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02/10/2020

Il Covid a Scuola: bambini e insegnanti incatenati ai propri ruoli

Dalle pareti delle scuole elementari e medie sono state staccate le carte geografiche, i planisferi, la Penisola, bella e lunga e a forma di stivale, con tutte le regioni ben evidenziate da colori e margini. Persino dalle Materne sono state staccate le ghirlande fatte dalle maestre e dai bambini, e buttati i pupazzetti e i balocchi di legno e i puzzle.

Sono stati staccati i cartelloni con le lettere del corsivo, dello stampato minuscolo e maiuscolo e il grande cartellone con gli errori tipici dei lombardi, che non sono l’inversione di NT con ND (e viceversa), come per i meridionali, ma lo scambio di C e Q, e LI e GLI, come in Quore, Giuglio, Accua, eccetera.

Sono stati raccolti nei sacchi trasparenti e mandati in discarica, più o meno alla rinfusa. Adesso le pareti sono spoglie, il soffitto è bianco e le superfici verticali verniciate a mezza altezza in verde o ocra ospedale.

I banchi sono stati distanziati – un metro, un metro e trenta, da testa a testa. Sono ancorati a segnabanchi indicati con scotch bicolore da muratore. I vecchi banchi monoposto sono stati sostituiti da banchi più bassi e con una superficie minore – danno l’impressione di maggiore spazio. Ma, evidentemente, è solo un’illusione. Niente banchi con rotelle, e niente autoscontro.

Se la distanza è regolamentare, al banco si può restare senza mascherina – a patto che non ci si muova, non ci si alzi, non ci si comporti da bambini. Idem per l’insegnante, che in dotazione ha anche una visiera in plastica dalla foggia casco-da-sedia-elettrica.

Le uscite dall’aula sono regolamentate. Ci si deve muovere lungo corsie obbligatorie segnalate da nastri e frecce colorate. Prima di entrare nei bagni bisogna stazionare sui segnaposti distribuiti nei corridoi, aspettando il proprio turno sotto la sorveglianza del bidello. La si fa in maschera, perché il bagno è il luogo di maggiore promiscuità della scuola. Si entra e si esce in gruppi omogenei distanziati e a orari differenti.

Se l’alunno accusa uno o più sintomi stabiliti [sintomi respiratori (tosse, mal di gola, raffreddore) dissenteria, congiuntivite, forte mal di testa, anosmia (perdita olfatto), ageusia (perdita gusto), dolori muscolari, dispnea (difficoltà respiratoria, affanno) febbre ≥ 37,5°] viene tradotto in una stanza asettica e attende in solitudine o in compagnia di altri coetanei disposti alle estremità del locale, l’arrivo di un genitore o di un delegato.

Non conta che il sintomo sia identico a quello di altre patologie – e poi il bidello cosa ne sa di sintomi e patologie! – se il sintomo si palesa o viene misurato con improbabili termometri a batterie, allora viene avvisato il genitore o un delegato e viene invitato a recarsi immediatamente presso il plesso a ritirare l’alunno.

Non importa che il genitore si trovi a chilometri di distanza; che abbia bisogno di prendere mezzi pubblici che non arrivano; che debba chiedere al lavoro un permesso che non concedono; che poi debba rimanere a casa, e le ferie e i congedi sono esauriti; che forse non si tratta di mal di testa o mal di pancia ma solo del fatto che il bambino vuole tornare a casa, magari perché si vergogna di fare la cacca nel bagno comune insieme ad altri bambini e sotto lo sguardo solerte del bidello – come in carcere – oppure perché è sfinito dalla tensione, dallo sguardo bovino dell’insegnante che lo fissa da dietro la visiera – sguardo interrogativo nel quale vede riflesse tutte le sue ansie.

La campanella, azionata da un interruttore automatizzato, scandisce il passare delle ore. Non siamo nella scuola americana raccontata negli anni '50 da Riesman nella Folla solitaria, dove i bambini imparano ad associare la scuola non ad adulti severi e a temi noiosi, ma al gioco e ad adulti comprensivi; dove anche la sistemazione dell’ambiente simboleggia i cambiamenti, e i sessi sono mischiati, e il sistema usato per assegnare il posto a sedere è senza formalità; dove anche i banchi cambiano la loro forma, sono più tavole movibili con scaffali aperti, che luoghi in cui si possa nascondere qualcosa; dove l’insegnante non siede più in una cattedra o si pavoneggia alla lavagna, ma si unisce alla cerchia familiare; e dove le pareti sono decorate con i disegni dei bambini, perché ciò pare “progressivo”, dice Riesman, ed è un inno alla creatività; dove Cesare e Pompei sono stati sostituiti da visite a negozi e caseifici, da carte geografiche prese da Life, e le favole sono state sostituite da storie sui treni, sui telefoni e su botteghe di generi alimentari; dove tutto è decostruito per far crollare le barriere tra insegnanti e alunni; dove il gioco che una volta era parte delle attività extrascolastiche diventa parte integrante dell’impresa della scuola stessa.

Questo paradiso di gioia e felicità scolastica in Italia si è affermato con lentezza, poco alla volta, fino ad imporsi come modello dominante, facendo dimenticare che la scuola, come la fabbrica, come l’ospedale e la caserma, è stata progettata e costruita con la promessa di sollevare dall’ignoranza, dalla malattia, dalla delinquenza e dalla povertà, ma solo a patto di accettare un dolce addomesticamento.

Durante l’estate ci sono stati filosofi che hanno digiunato per settimane per chiedere un ritorno in classe.

Potete riprendere a mangiare. Vi hanno accontentati. Il velo è stato tolto. La prigione è sotto gli occhi di tutti – l’accesso è obbligatorio. Abbiamo anche i secondini fuori dai bagni.

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