Il recente rapporto 2021 dell’Ipcc sulla crisi climatica ha sollevato reazioni comprensibilmente allarmate. Ma il problema di fondo è che, non da oggi, i rapporti dell’Ipcc forniscono certamente un’analisi completa e accurata dei dati scientifici aggiornati (grazie all’amplissimo insieme di specialisti internazionali) ma sono molto prudenti nel tirarne le conclusioni, fornendo un quadro che sostanzialmente lascia aperte soluzioni a mio parere illusorie. Pochi commentatori sottolineano un aspetto molto rilevante: l’Ipcc è sì un organismo dell’Onu, ma è intergovernativo, finanziato da un numero ristretto di Governi Membri e dalla Ue. Non so come l’Ipcc sia concretamente organizzato, ma è lecito manifestare dubbi che un tale organismo possa esprimersi in modo totalmente libero dagli interessi dei principali governi.
Queste sono riserve formali ma vi sono aspetti sostanziali che mettono in dubbio il quadro fornito dall’Ipcc. Il termine “irreversibile” significa che un sistema termodinamico non può più ritornare allo stato di partenza anche se si potessero eliminare tutti i fattori perturbanti: per un sistema complesso, altamente non lineare, si presentano delle soglie oltrepassate le quali il sistema evolve in modo assolutamente incontrollabile e imprevedibile. Oltrepassare una soglia causerebbe comunque aumenti della temperatura proporzionalmente maggiori e innalzamenti del livello dei mari significativamente superiori a qualunque momento in tutta l’era moderna.
Questa situazione può essere descritta in base a dinamiche specifiche di un sistema complesso non lineare, su cui non è possibile entrare nel merito al livello di questo articolo, ma qualche cenno può chiarire anche a un non esperto alcuni processi di fondo. Un aspetto cruciale è l’esistenza di meccanismi di retroazione (feedback) auto-rinforzanti, o positivi, che una volta innescati continuano ad agire e ad amplificare l’allontanamento dalla situazione di partenza: ecco perché, in sostanza, molti rimedi proposti, anche dagli ambientalisti, sono ormai privi di efficacia. Questi feedback positivi possono spingere il Sistema Terra verso soglie che, se superate, potrebbero impedire la stabilizzazione del clima ed aumentare il riscaldamento anche se le emissioni antropiche vengono ridotte. In un sistema complesso non lineare alterazioni limitate dello stato del sistema apparentemente marginali si possono amplificare in modo incontrollabile (“effetto farfalla”) e provocare disastri inauditi.
In un articolo di tre anni fa, dal titolo emblematico “Il Rapporto sul clima sottostima il pericolo”, il premio Nobel per la chimica Mario Molina e Durwood Zaelke, fondatore e presidente del Institute for Governance & Sustainable Development di Washington, scrivevano: “Per dirla senza mezzi termini, c’è un pericolo significativo che cicli di feedback positivi portino il Pianeta nel caos fuori dal controllo umano”. Anche i livelli attuali di inquinamento ambientale potrebbero portare per causa di questi meccanismi a un riscaldamento incontrollato.
Vi sono molti esempi facilmente comprensibili senza la necessità di nozioni scientifiche specifiche. Lo scioglimento dei ghiacci scoprirà il permafrost, il quale scongelerà rilasciando grandi quantitativi di metano, un gas che contribuisce 20 volte più della CO2 all’effetto serra. D’altronde i ghiacci che ricoprono il mare Artico riflettono la radiazione solare (albedo) molto di più della superficie del mare, più scura, che rimarrà scoperta, il ché aumenterà ulteriormente il riscaldamento dell’atmosfera terrestre. Il riscaldamento globale inoltre sta indebolendo la Corrente del Golfo, la quale potrebbe cessare (o addirittura invertirsi): le conseguenze sarebbero disastrose, come un rapido innalzamento del livello del mare verso la costa orientale degli Stati Uniti, per converso un raffreddamento delle regioni dell’Europa che si affacciano all’Atlantico. È molto indicativo, il riscaldamento “globale” è un processo medio estremamente complesso che può includere fenomeni di raffreddamento. Nell’inverno passato siamo stati investiti da correnti gelide che per gli sconvolgimenti atmosferici penetravano dalle regioni polari.
I boschi e le foreste che bruciano o vengono distrutti, oltre a deteriorare gravemente lo stato dei suoli e la loro permeabilità, modificano in modo permanente gli scambi termici, l’evaporazione, l’albedo, producono un loro clima. Si ricorderà che nel 2018 un ciclone distrusse i boschi delle Dolomiti sconvolgendone gli equilibri ed eliminando gli scambi con l’atmosfera: fu considerato un fenomeno eccezionale, che però sembra destinato a diventare comune.
L’inarrestabile aumento delle aree urbanizzate e cementificate (particolarmente comune e grave in Italia) modifica profondamente il microclima, genera trappole di calore e inversioni termiche, oltre a polarizzare sulle città le produzioni e i consumi, in particolare quelli idrici, provocando squilibri in tutto il territorio.
Con l’inarrestabile perdita di biodiversità la biosfera diventa sempre meno vitale e ospitale: scienziati autorevoli hanno denunciato il rischio che sia iniziata la sesta estinzione di massa.
Vi è poi una sistematica omissione nelle ricerche e nei rapporti dell’Ipcc, che riflette in modo inequivocabile l’adesione agli interessi dei governi: i consumi energetici e le emissioni climalteranti provocati dai sistemi militari, che nel caso di guerre guerreggiate si aggiungono alle stragi e alle devastazioni irreparabili. Il solo Pentagono è il primo consumatore e inquinatore singolo in assoluto in una graduatoria che include gli Stati. Eppure gli Stati Uniti hanno ottenuto nei negoziati e negli accordi sul clima l’esenzione delle emissioni del sistema militare! Come si può pensare che gli scienziati dell’Ipcc violino questa questa intesa?
Sono convinto che la soglia di irreversibilità del clima sia stata oltrepassata da tempo: già dallo storico summit di Rio del 1992 – soprattutto a fronte dell’evidente rifiuto dei governi di sottostare a provvedimenti radicali – credo che l’aggravamento della crisi climatica fosse già irreversibile: ma noi non avevamo gli strumenti, e venivamo dai movimenti che volevano cambiare il mondo.
Prendere atto almeno oggi di questa situazione non significa drammatizzare in modo ingiustificato ma essere realisti, e ritengo che questo sia necessario anche per i movimenti ambientalisti che ancora alimentano illusioni di potere arrestare questi processi. Questo rafforza, e non indebolisce, la richiesta di un radicale cambiamento dei modi insostenibili in cui produciamo e consumiamo.
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