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02/11/2019

Iraq - La protesta si amplia, 200 mila manifestanti a Baghdad

di Chiara Cruciati – Il Manifesto

Si continua a morire di protesta in Iraq: nella notte tra giovedì e venerdì altri cinque manifestanti hanno perso la vita per le ferite riportate in piazza, colpiti da candelotti lacrimogeni e proiettili della polizia. Il bilancio sale (giovedì la Commissione parlamentare per i diritti umani parlava di oltre 250 uccisi e 11mila feriti) mentre Baghdad e le città meridionali entravano nel secondo mese di mobilitazione popolare con altre enormi manifestazioni.

Ieri la più grande dai tempi di Saddam Hussein, 200mila solo nella capitale. Piazza Tahrir è loro e delle loro tende. È qui che si dorme, a terra su materassi colorati, per non perderla a favore delle forze di sicurezza ed qui che si cucina e di distribuiscono pasti caldi ai giovani e alle famiglie che affollano la piazza.

Ci sono bambini che sventolano le bandiere irachene, ragazze, anziani. In tantissimi sono arrivati ieri dopo la tradizionale preghiera, bypassando i tuktuk trasformati in ambulanze (c’è già chi inneggia alla «rivoluzione del tuktuk») e unendosi ai giovani che hanno passato la notte in strada.

Nelle vie che portano a piazza Tahrir i manifestanti hanno improvvisato dei “checkpoint” per indirizzare il traffico, piccole barriere che sanno di mini-barricate. In tanti sul volto portano maschere anti-gas, in testa un elmetto.

A sud altre migliaia di persone hanno manifestato ieri, anche qui tante le famiglie con i bambini. A Bassora un presidio si è accampato sulla strada che porta all’ingresso del giacimento petrolifero di Majnoon.

Gli scontri a Baghdad si concentrano sul ponte sul Tigri che porta alla Zona Verde, simbolo fisico e politico del potere che si barrica e non ascolta. Altrimenti non parlerebbe come fa. Ieri la più alta autorità sciita del paese, l’Ayatollah al-Sistani, dopo aver condannato la brutalità della repressione, ha avvertito i governi stranieri di non sfruttare la protesta, nenia nota in Medio Oriente dove ogni mobilitazione è tacciata di influenze esterne.

Appena 24 ore prima a parlare era stato il presidente iracheno, Barham Saleh: il premier Adel Abdul-Mahdi è pronto a dimettersi (se esiste un’alternativa) e ad andare a nuove elezioni. Non prima, ha aggiunto Saleh, di una riforma elettorale.

Non è questo che chiedono gli iracheni che da inizio ottobre sfidano la durissima repressione di polizia e milizie sciite: non vogliono elezioni per rieleggere l’identica classe dirigente ma uno stravolgimento politico, una costituzione non settaria e l’uscita dall’agone politico delle forze religiose.

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