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06/09/2022

La guerra di classe di Liz Truss

Quando Boris Johnson assunse per la prima volta la carica di primo ministro nell’estate del 2019, sembrava facile scommettere che sarebbe stato il capo di governo più impreparato della storia moderna britannica. Relativamente più difficile era invece immaginare che il suo successore sarebbe stato anche peggio. Con la nomina lunedì di Liz Truss alla guida del Partito Conservatore e martedì a primo ministro, quest’ultima previsione appare invece già molto vicina a realizzarsi. Di certo, l’approdo al vertice del governo di Londra del ministro degli Esteri uscente rappresenta un pericoloso salto nel buio sia per quanto riguarda l’economia sia la politica estera.

Martedì, l’ex ministro del gabinetto Johnson ha ricevuto ufficialmente l’incarico di primo ministro dalla regina Elisabetta nella residenza estiva di Balmoral, in Scozia, immediatamente dopo le dimissioni del suo predecessore. Liz Truss ha iniziato rapidamente la formazione di un nuovo governo che dovrà affrontare problemi tra i più complicati del dopoguerra. Il criterio di scelta dei membri del gabinetto è in sostanza la necessità di bilanciare le richieste delle varie fazioni di un Partito Conservatore segnato da profonde divisioni interne e, ancor più, di implementare politiche anti-sociali e di accelerare l’escalation del confronto internazionale con Russia e Cina.

Commenti e analisi su Liz Truss si sono ovviamente sprecati in questi giorni e solo i media più allineati ai conservatori hanno offerto qualche brandello di ottimismo o giudizi lusinghieri. I commentatori indipendenti hanno evidenziato più realisticamente le modeste capacità intellettuali della neo-premier, assieme all’opportunismo più estremo che la contraddistingue, dimostrato ad esempio dall’orientamento anti-monarchico in gioventù, e all’assenza di qualsiasi principio morale o politico. La Truss ha condotto una campagna elettorale tra gli iscritti al Partito Conservatore proponendosi come una sorta di copia di Margaret Thatcher, con la quale condivide evidentemente il disprezzo per la “working-class” britannica.

Se è vero che il degrado della politica occidentale, con il conseguente “successo” politico di vere e proprie nullità come Liz Truss, è un fenomeno ormai tristemente dilagante, è comunque utile comprendere le ragioni che l’hanno condotta a Downing Street, assieme a quelle che hanno spinto Johnson alle dimissioni. Secondo la versione ufficiale, l’ormai ex premier era stato emarginato dal suo stesso partito a causa di una serie di scandali che avevano coinvolto lui stesso e alcuni componenti del gabinetto.

Il discredito di Johnson era effettivamente reale, ma questioni morali o di rettitudine democratica erano lontane dai pensieri dei vertici conservatori. La permanenza dell’ex sindaco di Londra alla guida del governo minacciava piuttosto una disfatta elettorale nel prossimo futuro e, soprattutto, un ostacolo alla strategia economica richiesta dai grandi interessi economico-finanziari britannici e alla programmata offensiva anti-russa e anti-cinese sul piano internazionale.

Queste considerazioni portano direttamente alla “elezione” di Liz Truss, di fatto il politico più manovrabile tra i candidati di spicco alla leadership dei “Tories” e quindi, almeno sulla carta, maggiormente in grado da un lato di liquidare i modesti interventi statali nell’economia seguiti alla pandemia e dall’altro di integrare la Gran Bretagna nei piani di Washington per sganciare l’Europa dalla Russia e, più in generale, dalle dinamiche di integrazione euroasiatica promosse in primo luogo dalla Cina.

Infatti, la campagna elettorale di Liz Truss ha avuto al centro soprattutto due questioni: i tagli alle tasse per i redditi più alti e l’intensificazione dello scontro con Mosca. Due dichiarazioni del ministro degli Esteri uscente suonano in particolare come un serio avvertimento alla popolazione britannica. In un dibattito elettorale di qualche giorno fa, la Truss aveva tranquillamente assicurato di non avere nessuno scrupolo nel lanciare un attacco nucleare, essendo questo un “dovere” di un primo ministro. In un’intervista recente alla BBC, la Truss aveva inoltre cercato di auto-promuovere le sue credenziali thatcheriane promettendo l’alleggerimento del carico fiscale per i ricchi e meno “regolamentazioni”, per poi concludere con la seguente considerazione: “è sbagliato guardare alla politica economica interamente dal punto di vista della redistribuzione”.

