In una lunga intervista rilasciata al quotidiano Repubblica in merito alla recente escalation militare impressa da Trump in Medio Oriente, Paolo Gentiloni, Commissario europeo all’Economia, invita la Ue, al fine di non essere condannata all’ininfluenza e all’impotenza, ad assumere un ruolo da protagonista nella competizione che si è aperta a livello globale.
Naturalmente, nel ragionamento svolto da Gentiloni non vi è alcuna condanna dell’operazione terroristica portata avanti dagli Stati Uniti verso i quali, anzi, viene ribadita la consueta fedeltà, limitandosi soltanto ad esprimere il dubbio che tale operazione lungi “dall’esercitare una deterrenza finisca per sortire l’effetto opposto, cioè un’escalation e il rafforzamento delle posizioni più estreme a Teheran”.
Sarebbe finalmente giunto il momento di riflettere su quella tendenza alla guerra che costituisce il tratto caratteristico e strutturale del capitalismo mondiale e in particolar modo di quello occidentale dopo la caduta dell’Unione Sovietica. E magari prendere atto che l’escalation militare è alimentata dalla crisi sistemica del capitalismo che funge da moltiplicatore della competizione globale in un mondo ove alla fine dell’unipolarismo targato USA, Trump reagisce in maniera disperata e criminale per provare a riaffermare un ruolo nello scacchiere medio orientale.
Ma naturalmente tutto questo non compare nel ragionamento del Commissario europeo all’economia che, invece, è tutto interno alla logica della guerra e della competizione globale e lo dimostrano chiaramente due passaggi dell’intervista.
Nel primo, con riferimento all’affacciarsi nello scacchiere del Mediterraneo e del Medio oriente di nuovi attori (Russia e Turchia), interrogato su cosa dovrebbe fare l’Europa per crescere in politica internazionale risponde testualmente che “Non c’è una formula magica per rafforzare il ruolo globale dell’Unione, in generale serve un mix tra diplomazia europea, uso della nostra immensa forza commerciale, rafforzamento del ruolo internazionale della moneta unica e una politica di difesa comune”.
Successivamente, incalzato dal giornalista su cosa si intenda per difesa comune e se è auspicabile la nascita di un esercito europeo testualmente risponde “Certamente nuovi passi in avanti in questo senso sono necessari, molto è stato fatto ma dobbiamo accelerare”.
Il ragionamento lascia poco spazio a dubbi e sembra allineare anche il nostro paese a quelle spinte provenienti in primis dalla Francia e volte a trasformare l’Unione europea in una alleanza a carattere militare: in un quadro di feroce competizione globale una potenza che non disponga di un proprio autonomo strumento militare non è credibile sullo scacchiere internazionale e ha necessità di attrezzarsi rapidamente al fine di giocare un ruolo nella competizione con gli USA e gli altri paesi emergenti.
Ed infatti i passi in avanti ai quali Gentiloni fa riferimento, non sono mere enunciazioni ma iniziative concrete che stanno imprimendo slancio alla cooperazione dell’Unione europea in materia di difesa producendo una moltiplicazioni di voci di spesa ed organizzazioni da finanziare.
Qui di seguito una breve panoramica:
- la PESCO, Cooperazione strutturata permanente applicata alla sfera della sicurezza e della difesa, al fine di portare avanti progetti di cooperazione a geometria variabile per lo sviluppo di nuovi equipaggiamenti terrestri, aerei, spaziali, cibernetici, nonché per la messa in comune di attività di addestramento, mediche, logistiche o basi militari, ha infatti ricevuto nuova implementazione attraverso l’adozione, proprio nel novembre 2019, da parte del Consiglio europeo di ulteriori 13 progetti (incentrati sulla formazione e sullo sviluppo delle capacità marittime, aree e spaziali) che si aggiungono ai 34 precedentemente approvati;
- il Fondo Europeo per la Difesa, nato nel 2017 su proposta della Commissione europea, che fornisce incentivi finanziari agli Stati membri, anche in ambito PESCO, per promuovere la cooperazione sia nella fase di ricerca che in quella di sviluppo di nuove capacità militari, dovrebbe vedere il suo budget, nel periodo 2021 – 2027, portato a 13 miliardi di euro suddiviso in 4,1 miliardi per la fase di ricerca e 8,9 miliardi di euro per quella di sviluppo delle capacità che andranno a supportare gli sforzi dei singoli Paesi;
- la Coordinated Annual Review of Defence (CARD) un processo che risponde all’esigenza di confrontare a livello europeo i piani di spesa militare al fine di avere un quadro completo di cosa stanno acquisendo le forze armate dei singoli Paesi per meglio individuare opportunità di cooperazione ed eventuali gap da colmare;
- l’Iniziativa Europea di Intervento (IEI) lanciata dalla Francia fuori dal quadro dell’UE, della sua struttura e dei suoi organismi (alla quale hanno aderito la Germania, la Gran Bretagna, interessata a restare un partner politico militare importante nella geopolitica europea, il Belgio, la Danimarca, l’Estonia, l’Olanda, il Portogallo, la Spagna, la Finlandia e da qualche mese anche l’Italia) nata con l’obbiettivo dichiarato accelerare e snellire i processi decisionali e costituire uno strumento di pronto intervento con capacità di gestire le crisi all’estero effettuando interventi militari congiunti bypassando quelle istituzioni che hanno il loro quartiere generale a Bruxelles.
Certamente il quadro che si sta delineando per dotare l’UE di un proprio esercito non è lineare e si sviluppa tra spinte e resistenze. Ma i segnali che provengono da più parti indicano la necessità di osservare molto da vicino e con attenzione l’evoluzione e l’accelerazione che tali processi potrebbero avere.
Ciò anche in considerazione di un quadro politico mutato che, come sottolinea anche l’Istituto Affari Internazionali, pur scettico verso la possibilità di costituire un esercito europeo nel breve – medio periodo, è caratterizzato da un lato “dall’uscita della Gran Bretagna dall’UE, il Paese che più avversava qualsiasi idea di esercito europeo” dall’altro “dall’ingresso alla Casa Bianca di Donald Trump, il presidente più critico dell’Europa da decenni a questa parte”.
Il ruolo e la vera natura della costruzione europeista, argomento sistematicamente eluso dal dibattito politico e da quel che resta del movimento contro la guerra, saranno al centro del convegno che il 25 gennaio Eurostop ha organizzato a Napoli dal titolo “Il complesso militare industriale europeo. Crisi della Nato ed ambizioni geopolitiche dell’Unione europea”.
Un’occasione per discutere su come l’Unione europea si sta attrezzando all’interno della competizione globale del XXI secolo, contro quella narrazione mistificante che vorrebbe rappresentare il processo europeo orientato alla pace e a costituire un anticorpo alla guerra. Proprio mentre la stragrande maggioranza dei conflitti si concentrano intorno al nostro continente esasperando quella condizione di permanente instabilità i cui esiti e sviluppi diventano ogni giorno più drammatici ed imprevedibili...
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