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19/08/2019

La parola allo Zio Ho a proposito di “Patriottismo e Internazionalismo”

Negli ultimi mesi la discussione sul concetto di “sovranità” è stata egemonizzata da concezioni teoriche e culturali reazionarie. Spesso qualsiasi allusione a questo tipo di categoria è stata bollata come una concessione al nazionalismo borghese o a presunte derive da “piccole patrie”.

Costantemente, specie da parte degli epigoni della “sinistra” tale ragionamento viene catalogato come una variante del leghismo e associato all’altro grande ossimoro di questa bizzarra stagione politica: il sovranismo.

Eppure il marxismo, particolarmente nei punti alti dell’esperienza del movimento comunista internazionale, ha sempre affrontato e trattato la “questione nazionale” non disdegnando – sulla base del fondamentale metodo “analisi concreta della situazione concreta” – di misurarsi, senza complessi di inferiorità teorica o di subordinazione politica, con lo stesso concetto di “patria”.

Questo cimento politico/pratico è avvenuto non solo nell’ambito delle lotte di liberazione nazionale dal vecchio ordine colonialista e/o imperialista, nei paesi del Sud del mondo, ma si è concretamente palesato anche nelle battaglie politiche che i comunisti hanno affrontato, a vario titolo, nel cuore dell’Occidente capitalista durante il Novecento.

Da tale punto di vista le resistenze antifasciste durante e subito dopo il secondo conflitto mondiale (quella Jugoslava e Greca in primis, ma – per molti aspetti – anche quella Italiana) sono state paradigmatiche di come i comunisti declinarono il tema della “patria” nei vari contesti in cui agivano. Probabilmente, al giorno d’oggi, si può discutere e problematizzare gli esiti avveratisi, ma non possiamo non riconoscere la positiva e matura attitudine che i partiti comunisti riuscirono a mettere in campo quando furono chiamati ad intervenire dentro giganteschi sommovimenti sociali e politici.

Ma relegare al Novecento questa battaglia teorica e politica sarebbe una omissione storica ed un grave errore politico nei confronti dell’attuale corso generale della crisi capitalistica. Nella fase degli Imperialismi e della ripresa della competizione globale tra blocchi politici e monetari il tema di quali forme di Patriottismo/Sovranità siano utili agitare ed affermare nella classe non è una operazione astratta, ma è un dibattito necessario per consolidare una efficace lotta antimperialistica rapportata alle contraddizioni della nostra contemporaneità.

Intanto – mentre procede la definizione/costruzione del polo imperialista europeo nell’ambito della più generale competizione inter-imperialistica – ritorna, sicuramente con modalità di esemplificazione diversa rispetto al passato, l’esigenza di una battaglia culturale e politica a difesa della “sovranità nazionale” e della “sovranità popolare” contro i moderni dispositivi normativi ed economici che l’Imperialismo di casa nostra (quello Europeo) dispiega in ogni campo.

L’opera di aperta manomissione diplomatica, finanziaria, economica e militare perpetrata dalla borghesia continentale europea rende attuale una necessaria riqualificazione di questa battaglia politica per continuare a mantenere aperta la possibilità e l’opzione politica e programmatica di una alternativa popolare e di classe.

Ovviamente nei paesi del Sud del Mediterraneo, dove i processi antisociali di concentrazione/centralizzazione del capitale Europeo si avvertono maggiormente la lotta per una vera “Sovranità Nazionale/Popolare” deve essere ripresa adeguatamente e riconnessa alla più generale battaglia per la Rottura della gabbia dell’Unione Europea e la costruzione di una prospettiva Euro/Mediterranea che sappia affascinare popoli, paesi, culture ed economie mortificate dai variegati programmi di austerity e di “contenimento del debito” elaborati a Francoforte, Bruxelles e Berlino.

La interessante pubblicazione – da parte dei compagni dell’Associazione Politica “MARX XXI°” – della raccolta degli scritti di Ho Chi Minh (Patriottismo e Internazionalismo 1919 – 1969), redatti in vari periodi della sua vita di dirigente comunista, prima in Francia e poi in Vietnam, dedicata a questo complesso tema, è un ottimo contributo alla riapertura di un dibattito pubblico fuori e contro la consumata e mistificante grancassa mediatica che, nell’ultimo periodo, ha appestato la discussione.

L’autore – lo Zio Ho – pur muovendo la sua elaborazione da temi e snodi politici attinenti la liberazione del Vietnam e le questioni della lotta agli occupanti francesi e, poi, a quelli statunitensi non smarrisce mai di collocare tali suggestioni teoriche e queste vere e proprie lezioni politiche in un contesto internazionalista e nel solco della più generale battaglia per la trasformazione dei rapporti sociali e per il Socialismo.

Un eccellente contributo, sperimentato in decenni di scontri politici e militari di grande complessità, dove il rivoluzionario vietnamita ha saputo dialettizzare il pensiero di Marx, Engels e di Lenin alle contraddizioni del contesto in cui agiva, alla dimensione del conflitto locale ed internazionale di quegli anni ed alla lotta internazionalista per il Socialismo.

Riproduciamo, dal testo che segnaliamo, un estratto dal significativo titolo:

“Il cammino che mi ha portato al leninismo”.

Articolo scritto per la rivista sovietica Problemy Vostokovedenija (Problemi di studi orientali) n° 2, 1960, in occasione del novantesimo anniversario della nascita di Lenin. 22 aprile 1960

Subito dopo la Prima Guerra Mondiale sono andato a vivere a Parigi, facendo allo stesso tempo l’impiegato presso un fotografo e il disegnatore di antichità cinesi (fabbricate da una ditta francese!). Spesso distribuivo volantini che denunciavano i crimini commessi dai colonialisti francesi in Vietnam.

