di Guido Salerno Aletta
Dopo aver perso la sfida della Globalizzazione, la rivincita dell'Occidente sta in una sola scommessa: quella di procedere a tutti i costi nella transizione energetica, per abbandonare quanto prima possibile le fonti fossili, e creare un sistema di dazi alle importazioni delle merci proveniente dai Paesi che, come la Cina, non potranno fare altrettanto. Nel frattempo, la imminente crisi economica dell'Occidente metterà in crisi le esportazioni di Pechino ed il suo modello di grande Paese trasformatore, Fabbrica del Mondo.
L'inflazione dei prezzi dell'energia serve dunque ad accelerare il processo di transizione, a renderlo conveniente. Le sanzioni alla Russia per via della guerra in Ucraina, servono a renderlo ineluttabile.
Il precedente c'è già, iniziato negli anni Settanta: ha giocato a sfavore dei Paesi trasformatori come l'Italia, a tutto vantaggio dei Paesi produttori di petrolio e degli Usa che si finanziavano con i Petrodollari.
Accadde nel '73 con la Prima crisi petrolifera, che scoppiò a valle della Guerra del Kippur tra Egitto ed Israele, anche stavolta ci sono diverse componenti di cui tenere conto: la guerra in Ucraina si innesta in un contesto di economia globale già molto perturbato dalla crisi sanitaria iniziata nel 2020.
Anche allora, il mondo occidentale era malconcio per lo shock sistemico che era stato determinato nel '71 dal recesso unilaterale degli Stati Uniti rispetto alla convertibilità internazionale del dollaro. La valuta statunitense era stata svalutata, con la conseguente riduzione delle esportazioni europee, mentre i prezzi interni americani erano aumentati vistosamente per via dei dazi generalizzati imposti alle importazioni negli Usa.
Anche stavolta, la guerra in Ucraina ha accelerato sia in Europa che negli Usa, un processo di aumento generalizzato dei prezzi iniziato a partire dalla seconda metà del 2021, con la ripresa innescata dalla pausa estiva nella emergenza sanitaria dopo una profonda crisi economica globale.
Molti operatori hanno approfittato del riavvio del ciclo dei consumi per recuperare le consistenti perdite accumulate nei due esercizi precedenti:
- sono aumentati a dismisura i noli dei trasporti marittimi, con ritardi nelle consegne;
- i prezzi dei carburanti per uso automobilistico sono aumentati assai velocemente soprattutto negli Usa, sebbene la loro produzione interna sia ragguardevole;
- in Europa, le bollette energetiche hanno risentito dell'aumento eccezionale del costo dei diritti di emissione di CO2, in un contesto di aste che era stato nel frattempo completamente finanziarizzato, favorendo la speculazione;
- nel frattempo, sono aumentati i prezzi di tutta una serie di prodotti, da quelli minerali a quelli agricoli, che sono contrattati a livello internazionale sulle piattaforme di trading.
La ragione che unifica queste diverse dinamiche può essere individuata nella scommessa generalizzata al rialzo dei prezzi da parte degli operatori economici che avevano resistito alla recessione, e da parte di quelli finanziari che avevano tenuto ferme a livelli eccezionalmente alti le loro posizioni sui listini azionari nonostante la fase fortemente negativa della economia mondiale.
La enorme liquidità immessa dalle Banche Centrali Occidentali, principalmente Fed e Bce, ha alimentato la speculazione sulle piattaforme di trading. Alcuni Paesi, come la Cina, avevano invece approfittato del forte calo dei prezzi internazionali registrato durante la pandemia per fare scorte strategiche: non è casuale il fatto che in questi mesi registrino una dinamica inflazionistica assai più contenuta di quella europea e statunitense.
