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09/10/2020

L’emiro del Paraculistan. I “prenditori” sono il problema di questo paese

Il presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, è andato nuovamente alla carica per accaparrarsi la maggior parte possibile dei fondi statali ed europei messi in cantiere per affrontare la crisi e l’emergenza Covid 19.

Lo aveva fatto da presidente dell’Assolombarda – il vero cuore nero di questo paese – e sin dalla sua investitura a capo degli imprenditori italiani. E qui cominciamo a fare i dovuti distinguo e giocare sulle parole.

Nel nostro paese piuttosto che di “imprenditori” dobbiamo parlare di una razza di “prenditori” voraci e un bel po’ parassitari. Rischiano poco del loro e sono attaccati come cozze ai fondi pubblici dai quali succhiano – e pretendono – tutto, ma sono poco disposti a concedere sul piano salariale, fiscale e degli investimenti.

Quelli che non campano e prosperano attaccati come sanguisughe alla spesa pubblica, appena possono vendono a multinazionali straniere o delocalizzano nei paesi a bassi salari.

Il presidente della Confindustria, ricorrendo alla solita tattica del vittimismo aggressivo, ha denunciato l’aleggiare di uno “spirito anti-imprenditoriale”.

Negli ultimi giorni poi si è guadagnato le prime pagine coniando l’acronimo “Sussidistan” per mettere sulla graticola un governo che ha messo sul piatto bonus e sussidi per le famiglie durante l’emergenza Covid 19, che si trascina l’eredità di misure come Quota 100 o il Reddito di Cittadinanza, ma che ai prenditori ha concesso molto, anche prima, durante e dopo le durissime settimane del lockdown.

Ma Bonomi sa benissimo di aver lanciato in aria un sasso che qualora ricadesse sui piedi potrebbe (e dovrebbe) essere un macigno.

Gran parte dei “prenditori” italiani sanno benissimo di aver ricevuto molto in sussidi pubblici a vario titolo, ma soprattutto di essere diventati società per azioni parassitarie a ricasco della spesa pubblica.

E allora, per mettere sulla graticola l’emiro del Paraculistan (Bonomi) e i suoi sodali o ciambellani, facciamo parlare i dati.

Ad esempio il database della Commissione europea Ameco riferisce nel solo 2019 il nostro Paese ha destinato agli imprenditori circa 20 miliardi tra sussidi, agevolazioni e benefici vari. Una cifra decisamente sottostimata perché il calcolo dovrebbe tenere conto sia dei fondi tra finanziamenti diretti (soldi spesso dati anche a fondo perduto) e finanziamenti indiretti (dal credito d’imposta agli sgravi contributivi e fiscali). Nello stesso anno, al Reddito di Cittadinanza che riguarda alcuni milioni di persone, sono andati solo 7 miliardi.

Tra il 2015 e il 2020 alle imprese sono andati sussidi per più di 50 miliardi in sussidi per incentivare assunzioni, sgravi fiscali, aiuti di ogni genere.

Nei decreti Cura Italia e Rilancio varati durante l’emergenza Covid su un totale di 100 miliardi di euro di risorse messe a disposizione, almeno il 50% è stato destinato alle imprese.

Al Ministero dello Sviluppo Economico esiste una apposita task force dedicata esclusivamente agli incentivi alle imprese. Con flussi di denaro a favore del sistema industriale che, nella migliore delle ipotesi, superano di quasi tre volte il budget stanziato a favore del reddito di cittadinanza (che appunto assorbe circa 7 miliardi).

Ancora più pesanti sono i risultati delle elaborazioni dell’Ufficio studi della Uil. Alle imprese in senso stretto è andato il 48% dei 112 miliardi di euro messi in campo con i recenti decreti governativi, ossia una cifra pari a 53 miliardi, sotto forma di agevolazioni ed esenzioni fiscali, contributi a fondo perduto e garanzie pubbliche ai finanziamenti bancari. La lista dei sussidi di cui hanno beneficiato i prenditori è piuttosto lunga ed articolata: si va dall’esenzione per tutti del versamento dell’Irap, che costa 4,4 miliardi, ai 2 miliardi di euro di crediti d’imposta fino a 4 miliardi dati in dotazione al Fondo patrimonio Pmi, che deve aiutare a ricapitalizzazione le imprese di medie dimensione.

C’è poi il capitolo dell’accesso al credito: sono stati rifinanziati il Fondo Sace, il Fondo Centrale di Garanzia Pmi e il Fondo Ismea che consentono di ottenere un finanziamento con la garanzia dello Stato. La garanzia pubblica non è detto che si trasformi in un costo effettivo, dipenderà dal debitore, ma lo Stato ha rifinanziato questi fondi con 35 miliardi, attraverso una stima di quanto può essere il tasso di insolvenza dei prestiti. A questi accantonamenti vanno aggiunti i 44 miliardi a valere sul Fondo patrimonio destinato della Cassa Depositi e Prestiti, messo in piedi per ricapitalizzare aziende di grandi dimensioni in difficoltà.

Di fronte a questi dati, noti, conosciuti e conclamati, l’emiro del Paraculistan, Carlo Bonomi, si permette di chiedere la fine dei finanziamenti pubblici per le misure del welfare come il Reddito di Cittadinanza ed altre prestazioni sociali definendole con disprezzo “sussidistan”. Una arroganza che ha costretto anche un politico del Pd moderato come Orlando a sbottare con un: “Quando li prendono gli altri si chiamano sussidi. Quando li prendi tu, contributi alla competitività...”.

Non solo. Bonomi, mentre pretende la riduzione delle tasse per le imprese (e già l’ha ottenuta sull’Irap) avanza anche la proposta di fare pagare l’Irpef direttamente ai lavoratori dipendenti in nome della “semplificazione”. Ma occorrerebbe ricordare – e ricordarc – che nel nostro paese il 93% dell’Irpef è pagata proprio dai lavoratori dipendenti e dai pensionati.

Quando nelle settimane del lockdown si era capito che alla guida della Confindustria sarebbe andato un falco come Carlo Bonomi, sapevamo in anticipo lo scenario che avremmo avuto di fronte.

Adesso si tratta solo di scegliere con quale atteggiamento affrontare l’arroganza e la voracità dell’organizzazione dei “prenditori” nel nostro paese: se quello concertativo di Cgil – Cisl – Uil – Ugl che abbiamo visto fino ad oggi con risultati devastanti o se ci mettiamo per traverso con una opposizione frontale che ridia senso e dignità ad una visione di classe nei rapporti sociali in questo paese.

Bonomi lo definisce “spirito anti-imprenditoriale” perché gli fischiano le orecchie. È tempo che quel fischio torni ad essere quello del vento.

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