Sono passati solo tre giorni e già gli Stati Uniti annunciano di voler dispiegare nuovi missili in Asia, in tempi rapidi, preferibilmente entro i prossimi mesi. A renderlo noto è il nuovo capo del Pentagono, Mark Esper, spiegando che l’obiettivo è quello di contrastare l’ascesa della Cina nella regione. Interpellato sulla possibilità di un dispiegamento Usa di nuove armi convenzionali a medio raggio in Asia, il segretario alla Difesa ha risposto: “Sì, mi piacerebbe farlo”. Il possesso e dispiegamento di armi convenzionali a medio raggio non è più vincolato al rispetto del Trattato Inf sul controllo dei missili, ufficialmente scaduto il 2 agosto.
Tre giorni fa è infatti scaduto il Trattato Inf (Intermediate-Range Nuclear Forces Treaty) che per tre decenni era stato punto centrale degli accordi per la sicurezza globale. L’accordo era stato firmato nel 1987 dall’allora presidente degli Stati Uniti Ronald Reagan e dal leader sovietico Mikhail Gorbaciov, dopo uno storico vertice a Reykjavik. La firma del trattato aveva portato alla rimozione di 2.600 testate americane e sovietiche e di missili balistici convenzionali con raggio d’azione tra i 500 e i 5.500 chilometri.
Già a febbraio era stata annunciata la decisione della Amministrazione Trump di denunciare il trattato Inf accusando la Russia di averlo violato con conseguenti controaccuse russe.
Il segretario della Nato Stoltenberg, tre giorni fa aveva comunicato su twitter una informazione pesante come un macigno e che riporta in Europa lo spettro dell’installazione di nuovi missili Usa così come avvenuto dopo la direttiva n.67 del 1979, in piena guerra fredda, firmata dal presidente Usa Carter, da quello francese Giscard D’Estaing e dal cancelliere tedesco Schmidt. “Oggi, il Trattato Inf cessa di esistere. La Russia è la sola responsabile della fine del Trattato. La Nato risponderà con misura e responsabilità e continuerà a garantire in modo credibile deterrenza e difesa”, aveva twittato il segretario generale della Nato.
La Russia ha lasciato aperto uno spiraglio per una possibile moratoria sul dispiegamento di nuovi armamenti nucleari sul fronte europeo: “Abbiamo proposto agli Usa e ad altri Paesi Nato di valutare la possibilità di dichiarare lo stesso tipo di moratoria sul dispiegamento dei missili di raggio breve e intermedio, come quella annunciata da Vladimir Putin”, ha dichiarato il viceministro degli Esteri Sergey Ryabkov. Il riferimento era ad una proposta di Mosca sulla possibilità di astenersi, sia da parte russa, sia da parte statunitense, dal dispiegamento di missili in regioni di particolare rilievo per entrambe le parti. Putin, ha ricordato il viceministro, ha detto che “se gli Stati Uniti non dispiegheranno assetti in certe regioni, allora la Russia si asterrà da analoghe iniziative”.
Il ritiro degli Stati Uniti dal Trattato Inf potrebbe rilanciare la corsa agli armamenti, ma permetterà anche a Washington di ammodernare il proprio arsenale nucleare, obbiettivo apertamente annunciato pubblicamente dal Pentagono da oltre un anno. In particolare gli Usa intendono dotarsi di due nuovi armi: un missile nucleare a bassa potenza lanciabile da un sottomarino (categoria che non rientra nei vincoli del trattato) e un nuovo missile da crociera che invece violerebbe l’accordo, ma – sostiene il Pentagono – solo in caso di effettivo dispiegamento, mentre la ricerca e sviluppo non sarebbero invece proibiti. Si tratterebbe della risposta al missile russo 9M729, la cui portata massima è per Mosca di soli 490 chilometri – dunque al di sotto dei limiti del trattato, che riguarda la categoria “intermedia” a partire dai 500 chilometri – ma che secondo il Pentagono è già stato testato a distanze ben superiori.
Occorre sapere però che anche il Trattato INF disdetto, avvantaggiava gli Stati Uniti, perché escludeva dallo smantellamento tutti i missili e le bombe nucleari trasportate dai bombardieri o dai sottomarini, categorie in cui le forze armate statunitensi sono superiori alla Russia. La differenza dai precedenti trattati Salt I e Salt II, che avevano di fatto congelato gli arsenali di missili balistici delle due superpotenze, l’Inf prevedeva per la prima volta l’effettiva distruzione di missili e testate. Inoltre, il trattato prevedeva la possibilità di reciproche ispezioni per la verifica della distruzione delle testate: ben 2.291 missili entro il 1991, quasi tutti quelli di media gittata (fra 500 e 5.500 chilometri) e il 4% del totale degli arsenali nucleari.
L’Inf mise di fatto fine alla corsa agli armamenti avviata negli anni ’80 dagli Usa. In diversi paesi europei aderenti alla Nato vennero installato i missili Cruise e Pershing IA e II, chiamati in gergo gli “Euromissili”.
La decisione della Nato avviata con la direttiva n.67 nel dicembre del 1979 e dispiegata nei primi anni ‘80 portò a un’ondata di manifestazioni pacifiste in tutta Europa, anche se la prima vera manifestazione nazionale in Italia è databile solo nel 1981. Anche allora per lungo tempo fu sottovalutata la portata dello scontro che si andava delineando.
In Italia la base militare in cui vennero installati gli euromissili fu quella di Comiso in Sicilia, dove tra il 1983 e il 1984 si svolsero manifestazioni e blocchi dei lavori alla base, anche con durissimi scontri tra antimilitaristi e polizia. Per mesi a ridosso della base militare sorse l’Imac (International Meeting Against Cruise) un campeggio da cui partivano le azioni di protesta.
Lo scontro politico sull’installazione dei missili fu durissimo con i partiti filo Nato che sostenevano l’installazione e le forze che vi si opponevano (Pci, Dp, settori del Psi e del mondi cattolico, movimenti antagonisti).
Ma sulle coordinate politiche della mobilitazione pesò non poco la decisione dell’allora Pci di accettare l’alleanza Nato come ombrello dentro cui sviluppare il proprio progetto. La discussione dentro il movimento per la pace fu in molti momenti aspra e, giustamente, divaricante. I missili installati a Comiso furono smantellati proprio a partire dal 1987 sulla base del Trattato Inf firmato a Reykiavik da Usa e Urss.
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