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06/04/2020

La Germania e il virus: cittadini depistati, ponti d’oro a Big Pharma

Non ci giriamo intorno e andiamo diretti al sodo. Nella diffusione dei dati reali rispetto alla pandemia in corso, la Germania si prepara a un depistaggio ancora più grande e massivo di quel che fin’ora ha messo in campo.

Non che da altre parti si stia assistendo a spettacoli migliori, in Francia non basta il ricovero in terapia intensiva per “aver diritto” a un tampone, mentre in Italia i morti sembrerebbero essere il doppio di quelli dichiarati, ma certamente il caso tedesco lascia basiti. Non solo si scontra con la realtà mondiale, ma pretende di prenderla a testate.

Moltissimi test, ma pochissimi morti: questo è il profilo ufficiale della Germania di fronte alla pandemia che sta sconvolgendo il mondo e che mette in crisi ogni sistema (sanitario, economico, fiscale...) a conduzione liberal-liberista. A fronte di un tasso di mortalità che si presenta ovunque tra il 5 e il 12%, i numeri dell’Istituto epistemologico Robert Koch indicano alla data del 5 aprile quasi 92.000 contagiati e 1.300 morti. L’1 e qualcosa% di mortalità.

Per fare un esempio e cercare di avere il senso della misura: nelle ultime 24 ore nel Regno Unito sono morte persone pari alla metà dei morti della Germania dall’inizio dell’epidemia. Se consideriamo poi che lo Stato insulare ha 20 milioni di abitanti in meno, il dato appare davvero molto sproporzionato...

Il governo tedesco non ha dubbi: la rapida e determinata reazione del corpo ospedaliero, degli industriali e delle stesse istituzioni ha potuto compiere il miracolo. Che di miracolo si tratti o che le spiegazioni in campo siano altre (dai pochi test post mortem alla diversa classificazione... i giornali di tutto il mondo fanno a gara per prendere parola sull’argomento), bisogna segnalare che la Germania inizia ormai ad avere un tasso di contagio abbastanza alto ed è dunque da escludere il fatto che il virus sia stato “fermato alle frontiere”.

Il coronavirus c’è anche in Germania e purtroppo in discreta quantità. Ormai la geografia della pandemia è completamente cambiata rispetto all’inizio e, se vogliamo considerare gli Stati che presentano un numero di contagi decisamente alto, un podio a tre posti non basta più. Il virus è un problema globale e la sua gestione diventa parte della competizione tra modelli di sviluppo e singoli Stati.

Dunque, quando si parla dell’evoluzione dell’emergenza in un determinato Stato, non possiamo limitarci ad osservare il crudo dato: anche come si danno i dati è una scelta politica. Il peso specifico che si ha o si vorrebbe avere nello scacchiere globale compartecipa e talvolta determina lo stile di gestione della pandemia.

Perché fare tanta pubblicità agli anziani morti quando si può sfruttare l’emergenza per cercare di rientrare in un club da cui ti stanno buttando fuori (quello di chi conta qualcosa nel mondo, per chi fosse duro di comprendonio)? È una domanda che pare legittima.

Ed allora veniamo a quel che concretamente si sta facendo, la “giocata in attacco”, piuttosto che seguire a indagare come e quando governo e istituti tedeschi confondono le idee ai cittadini. Cerchiamo di osservare piuttosto cosa stanno preparando per il post-emergenza.

È probabilmente necessario qualche passo indietro per inquadrare bene la faccenda.

Vi ricordate quel momento, qualche settimana fa, in cui la tensione tra USA e EU/Germania era salita alle stelle per via dell’interessamento statunitense a un’azienda europea in pole position per la cura del COVID-19? Il gruppo si chiamava CureVac e per “non lasciare fuggire un’eccellenza strategica” le più alte stanze decisionali dell’Unione Europea non avevano esitato a regalare un bel po’ di milioni all’azienda. Era bastata un’indiscrezione su un interessamento statunitense e i soldi erano arrivati. Fosse sempre così facile...

In questo giornale ne avevamo parlato, cercando di approfondire l’accaduto sul piano della competizione geopolitica. Ebbene, a qualche settimana di distanza da quei fatti, appare in tutta la sua evidenza una controindicazione che ci deve mettere i brividi: i produttori di vaccini tedeschi sollecitano i Regolatori a facilitare le regole per combatter i virus – fate attenzione a quella “i”, è importante.