A quel tempo, sostenevo la Rivoluzione d’ottobre semplicemente per una specie di simpatia spontanea. Non avevo ancora compreso tutta la sua importanza storica. Amavo e rispettavo Lenin, semplicemente perché era un grande patriota che aveva liberato i suoi compatrioti; fino ad allora non avevo letto nessuno dei suoi libri.

Aderii al Partito Socialista Francese perché quei “signore e signori” — così chiamavo i miei compagni in quei giorni — avevano manifestato la loro simpatia per me e per la causa dei popoli oppressi. Ma non avevo ancora capito cosa fossero un partito, un sindacato, il socialismo, il comunismo.

A quell'epoca, nelle sezioni del Partito Socialista si tenevano discussioni accalorate: restare nella Seconda Internazionale, fondare una Internazionale “Due e mezzo”[1] o unirsi alla Terza Internazionale di Lenin? Io partecipavo regolarmente agli incontri, due o tre volte alla settimana, e ascoltavo con attenzione chi parlava. All'inizio, non capivo. Perché quelle discussioni li accaloravano tanto? Forse che non si poteva fare la rivoluzione con la II Internazionale, o con quella “Due e mezzo” o con la Terza? Perché accanirsi a discutere? E la Prima Internazionale? Cosa ne era stato?

Quello che volevo sapere soprattutto – e che non veniva dibattuto alle riunioni – era: quale Internazionale sta al fianco dei popoli dei Paesi coloniali?

Sollevai la questione – la più importante per me – durante una riunione. Qualche compagno rispose: è la Terza, non la Seconda Internazionale. Un compagno mi diede da leggere le “Tesi sulla questione nazionale e coloniale”[2] di Lenin, pubblicate da l’Humanité.

In quelle tesi c’erano termini politici difficili da capire. Ma leggendole e rileggendole parecchie volte riuscii infine a coglierne l’essenziale. Le tesi di Lenin destarono in me grande commozione, un grande entusiasmo, una grande fede, e mi aiutavano a vedere chiaramente i problemi. Ho persino pianto di gioia. Come se mi rivolgessi alle masse, ho gridato: “Compatrioti oppressi e miseri, questo è ciò di cui abbiamo bisogno. Questa è la strada per la nostra liberazione!“.

Da allora, ho riposto la mia intera fiducia in Lenin, nella Terza Internazionale.

Prima di quel momento, durante le riunioni della sezione, avevo solo ascoltato gli altri discutere. Avevo un vago sentimento che ciò che ogni oratore diceva avesse un che di logico, e non ero capace di distinguere chi avesse ragione e chi avesse torto. Ma da quel momento in poi, anch'io presi a tuffarmi nei dibattiti e a partecipare con fervore alle discussioni. Nonostante l’insufficiente conoscenza della lingua francese non mi consentisse di esprimere in modo completo le mie idee, mi opponevo vigorosamente a tutti quelli che erano contrari a Lenin, alla Terza Internazionale. La mia unica argomentazione consisteva nel dire: “Come potete ritenervi rivoluzionari se non condannate il colonialismo, se non difendete i popoli oppressi e sfruttati?”.

Non solo presi parte alle riunioni della mia sezione, ma andai anche nelle altre sezioni del partito per difendere la “mia” posizione. Qui devo dire ancora che i compagni Marcel Cachin, Vaillant-Couturier, Monmousseau e molti altri mi aiutarono ad ampliare le mie conoscenze. In effetti, al Congresso di Tours, votai con loro perché ci unissimo alla Terza Internazionale.

All'inizio fu il patriottismo, non ancora il comunismo, a portarmi ad avere fiducia in Lenin, nella Terza Internazionale. Solo gradualmente, nel corso della lotta, studiando la teoria marxista-leninista e partecipando al lavoro pratico, sono giunto alla conclusione che solo il socialismo, solo il comunismo può liberare dalla schiavitù sia i popoli oppressi che i lavoratori di tutto il mondo. Compresi come il vero patriottismo e l’internazionalismo proletario siano inestricabilmente legati tra loro.

C’è una leggenda, nel nostro Paese come in Cina, su una magica “borsa di broccato”. Quando si trova di fronte a grandi difficoltà, uno la apre e ci trova dentro una via d’uscita. Per noi rivoluzionari vietnamiti e per il nostro popolo, il leninismo non è solo una miracolosa “borsa di broccato”, una bussola, ma anche un sole raggiante che illumina il nostro cammino verso la vittoria finale, il socialismo e il comunismo.

Note

[1] Dopo il fallimento della II Internazionale, decretato, ai primi di agosto 1914, dal voto della maggior parte dei partiti socialisti europei (francese, tedesco, austriaco, inglese) per i crediti di guerra dei rispettivi Paesi l’un contro l’altro armati, e la fondazione dell’Internazionale comunista (2 marzo 1919), alcuni esponenti socialisti — tra cui Friedrich Adler, Karl Kautsky, Otto Bauer, Jean Longuet, Robert Grimm — lanciarono il progetto, che non ebbe però grande seguito, di un’altra Internazionale che si collocasse a metà tra la II e la III (e perciò chiamata “Due e mezzo”) per  riunificare tutte le correnti del movimento operaio internazionale.

[2] Le Tesi furono approvate dal II Congresso della III Internazionale (19 luglio-l 7 agosto 1920, tra Pietrogrado e Mosca). Lenin vi apportò un contributo fondamentale: cfr. il “Primo abbozzo di Tesi sulle questioni nazionale e coloniale”, in V. I. Lenin, Opere complete, vol. XXXI, Editori Riuniti, Roma 1967, pp. 159-165.

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