17/08/2019
75 anni dall’assassinio di Ernst Thälmann a Buchenwald
Ricorre oggi, nella notte del 17 agosto, il 75° dell’assassinio, nel campo di concentramento di Buchenwald, del segretario del KPD (Kommunistische Partei Deutschlands) Ernst Thälmann. Lo ricordava ieri Ralf Hohmann, sull’organo del DKP (Deutsche Kommunistische Partei: messo fuori legge il KPD nel 1956, nel 1968 fu fondato il DKP) Unsere Zeit, ricostruendo l’intera vicenda giudiziaria che tra il 1947 e il 1987, ha finito per assolvere colui che le testimonianze indicavano esser stato l’esecutore materiale del crimine.
Nel pomeriggio del 17 agosto 1944, un drappello di SS aveva prelevato Thälmann dal carcere di Bautzen (arrestato nel 1933, Thälmann era stato trasferito più volte da un carcere all’altro, quasi sempre in isolamento, e alla fine, l’11 agosto 1943, condotto nel Justizvollzugsanstalt Bautzen, una sessantina di km a est di Dresda); “verso mezzanotte, una limousine arrivò al Konzentrationslager di Buchenwald. Il prigioniero fu fatto scendere. Il suo ultimo cammino fu tra un’ala di SS. Si avvertirono tre colpi in rapida successione. Quando il prigioniero era già a terra, ne seguì un altro”. Fu cremato la notte stessa.
L’ordine di assassinarlo, ricorda Hohmann, era venuto da Hitler in persona. Il 14 agosto 1944, il Reichsführer-SS Heinrich Himmler, incontrandosi con Hitler alla Wolfsschanze, aveva annotato: “Thälmann deve essere giustiziato“. L’assassinio avrebbe dovuto esser classificato come “Affare segreto del Reich“. A settembre ’44, i giornali scrissero che Thälmann era tra le vittime del bombardamento del 24 agosto 1944 su Weimar e l’area circostante.
Un prigioniero politico però, tale Marian Zgoda, aveva notato tutto. Aveva sentito dagli addetti ai crematori, che “uno dei forni avrebbe dovuto essere riscaldato prima che i prigionieri fossero di nuovo rinchiusi”. Aveva visto come venisse condotto “un uomo alto e dalle spalle larghe, calvo“. Quindi sentì il Stabsscharführer Wolfang Otto (nello stato maggiore di Buchenwald dal 1939, era il capo del “Kommando 99”, addetto alle esecuzioni) chiedere al Rapportführer Hofschulte se sapesse chi fosse l’uomo assassinato e poi dirgli che “Era il capo comunista Thälmann“. Circa 8.000 prigionieri sovietici, scrive Hohmann, furono assassinati nella cosiddetta “stalla dei cavalli” del campo, con un colpo alla nuca o impiccati.
Nel 1947, il tribunale militare americano a Dachau condannò Otto a 20 anni di galera per crimini commessi a Buchenwald, ma non per aver preso parte all’assassinio di Thälmann; già nel 1952 fu rimesso in libertà per “buona condotta”. Nel 1961, un altro ex prigioniero di Buchenwald, Ludwig Landwehr, venne a sapere del rilascio di Otto. Presentò una denuncia e materiali di prova, incluso il testo della testimonianza di Zgoda; prese parte al processo anche la vedova di Thälmann, Rosa, rappresentata da Friedrich-Karl Kaul, a quel tempo unico avvocato della DDR a poter patrocinare cause in Germania ovest.
Il procuratore di Colonia, Hans-Peter Korsch, chiuse il caso il 10 gennaio 1964 per mancanza di prove. Otto negò qualsiasi coinvolgimento nell’assassinio e Korsh considerò non attendibile il testimone Zgoda, con la “motivazione” che si trattava di uno straniero che “nel 1951 diffondeva volantini comunisti”.
Rosa Thälmann tentò altre cinque volte di avere giustizia: senza successo. Le richieste di estradizione avanzate dalla DDR rimasero sempre inevase.
Dopo la morte della madre, la figlia di Thälmann, Irma, incaricò un avvocato tedesco-occidentale di rivolgersi alla Corte d’appello di Dusseldorf: inutilmente. Solo alla fine del 1985, Otto comparve dinanzi al tribunale distrettuale di Krefeld, ma negò di essere stato direttamente coinvolto nell’esecuzione di Thälmann, affermando di aver svolto solo incarichi amministrativi.
