e Celso De Stefanis (DC)

Ministro degli Esteri: Manlio Brosio (PLI)

Ministro dell’Interno: Eugenio Reale (ex PCI, poi area PSDI, che però rifiutò di aderire)

Ministro della Difesa: Edgardo Sogno (ex PLI, Comitati di Resistenza Democratica)

Ministro delle Finanze: Ivan Matteo Lombardo (PSI)

Ministro del Tesoro e del Bilancio: Sergio Ricossa (indipendente, economista)

Ministro di Grazia e Giustizia: Giovanni Colli (indipendente, procuratore generale della Cassazione)

Ministro della Pubblica istruzione: Giano Accame (indipendente, ex MSI, giornalista e scrittore)

Ministro dell’Informazione: Mauro Mita (ex PRI, UDNR)

Ministro dell’Industria: Giuseppe Zamberletti (diplomatico, DC)

Ministro del Lavoro: Bartolo Ciccardini (DC)

Ministro della Sanità: Aldo Cucchi (ex PCI)

Ministro della Marina mercantile: Luigi Durand de la Penne (ex DC e PLI, ammiraglio e unico militare della lista)

Il motivo per cui Sogno e Pacciardi decisero di far pressione sul presidente della Repubblica Giovanni Leone va cercato anche nella paura di una parte della borghesia italiana (che non si riconosceva nemmeno nel Movimento Sociale italiano, il partito neofascista erede delle rovine della repubblica di Salò, che non votò la Costituzione italiana nata dalla Resistenza) che i comunisti andassero al governo.

Il segnale che una parte della Dc non era affatto ostile a un’intesa (allora vaga) con il Pci di Berlinguer venne dai movimenti interni alla sinistra di quel partito, più sensibile – almeno a parole – alle lotte nelle fabbriche e per i diritti civili che scuotevano l’Italia di allora, ritenendo che il coinvolgimento del Pci nell’area di governo avrebbe messo un freno alla conflittualità sociale.

Ma la destra che si riconosce nel tentativo di Sogno non è quella classica italiana che rimpiange il fascismo: è una destra eversiva di stampo filo atlantico, con contatti provati con la Cia e con Gladio, che magari non rimpiange il vecchio fascismo ma è disposta a sostenerne uno nuovo adeguato ai tempi: per qualche verso è addirittura più pericolosa dei nostalgici del duce.

La destra “perbene” sostenne, con Indro Montanelli in testa, che le accuse a Sogno erano bufale. Vennero poi smentite dal testamento stesso lasciato da Edgardo Sogno e dalla rivelazione fatta anni dopo da Norberto Bobbio che era prevista l’eliminazione di alcuni “sovversivi” e di mettere in campi di prigionia altri esponenti del Pci, dei sindacati e delle realtà sociali antifasciste.

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