di Michele Giorgio
Ha colto non pochi di sorpresa la decisione degli Emirati di unirsi venerdì a Cina e India nell’astensione sulla risoluzione dell’Onu – sponsorizzata da Usa e Albania e bloccata dal veto di Mosca – di condanna dell’invasione russa dell’Ucraina. «Gli Emirati Arabi Uniti ribadiscono il loro impegno per l’integrità territoriale, la sovranità e l’indipendenza di tutti gli Stati membri. Chiediamo un’immediata riduzione dell’escalation e la cessazione delle ostilità», si è limitata a dichiarare l’ambasciatrice Lana Nusseibeh senza nominare la Russia e indicare l’Ucraina come vittima. Al Palazzo di Vetro, Abu Dhabi ha confermato la politica estera spregiudicata che porta avanti da qualche anno. Da fedele alleata di Washington, dell’Occidente e dal 2020 anche di Israele, non teme a tenere mezza aperta la porta all’Iran e alla Siria di Bashar Assad contro la posizione dei cugini sauditi. E ora dialoga con la Russia nel momento in cui è bersaglio di condanne e sanzioni per l’attacco a Kiev.
Il giorno prima dell’inizio dell’offensiva russa, il ministro degli esteri emiratino, Abdullah bin Zayed Al Nahyan, ha avuto un colloquio telefonico con il suo omologo russo Sergei Lavrov. Al termine ha diffuso un comunicato in cui si sottolinea soltanto l’intento di «migliorare le prospettive della cooperazione tra Emirati e Russia in vari campi». Abu Dhabi come Mosca fa parte del gruppo di paesi produttori di petrolio OPEC+ che si riunirà virtualmente mercoledì per discutere la futura politica di produzione. Meno di un mese fa l’Amministrazione Usa aveva inviato una nave e sistemi missilistici a difendere gli Emirati finiti sotto attacco di droni e razzi dei ribelli yemeniti Houthi. Biden in quell’occasione aveva proclamato che «l’America non abbandona gli amici» in Medio Oriente. Ma le monarchie sunnite, inclusa l’Arabia Saudita, se da un lato restano fedeli a Washington dall’altro non vogliono farsi legare troppo le mani. D’altronde anche Israele, l’alleato principale degli Stati Uniti nella regione, ha adottato una linea di cauto sostegno a Kiev senza attaccare frontalmente Putin.
Giornali e analisti arabi da tre giorni si affannano a difendere l’Ucraina sotto attacco o, al contrario, a criticare gli Usa, la Nato e a ricordare le ragioni che hanno portato Putin a scegliere la via della guerra. Ne sono un esempio le pagine di giornali come l’emiratino e filo-occidentale Al Khaleej, il libanese Al Akhbar vicino a Siria e Iran e Raya al Youm diretto da un noto giornalista anti-Usa, Abdel Bari Atwan. Che il Cremlino sia (ri)diventato un attore chiave in Medio Oriente, e a danno della Casa Bianca, mette d’accordo tutti. E re e leader arabi non vogliono andare contro la rinnovata superpotenza russa. Nel 2015, un anno dopo l’annessione della Crimea, Putin è intervenuto in Siria a sostegno del presidente Bashar Assad lanciando un messaggio chiaro ad arabi e agli Usa. Assad due giorni fa ha ricambiato descrivendo l’attacco all’Ucraina «una correzione della storia». Mosca scendendo in campo in Siria ha infranto l’esclusività dell’America nella gestione delle crisi regionali e creato le condizioni per un nuovo equilibrio di potere di cui i paesi mediorientali non possono non tener conto. «Dover accettare l’invasione russa di un altro paese indipendentemente dalle circostanze è preoccupante», ha scritto due giorni fa l’editorialista Ibrahim al Amin su Al Akhbar. «Tuttavia – ha aggiunto – possiamo rallegrarci per la direzione che hanno preso gli equilibri globali. Quello che ha fatto Putin vuol dire che oggi esistono di nuovo due campi: Est e Ovest».
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