Non considerando probante la testimonianza scritta di Zgoda, il tribunale ascoltò alcune decine di testimoni, ordinò un sopralluogo nell’ex lager di Buchenwald, acquisì la testimonianza di un ex SS, a cui Otto aveva confessato tutto, dopo la fine della guerra, aggiungendo però che era stato un altro a sparare. Alla fine, Otto fu condannato a quattro anni per concorso in omicidio; ricorse in appello e vinse. Nel marzo 1987, la Corte suprema federale annullò la condanna di Krefeld; il 29 agosto 1988 il tribunale regionale di Düsseldorf lo assolse.
Naturalmente, è tutt’oggi raro incappare in giudizi favorevoli sulla figura di Ernst Thälmann. Sopravvive la stantia omelia socialdemocratica, secondo cui la “caparbia insistenza” comunista a smascherare la socialdemocrazia e voler presentare proprie candidature elettorali, avrebbe avvantaggiato la vittoria nazista. Ma, in quante occasioni, in quanti Land, i socialisti in posizioni di comando chiusero sedi comuniste, proibirono l’attività dei sindacati comunisti, giunsero a usare la polizia e a sparare contro i comunisti?
Anche in certa sinistra, nel giudizio sui comunisti tedeschi di quel periodo, ci si riduce ai cliché sulle “oscillazioni senza principio dello stalinismo” – e Thälmann e KPD erano senz’altro sul terreno della III Internazionale – che, con “la politica dei fronti popolari antifascisti”, avrebbe decretato la “subordinazione dei lavoratori ai liberali e alla sinistra borghesi nel nome della lotta al pericolo fascista”. Poi, al contrario, si ridicolizza la politica del “socialfascismo, promossa da Stalin e dall’Internazionale Comunista stalinizzata tra il 1929 e il 1933, secondo cui socialdemocratici e fascisti sono ‘fratelli gemelli’, politica che ‘portò il KPD nel 1931 a sostenere un referendum promosso dai nazisti contro il governo Brüning’”.
I comunisti tedeschi non avevano mai smesso di cercare l’unità d’azione con quella parte della socialdemocrazia disposta ad affrontare per davvero la lotta contro il Zentrum liberale e la destra nazionalista.
Nel 1926, l’appello dei comunisti ai socialdemocratici aveva portato a un fronte comune in vista del referendum sull’esproprio senza indennizzo dei latifondi dei nobili prussiani, purtroppo perso, nonostante 12,5 milioni di voti: cioè più dei 10,6 milioni di elettori che avevano votato per KPD e SPD alle elezioni al Reichstag del dicembre 1924.
Ugualmente, negli anni seguenti, pur con innegabili oscillazioni, KPD e Thälmann in prima persona si erano ripetutamente spesi in appelli per un fronte antifascista. Nonostante anche esponenti della sinistra della SPD definissero di stampo fascista il gabinetto di Heinrich Brüning e riconoscessero che la sua politica condotta a colpi di decreti d’urgenza (Notverordnungpolitik) avrebbe spianato la strada all’aperto fascismo, i vertici socialdemocratici appoggiavano quella politica che provocava 6 milioni di disoccupati, rifiutavano ogni accordo con i comunisti e poi, alle presidenziali del 1932, dettero addirittura indicazioni di voto per Hindenburg.
Per tutto il 1933 e anche buona parte del 1934, in Germania e poi, una volta messi fuori legge, dall’estero, la KPD continuò ancora per anni a lanciare appelli tanto alla direzione socialdemocratica, quanto alla base operaia di quel partito, per un fronte antifascista: le risposte dei vertici socialdemocratici, furono immancabilmente negative, a partire dal rifiuto dello sciopero generale proposto dai comunisti all’indomani della presa del potere hitleriana, nel gennaio ’33.
Alla conferenza di partito dell’ottobre 1932 Thälmann dichiarò “Abbiamo visto come il governo Brüning, sorretto in tutto e ovunque dalla socialdemocrazia, e la cui filiale era costituita dal governo socialdemocratico della Prussia, abbia preparato per quasi due anni la strada alla dittatura fascista, con una politica che abbiamo giustamente descritto come la politica di ‘messa in atto della dittatura fascista’“.
Ma, si sa, furono i “comunisti a spianare la strada a Hitler”, tanto che, chi li ammazza, può ben andare assolto nei tribunali della democrazia.
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