L'Occidente si trova al centro di una transizione energetica e tecnologica volta a cambiare radicalmente i modelli di produzione e di consumo: l'emergenza climatica, con l'obiettivo di bloccare l'aumento della temperatura atmosferica entro il massimo di 1,5/2 gradi rispetto all'era pre-industriale, comporta l'abbandono delle fonti energetiche fossili con la parità di emissioni di carbonio prevista attorno alla metà del secolo. Si tratta di un processo economico e finanziario distruttivo di asset industriali giganteschi, di due secoli di rivoluzioni industriali fondate sulla produzione di energia utilizzando carbone, petrolio e gas. Questa strategia comporta un enorme fabbisogno di investimenti nella realizzazione di infrastrutture energetiche da fonte rinnovabile, ed ha soprattutto bisogno di una leva dei prezzi e delle convenienze che la sostenga.
La forte inflazione registrata dei prezzi dell'energia da fonte fossile, ed ancor più quella che sarà determinata dalle sanzioni alla Russia per via della guerra in Ucraina che possono portare addirittura al blocco delle importazioni di petrolio e di gas, servono proprio a questo: abbassare l'enorme differenza che esiste tra i costi storici della energia prodotta con i combustibili fossili e quelli prospettici della energia prodotta con fonti rinnovabili, solare ed eolico, con l'idrogeno e la batterie per lo stoccaggio di questa energia altamente aleatoria ed intermittente.
Giunge dunque a proposito, la guerra in Ucraina: anche la irregolarità delle forniture serve a questo scopo: serve ad accelerare i risparmi energetici, a chiudere tutte le attività produttive ad elevato consumo di energia che non sono più sostenibili con questi costi. Negli anni Settanta, un processo analogo costrinse l'Italia ad abbandonare i progetti di industrializzazione del Meridione, a chiudere il Centro siderurgico di Bagnoli, a rinunciare a quello di Gioia Tauro. I consumi di benzina delle automobili furono ridotti drasticamente, arrivando al record per quei tempi di dieci litri per percorrere cento chilometri, mentre la velocità sulle strade ed autostrade veniva ridotta.
Mentre negli anni Settanta l'obiettivo era rappresentato dal risparmio nell'uso dell'energia da fonte fossile, ora, esattamente cinquant'anni dopo, si tratta di abbandonarle. Ed invece di usare la leva della tassazione ambientale per aumentare il costo dei prodotti energetici, si usano la speculazione finanziaria e le sanzioni alla Russia.
Si raggiunge così un duplice scopo: l'isolamento della Russia non è solo un obiettivo geopolitico, ma è strumentale alla transizione energetica verso fonti rinnovabili. Anche la ricerca di fonti fossili alternative al gas ed al petrolio provenienti dalla Russia, che avranno un costo più alto rispetto a queste importazioni, sono funzionali ad un aumento dei costi dell'energia che serve alla transizione.
La crisi economica che sarà determinata in Occidente dallo shock energetico in corso e dalle sanzioni irrogate alla Russia provocherà inevitabilmente una riduzione della domanda delle famiglie e delle imprese e dunque delle esportazioni della Cina, visto che Usa ed Europa rappresentano insieme la metà del suo mercato di sbocco.
Per Pechino, stavolta non sarà affatto facile rimediare, vista la grande difficoltà finanziaria in cui versano sia il settore delle infrastrutture che quello immobiliare, che vennero fortemente incentivati dopo la Grande crisi Finanziaria americana del 2008 per compensare il collasso del commercio internazionale.
Una demolizione controllata delle economia occidentali, finalizzata alla transizione energetica, può provocare forti contraccolpi in Cina, anche rallentando le sue importazioni di materie prime dall'estero e dunque la sua importanza come centro di un sistema produttivo di tipo imperiale. Tanti Paesi, dal Brasile all'Argentina, dall'Australia al Giappone, sono legati alla Cina per via delle loro esportazioni: ma se, dopo la trasformazione produttiva, quelle della Cina in Occidente subiscono un tracollo, tutto si blocca.
Rendere sostenibili le Rinnovabili, isolare la Russia, colpire la Cina
Grazie infinite, Carissima Energia!
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