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18/08/2019

Infantilismo politico e logica del potere

Nel corso di questi giorni abbiamo verificato l’esercitarsi di una rozza versione di “autonomia del politico” agita attraverso forme di vero e proprio “infantilismo”.

Questo giudizio potrà valere indipendentemente dal punto su cui andrà ad arenarsi questa fasulla crisi di governo: si ricostituisca l’asse giallo – verde, se ne formino di diversi, riemergano formule più o meno desuete da”governo tecnico” a “governo istituzionale”.

Nella sostanza stiamo assistendo ad espressioni di semplice ricerca di posizioni di potere.

In questo modo è emersa l’assoluta debolezza delle cosiddette “nuove élite” fondate sulla “democrazia recitativa” e sull’utilizzo del web quale strumento esaustivo della comunicazione e della partecipazione politica.

Si apre così il tema della ricostruzione di una “classe dirigente” in grado di affrontare una fase di congenita debolezza del sistema al riguardo della quale molti cominciano a intravedere una sorta di “sindrome di Weimar”.

Gli assunti di paradigma sui quali può poggiare il rinnovamento di una ricerca attorno alla costruzione di un’élite possono essere così definiti:

1) la politica è lotta per la preminenza e il potere va concepito come “sostanza” e non come “relazione”;

2) è necessario avere ben presente la distinzione tra potere reale e potere apparente; la lotta per il potere e l’attività politica in generale è fatto “minoritario” nella società;

3) la conquista, il mantenimento, la gestione del potere corrispondono alla capacità di coordinazione dei gruppi politici;

4) la società è una realtà irrimediabilmente eterogenea, gerarchica e conflittuale che non può essere raccolta e compresa nella genericità di indistinte (nel riferimento sociale) parole d’ordine.

Ci si deve, invece, soffermare sul ruolo che le idee, i miti e le dottrine assumono nel processo di legittimazione dell’autorità (a proposito, per esempio, della mistificante dottrina della “fine delle ideologie” propagandata fin dagli anni ’80 dai gruppi conservatori statunitensi e britannici).

In definitiva, il tratto essenziale della struttura di ogni società consiste nell’organizzazione dei rapporti che intercorrono tra governanti e governati, tra minoranza organizzata e maggioranza disorganizzata e nelle relazioni che si stabiliscono tra i diversi gruppi che detengono ed esercitano il potere: con buona pace di chi pensa come realistiche proposizioni quali quelle della “democrazia diretta” e della “democrazia del pubblico” mediate attraverso o le grandi adunate di massa o l’uso esaustivo del web in una compulsazione frenetica delle opinioni cui adeguare la logica di governo.

È su questo punto che appare particolarmente debole l’impostazione sulla quale sembra poggiarsi il M5S: la “democrazia diretta” in particolare agita pressoché esclusivamente attraverso il web potrà risultare utile per una raccolta immediata di consenso ma non consentirà, come dimostrano proprio le vicende di questi giorni, la costruzione di una vera e propria élite dirigente in grado di proporre egemonia.

Sono questi gli elementi che debbono essere sottoposti alla riflessione politica nell’attualità del disfacimento del sistema cui stiamo assistendo: una riflessione da portare avanti attraverso un lavoro di studio che punti, per citare Gramsci, alla riunificazione tra teoria e prassi con un’ipotesi complessiva di trasformazione sociale collegata a un’élite ricostruita nell’interezza della sua identità di gruppo.

Naturalmente molte questioni sono state sottintese nell’elaborare questo intervento: l’analisi delle diverse specie di élite presenti in una stessa società, il tema delle relazioni tra le élite stesse e le masse, l’approfondimento circa i meccanismi di legittimazione che debbono essere attuati nell’acquisizione, nell’esercizio, nella detenzione e nel rovesciamento del potere.

Si tratta di punti essenziali da sottoporre, prima di tutto, a un non facile lavoro di vera e propria “ricostruzione intellettuale”, quello al quale pensiamo ci si debba dedicare con grande impegno in questa fase, senza dimenticare però l’attualità drammatica dei fenomeni di vero e proprio arretramento di massa in corso sul terreno delle condizioni di vita, del venir meno nella disponibilità di diritti individuali e collettivi, nel restringimento dei termini di esercizio della democrazia.

Un lavoro di “ricostruzione intellettuale” sul quale dovrebbe impegnarsi una sinistra legata alle soggettività apparentemente “dominate” principiando dal rappresentarne i bisogni immediati, ma muovendosi subito nell’idea di costruzione di un’alternativa fondata sulla riaggregazione di una dimensione politica delle differenze sociali nel senso della formazione di un blocco storico: forse Gramsci avrebbe, a questo punto, usato il termine “classe”.

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