Queste parole suonano come una dichiarazione di un’ulteriore guerra di classe in preparazione in un paese che sta subendo i rincari tra i più alti in Europa di bollette energetiche e beni di prima necessità. I tagli alle tasse per gli ultra-ricchi dovranno oltretutto essere sommati, in termini di minori entrate pubbliche, al promesso aumento al 3% del PIL delle spese militari britanniche entro il 2030. Si tratta di una spesa stimata di quasi 160 miliardi di sterline, pari a circa l’intero bilancio annuale del Servizio Sanitario Nazionale (NHS).

Quello che attende il nuovo governo Truss è dunque un inasprimento del conflitto sociale, già in fase ascendente come dimostrano i numerosi scioperi delle ultime settimane. Prospettiva già messa ampiamente in conto dalla classe dirigente conservatrice. Basti pensare a un paio di segnali arrivati nelle fasi finali della campagna elettorale per la leadership del partito al governo a Londra. Nel fine settimana, il Sunday Times ha rivelato un piano della polizia britannica per affrontare la crisi prodotta dal carovita, la quale si tradurrà in una “dolorosa e prolungata pressione economica”, causando un aumento del crimine e delle minacce all’ordine pubblico.

Oltre a preparare la repressione di proteste e rivolte con l’intervento delle forze di sicurezza, il nuovo governo conservatore intende ricorrere e intensificare una legislazione anti-sindacale di cui Johnson aveva già fatto uso. L’obiettivo sarà in definitiva quello di restringere pesantemente il diritto alla mobilitazione dei lavoratori, se non a metterlo del tutto fuori legge almeno nei settori industriali strategici.

Le premesse con cui nasce il governo Truss non sono dunque incoraggianti. Tutti gli indicatori economici e sociali che disegnano un paese in profonda crisi finiranno quasi sicuramente per peggiorare nei prossimi mesi, con il piano di “aiuti” promesso dal gabinetto entrante gravemente inadeguato e, come già ricordato, subordinato ai tagli alle tasse per i ricchi e all’impegno a favore del regime ucraino. Identico discorso vale per la politica estera. Esattamente come Johnson, anche Liz Truss finirà per presiedere a un ulteriore ridimensionamento della posizione della Gran Bretagna sullo scacchiere internazionale. Una prospettiva beffardamente sottolineata proprio nei giorni precedenti la nomina di Liz Truss dalla notizia che l’India ha ormai superato come quinta economia del pianeta la ex potenza coloniale.

In una maniera fin troppo edulcorata, un’analisi pubblicata lunedì dalla Associated Press ha spiegato il carattere classista del nascente governo Truss, nonché il motivo per cui risulta già impopolare ancora prima di essersi insediato. “Il conservatorismo di destra” della neo-premier, spiega l’agenzia di stampa, le ha garantito l’appoggio di molti membri del partito impazienti di “ridimensionare l’intervento dello stato [nell’economia] e di ridurre le tasse”. Non è però chiaro se questa agenda, “che ha funzionato così bene con i membri del partito”, sarà altrettanto attraente per la popolazione britannica, “in particolar modo per coloro che maggiormente necessitano di aiuti per [acquistare] beni di prima necessità e per riscaldare le loro abitazioni il prossimo inverno”.

Ciò che la maggior parte dei britannici si aspetta da Liz Truss è d’altra parte già chiaro. Un sondaggio di YouGov pubblicato lunedì ha chiarito che la nuova leader dei “Tories” fa già segnare livelli altissimi di impopolarità. Metà degli interpellati ha espresso “delusione” alla notizia della scelta della Truss, mentre un terzo addirittura “parecchia delusione”. Solo il 4% si è detto al contrario “molto soddisfatto” della nomina. In un’altra indagine di YouGov il 67% si ritiene “molto scettico” a proposito delle capacità dell’ex ministro degli Esteri di risolvere il problema dell’inflazione.

La freddezza dei britannici verso il nuovo primo ministro è il riflesso, oltre che della deriva anti-democratica generale dei sistemi parlamentari occidentali, anche delle modalità con cui Liz Truss è stata selezionata. Dopo le dimissioni di Boris Johnson, il Partito Conservatore aveva aperto la competizione per la successione alla leadership. Tutti i candidati erano passati attraverso una serie di voti preliminari espressi dai membri conservatori del parlamento.

I due contendenti rimasti si sono sfidati in una sorta di ballottaggio a cui hanno partecipato i soli iscritti al Partito Conservatore. Alla fine, a scegliere la nuova leader e automaticamente, essendo quello Conservatore il partito di maggioranza, il nuovo capo del governo di un paese di oltre 67 milioni di abitanti sono stati circa 170 mila tesserati conservatori, la maggior parte dei quali anziani e benestanti. Per la cronaca, Liz Truss ha ricevuto 81.326 voti, contro i 60.399 del suo rivale, l’ex ministro delle Finanze, o Cancelliere dello Scacchiere, Rishi Sunak.

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