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20/08/2019

Conte la dice tutta e si dimette. I due Mattei straparlano

L’unica cosa chiara, esposta anche in modo onorevole, sono le dimissioni di Giuseppe Conte, e quindi del governo. Il resto è nella mani del signore delle tenebre.

L’attesa per le “comunicazioni del presidente del consiglio” era probabilmente anche esagerata, ma in qualche modo incentivata da un percorso istituzionale fuori da ogni precedente ed esperienza, anche per un paese che è passato per impicci immondi (l’asse Dc-Pci, il Craxi-Forlani-Andreotti, gli anni di Berlusconi, le miserie dell’Ulivo, l’invasione della Ue con il governo Monti, la staffetta Letta-Renzi e infine il pastrocchio gialloverde).

E invece abbiamo visto un professore che ha provato a fare lo statista senza averne probabilmente la statura e sicuramente non “la gavetta” necessaria. Giuseppe Conte ha però giganteggiato rispetto a Salvini e Renzi – almeno agli occhi di chi comprende la complessità e le responsabilità dei meccanismi istituzionali – interpretando onestamente la parte che la Storia gli aveva affidato.

L’attacco a Salvini è stato perciò serio, puntuale documentato, articolato, senza dimenticare quasi nulla di rilevante nelle cazzate commesse da Mr. Mojito in veste di ministro dell’inferno. Gli ha rimproverato tutto, dal Russiagate allo sventolamento del rosario, dalle invasioni di campo in altri ministeri, fino al tentativo di “capitalizzare” il consenso a fini personali e di partito. Un discorso senza sconti.

Appena sporcato – è il caso di notarlo – dalla lunga seconda parte di discorso dedicata a “quel che si dovrebbe fare per l’Italia” che è suonato come un “se volete, posso restare premier di un altro governo...”

Definitivo, si sarebbe potuto dire, se questo paese avesse un’opinione pubblica costruita secondo gli standard della democrazia liberale.

Sappiamo tutti che così non è e dunque la partita che si è aperta anche formalmente in queste ore può avere qualsiasi esito.

Salvini e Renzi, parlando uno dopo l’altro, hanno messo in evidenza che nella classe politica “emergente” o emersa nell’ultimo decennio non esiste alcuna considerazione per la cornice costituzionale. Espressioni identiche degli stessi gruppi di interesse – più massonico-bancari quelli dietro il guitto di Rignano, più piccola-media impresa contoterzista alle spalle del Truce – hanno recitato esattamente la parte che è stata da tempo assegnata loro.

Salvini nelle vesti del tribuno di una parte di popolo corrotto ed egoista, ansioso contemporaneamente di avere un “capo forte” e di poter fare i propri affari senza rispettare alcuna regola, razzista e bigotto (con le scelte di vita altrui), confuso e voglioso di non sapere nulla per poter restare chiuso nel proprio orto.

Un discorso identico a quello che gli abbiamo sentito fare sulle spiagge estive, ma imbolsito, vuoto di contenuti (“tutto chiacchiere e distintivo”...), spesso confusionario, fatto manifestamente a favore delle telecamere e non dell’aula. In certi momenti era quasi palese che si rende conto di aver sbagliato parecchi calcoli.

E l’altro Matteo, specularmente, a recitare la finta parte del “progressismo”, limitato quasi soltanto alle modalità di gestione dell’immigrazione (dimenticando gli orrori di Minniti, con lui premier) e alla doppia fedeltà, verso la Nato e l’Unione Europea.

Fin troppo evidente questo “offrire” l’un l’altro esattamente l’immagine che serve per proseguire nella “comunicazione” stantia delle rispettive sponde.

Una nota di ridicolo, però, Salvini ha voluto lasciarla in sovrappiù, quando – andando verso le conclusioni – ha provato a riaprire la porta ad un proseguimento impensabile di questo governo_ “votiamo la riduzione dei parlamentari”, addirittura “facciamo una manovra finanziaria coraggiosa”, restando ovviamente ministro...

In generale, e in attesa delle mosse successive – terminato il dibattito in Senato, Conte salirà al Quirinale per rassegnare le dimissioni e far partire le consultazioni del Presidente della Repubblica – abbiamo avuto la fotografia della contrapposizione tra un modo di interpretare “classicamente” la funzione istituzionale e un magma incomposto che di quell’architettura se ne frega e non vede l’ora di distruggerla. Renzi, è bene ricordarlo sempre, aveva fatto scrivere una “riforma costituzionale” – poi bocciata con il referendum del 4 dicembre 2016 – che seguiva passo passo il “piano di rinascita nazionale” del piduista Licio Gelli.

Non è più il tempo delle certezze sull’immediato futuro istituzionale. L’unica certezza viene non a caso dai “vincoli esterni” – Nato ed Unione Europea – e ne vedremo gli effetti nelle mosse che Sergio Mattarella sarà costretto a fare.

P.s. A completare il quadro essenziale, c’è da segnalare la sortita extraparlamentare di Nicola Zingaretti, segretario del Pd ma soltanto presidente della Regione Lazio, che ha provato a indebolire la conquista della scena televisiva da parte di Matteo Renzi (che spinge quasi apertamente per un Conte-bis...) diramando una nota che suona come uno stop per tenere in mano (almeno) le redini del Pd.

“Tutto quanto detto sul ministro Salvini questo pomeriggio dal presidente Conte non può che essere condiviso. Ma attenzione anche ai rischi di autoassoluzione. In questi 15 mesi è stato il presidente del Consiglio, anche del ministro Salvini, e se tante cose denunciate sono vere perché ha atteso la sfiducia per denunciarle?”.

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