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08/11/2019

Germania in crisi, ma in cerca di prede facili

I nostri lettori ormai sanno che “il governo” di questo paese non risiede più, da molto tempo, a Palazzo Chigi; bensì nelle varie location delle istituzioni europee. E ogni giorno se ne ha una prova in più.

Ieri, per esempio, davamo conto della straordinario progetto di rapina nascosto dietro il “ramoscello d’ulivo” mostrato dal ministro delle finanze tedesco, Olaf Scholz (“socialdemocratico”, addirittura!), con la prima formale “apertura” alla possibilità di rafforzare l’unione bancaria continentale con un assicurazione europea dei conti correnti (fino a 100.000 euro) in caso di fallimento di una o più banche.

Oggi dobbiamo alzare un attimo il velo sulle trattative in corso sulla “riforma” del Meccanismo Europeo di Stabilità (Mes), ossia del fondo che viene attivato quando un paese non riesce più a piazzare i suoi titoli di stato sul mercato (è accaduto per la Grecia, e si è visto con quali effetti). Si sta discutendo, in gran segreto (come sempre, per queste cose che poi decideranno della vita di tutti noi), per trasformarlo in un vero e proprio trattato firmato e condiviso da tutti i paesi europei, consegnandogli così le chiavi della governance finanziaria futura.

Fin qui questo fondo è stato una sorta di polizza assicurativa, che viene pagata da ogni singolo paese ma risarcisce solo quando qualcuno ne fa richiesta (sottoponendosi a condizioni assai stringenti per quanto riguarda la spesa pubblica futura). Di fatto, visto che la Bce per statuto non ricopre questo ruolo, funziona da “prestatore di ultima istanza” e, in qualche misura, da “tranquillante” per gli investitori finanziari. Tutti i paesi coperti dal Mes, infatti, sono considerati “relativamente sicuri” proprio perché si sa che c’è un soggetto che, eventualmente, può pagare i creditori. Non sono e non siamo tutti uguali, a quegli occhi, e infatti la differenza viene misurata con lo spread.

Il suo limite è che nella sua forma legale attuale il Mes è “fuori dal perimetro delle istituzioni dell’Unione Europea”, in quanto solo citato all’interno del trattato chiamato Fiscal Compact. Non risponde al Parlamento europeo e il suo funzionamento è determinato con il “metodo intergovernativo” (trattative tra tutti gli Stati) e non in modo “automatico”. L’esigenza di “istituzionalizzarlo” in un apposito trattato, insomma, non è di per sé illogica. Ma il diavolo, come sempre, si nasconde nei dettagli.

Di cosa stanno discutendo, infatti, intorno al Mes?

Per saperlo, le Commissioni riunite V e XIV della Camera dei Deputati hanno convocati in audizione Giampaolo Galli, “europeista” duro e puro di lunghissima data, ex parlamentare del Pd, ex economista del Fondo Montario Internazionale, consulente della Commissionne presieduta da Romano Prodi, ex capo-economista di Confidustria e attualmente vicedirettore dell’Osservatorio di conti pubblici della Cattolica di Milano.

Contrariamente a quel che si potrebbe pensare, però, Giampaolo Galli ha bocciato senza appello le proposte di “riforma” avanzate soprattutto da Germania, Olanda e altri paesi del Nord Europa.

Sul piano istituzionale, infatti, “la riforma sposta decisamente l’asse del potere economico nell’Eurozona dalla Commissione al Mes” (ossia dal “governo” continentale a un istituto con appena 160 dipendenti “tecnici”, chiamato a decidere del futuro di milioni di persone).

Sul piano pratico, però, la “riforma” è anche più pericolosa, perché l’eventuale “aiuto del Mes può essere erogato solo a condizione che vi sia una ristrutturazione del debito”. Qui è necessario capirsi. “Ristrutturazione del debito” significa che un soggetto – un Paese o un privato – si dichiara incapace di pagare il suo debito per intero e dunque contratta con i creditori una formula di restituzione molto minore, con ovvia perdita per i creditori stessi.

Se i prestatori sono “investitori istituzionali” (banche d’affari, fondi di investimento, ecc), le loro perdite vanno iscritte a bilancio, ma vengono immediatamente “ripianate” con l’emissione di altri prodotti finanziari. Insomma, è quasi indolore...

Ma la “ristrutturazione” che si vorrebbe imporre con il Mes va a colpire i sottoscrittori dei titoli di Stato del paese che chiede aiuto. Ossia le banche di quel paese e quindi tutti i correntisti che hanno messo i propri risparmi in titoli di stato del proprio paese (“il popolo dei Bot”, veniva detto un tempo).

Lo stesso Galli, nonostante il suo antico amore per la Ue, è costretto a dire che questo “non ha senso nell’Italia di oggi, [dove] il 70% del debito è detenuto da operatori residenti. Una ristrutturazione sarebbe una calamità immensa, genererebbe distruzione di risparmio, fallimenti di banche e imprese, disoccupazione di massa e impoverimento della popolazione senza precedenti nel dopoguerra”.

Fa effetto sentire un placido economista navigato tra Fmi e Pd dire: “Una ristrutturazione preventiva sarebbe un colpo di pistola a sangue freddo alla tempia dei risparmiatori, una sorta di bail-in applicato a milioni di persone che hanno dato fiducia allo Stato comprando debito pubblico”.


Se, com’è necessario, teniamo presente questa “riforma” insieme al tipo di “unione bancaria” proposta da Scholz, il quadro che ne esce è quello di un futuro saccheggio “legalizzato” delle ricchezze ancora presenti su questo territorio (attività economiche, banche, risparmio delle famiglie, immobili, ecc). All’unico scopo di “salvare” altre attività finanziarie (come Deutsche Bank) ormai sull’orlo del fallimento.

Naturalmente i pochi media – di area fascioleghista – che hanno dato questa notizia fanno il giochino lurido di indicare in queste “trattative” il vero motivo dell’improvvisa “crisi di agosto”, con l’uscita della Lega dal governo.

In realtà, la Lega – al di là delle sparate mussoliniane del suo segretario Mojito – sta lavorando per ottenere uno status europeo che le consenta, la prossima volta, di andare al governo senza sollevare le preoccupazioni dei “mercati” e l’ostilità delle formazioni storicamente al governo nei palazzi di Bruxelles. Basta ricordarsi la sortita del suo vero “tessitore di trame”, Giancarlo Giorgetti, che qualche settimana fa – intervistato da Lucia Annunziata – ha di fatto annunciato la svolta “europeista” con queste parole: “La Lega nel Ppe? Non lo escluderei a priori. Con la Csu bavarese (la dependance regionale della Cdu, ndr), ad esempio, ci sono molti elementi di consonanza”.

Il Partito Popolare Europeo è il cortile di di casa di Angela Merkel, Wolfgang Schauble, Ursula Von der Leyen, Manfred Weber e via elencando. L’ultimo posto dove si possa giocare a fare i nazionalisti de noantri.

Fatevi due conti...

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