di Domenico Moro e Fabio Nobile
Nello spiegare la fine del governo giallo-verde ci si concentra più sugli aspetti tattici, ossia sulle scelte di opportunità dei singoli partiti, invece che sugli aspetti strategici, di contesto, che a nostro parere risultano più importanti.
È vero che l’esito delle elezioni europee e i sondaggi che l’hanno data come primo partito italiano hanno portato la Lega a vagheggiare le elezioni, conducendo viceversa il M5s a vederle come la peste. Però, la situazione attuale è determinata soprattutto dal contesto: l’inserimento dell’Italia nella Nato e l’alleanza con gli Usa, l’inserimento nella Ue e nell’euro e infine last but not least l’emergere della crisi a livello mondiale, certificata da un Pil che rimane a crescita 0.
Qualsiasi governo si troverebbe in difficoltà a far fronte alla crisi in un contesto di austerity europea. Ciò è tanto più vero per il governo giallo-verde che, come si è verificato in più di un anno, si è trovato nell’impossibilità di tenere insieme i punti programmatici di M5s e Lega. Sulla scelta di Salvini di staccare la spina al governo ha pesato la consapevolezza di essere costretto, entro i vincoli europei, a una manovra finanziaria pesante. Ciò avrebbe significato rinunciare a punti importanti del suo programma come la flat tax. Senza contare l’impossibilità di realizzare, per l’opposizione del M5s, l’autonomia regionale richiesta dai suoi governatori in Lombardia e Veneto, cioè dalla sua base elettorale e sociale principale.
Soprattutto, non bisogna dimenticare che il governo giallo-verde è sempre stato sotto la tutela del Presidente Mattarella, che ha svolto, sin dall’inizio, un ruolo di garante dei legami internazionali dell’Italia, soprattutto nei confronti dell’Ue e della Nato. Tale ruolo si è manifestato nel rifiuto di Savona come ministro dell’economia fino alla crisi di governo attuale. Infatti, Mattarella è stato determinate nella decisione di non andare a nuove elezioni, che avrebbero visto l’affermazione di due partiti (Lega e Fratelli d’Italia) critici nei confronti della Ue, e di proseguire la legislatura con l’affidamento del mandato pieno a Conte.
In particolare Mattarella, insieme alla presa di posizione di Renzi a favore di un’alleanza con il M5s, ha pesato molto sul passo indietro di Zingaretti, che in precedenza aveva dato per certo il ritorno alle urne. Dichiarazioni, quelle di Zingaretti, che indubbiamente avevano inciso sulla scelta di Salvini, che, successivamente, resosi conto della disponibilità del Pd a un governo con il M5s, ha provato a effettuare un dietrofront ormai tardivo.
C’è da dire, però, che il mutamento di posizionamento politico del M5s rappresentato dalla convergenza con il Pd si era già verificato proprio sull’Europa. Mentre la Lega aveva votato contro la nuova presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, il M5s, effettuando una virata di 180° rispetto alle sue storiche posizioni euroscettiche, aveva votato insieme al Pd per la candidata tedesca. Non è un caso che qualche tempo fa, nei momenti iniziali della crisi di governo, proprio Prodi, europeista convinto e già artefice di due coalizioni di centro-sinistra, fosse stato il primo a parlare di una coalizione “Ursula”, cioè di un governo M5s-Pd.
L’eventuale governo Conte bis si presenta quindi pro-Ue e filo-atlantico, come dimostrano gli endorsement che si sono sprecati all’ultimo vertice del G7 a Biarritz da parte di Trump, Macron e Merkel. Ancora più notevole è che nei fatti si presenti come una riedizione del centro-sinistra in una ottica nuovamente bipolare, che il M5s aveva invece contribuito a eliminare, introducendo nella politica italiana un terzo polo. Infine, lascia perplessi vedere Grillo invocare un governo di competenti, formato da ministri tecnici e senza politici, dimenticando persino le sue aspre critiche a quello che è stato il governo tecnico per eccellenza, quello di Mario Monti.
Per le ragioni suddette il governo Conte bis dimostra il fallimento del M5s rispetto al suo obiettivo principale: modificare il quadro politico italiano e mandare a casa la classe politica del passato. Di fatto, il M5s si trova a governare con coloro che aveva attaccato aspramente fino a ieri e che hanno rappresentato e rappresentano le esigenze di quelle élite di cui il populismo M5s si è sempre dichiarato avversario. Un fallimento di cui eravamo stati facili profeti, proprio perché consci dei limiti del Movimento, che risiedono soprattutto nella sua ambiguità politica e ideologica. Le debolezze intrinseche del M5s rimangono tutte e c’è da prevedere che il Movimento, dopo avere subito l’iniziativa di Salvini, non possa che subire quella del Pd, con la concreta possibilità che anche questo governo non abbia vita molto lunga.
Di fronte alla probabile ulteriore perdita di consensi del M5s, già manifestatasi alle europee, si aprirebbe la possibilità per la sinistra di classe e per i comunisti di recuperare posizioni. Ciò però non è possibile se non si sfugge al richiamo della foresta di nuovo centro-sinistra, magari riveduto e corretto con la motivazione di fare argine nei confronti del nuovo fascismo in salsa leghista. Senza voler minimizzare la natura xenofoba e di destra di Salvini e della Lega, come abbiamo detto più volte, oggi il problema non è la riedizione del fascismo tout court. La democrazia rappresentativa è stata ed è aggirata dalla alienazione di alcune importanti funzioni statuali alla Ue, mediante i trattati europei e l’architettura dell’euro, che rappresenta un impedimento a effettuare politiche economiche e sociali effettivamente espansive e di sinistra. È, invece, proprio la riedizione di un centro-sinistra e l’alleanza del M5s con il Pd che rafforzerà alla lunga la Lega. L’unico modo di contrastare Salvini e la Lega è costruire una posizione chiara sui contenuti più importanti, a partire dal nodo dell’Europa, senza il cui scioglimento non è credibile alcuna soluzione né economica né politica.
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