Nei giorni scorsi, BoiNTech e CureVac, ovvero i gruppi tedeschi di biotecnologia che guidano la corsa alla sviluppo contro il coronavirus, hanno affermato che flessibilità e finanziamenti sono necessari per immettere sul mercato quest’anno le vaccinazioni, avvertendo che i governi dovranno allentare le normative sulla sperimentazione clinica per poter avere le centinaia di milioni di dosi disponibili che servono quanto prima, almeno (si spera) entro la fine dell’anno.

Le aziende stanno conducendo esperimenti sui topi e inizieranno a sperimentare sull’uomo (per ora si parla di 150 persone) entro poche settimane. Ma i loro progressi dipenderanno da regolatori come l’Agenzia europea per i medicinali e la Food and Drug Administration statunitense, che fino ad oggi concordano sul certificare un vaccino solo quando è stato studiato attentamente, attraverso le tre fasi canoniche di ogni sperimentazione clinica: ricerca in laboratorio, test su animali e analisi dei risultati, test sull’uomo e attentissima analisi dei risultati.

Ugur Sahin, fondatore di BioNTech, ha dichiarato che “le organizzazioni governative, gli esperti e i regolatori devono lavorare insieme per identificare i potenziali modi per accelerare l’approvazione e la disponibilità del vaccino”. Detto altrimenti: cambiate le regole del gioco, abbassate i controlli per tutto e anche il vaccino contro il coronavirus sarà disponibile prima del tempo.

Cosa vuol dire cambiare le regole del gioco? Cosa fanno questi Regolatori di cui probabilmente è la prima volta che sentiamo parlare? Tra i vari compiti di queste agenzie, uno è quello di raccogliere i dati sugli effetti collaterali dei test vaccinali (attraverso le visite in loco chiaramente) e degli strumenti di controllo appropriati.

Ma quanto tempo sprecato! Che inutile pignoleria! Gridano alcuni esperti (quelli pagati da BioNTech e CureVac....), certamente l’Agenzia europea per i medicinali potrà dirsi soddisfatta delle interviste telefoniche con i pazienti, senza fare tante storie. Affinché un vaccino sia pronto entro la fine dell’anno infatti, i regolatori dovrebbero rinunciare al consueto studio finale su larga scala su un vaccino, che normalmente richiede molti mesi per essere completato.

Un portavoce di CureVac ha affermato che, se la società fosse costretta a passare per tutte e tre le fasi cliniche, “ci vorrebbe troppo tempo per mettere sul mercato un vaccino per l’attuale pandemia: le autorità dovrebbero permetterci di abbreviare il processo di approvazione”.

Insomma, a voler pensare male potrebbe quasi sembrare che sottotraccia si agisca per eliminare una scocciatura ancestrale per questi gruppi (liberarsi da molte fastidiose regole di controllo, siano esse sanitarie, ambientali o lavorative poco importa, è il sogno di ogni azienda), facendo leva su una necessità contingente. Vuoi questo vaccino? Allora lasciami campo libero per sempre.

E già che siamo in vena di richieste: ci servono anche dei soldi, più soldi. Come meglio ha articolato Sahin della BioNTech, “stiamo spendendo molto del nostro budget per questo programma e facciamo ciò confidando che avremo il sostegno finanziario necessario per questo progetto”.

La tecnologia che si sta mettendo a punto è effettivamente all’avanguardia, utilizzando l’RNA messaggero per inviare input genetici alle cellule che si trasformeranno in proteine e si scontrano direttamente con la malattia; un salto in avanti rispetto alla tradizionale immissione di un antigene nel corpo.

Ma questo non può bastare per farci accettare che un intero mercato di privati (tra i migliori amici di questi gruppi c’è la Bill & Amanda Gates Foundation, mica dei pischelli...) si sviluppi a spese dei sistemi sanitari pubblici.

Fin qui le richieste delle aziende. A che punto siamo con le risposte? Il Paul-Ehrlich-Institut, regolatore tedesco che sovrintende gli studi clinici del paese, pochi giorni fa ha fatto una dichiarazione spaventosa: a causa della “disponibilità limitata di primati non umani”, ha accettato di rinunciare ai requisiti per la sperimentazione sugli animali, da eseguire prima di una sperimentazione umana.

E quando la presidente della Commissione europea Ursula Von der Leyen ha espresso la sua speranza che le imprese tedesche possano avere un prodotto pronto prima dell’autunno, l’istituto si è affrettato a dichiarare di “aver spianato la strada” al farmaco, concordando con la Coalizione Internazionale delle Autorità Regolatorie dei medicinali di accettare senza riserve e promuovere a definitivi i dati tossicologici emersi nelle prime fasi dei test.

Insomma, la strada è spianata... ai guadagni delle aziende tedesche.

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