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15/06/2023

Kosovo: cappio al collo per la Serbia?

Come avevo scritto mesi fa negli ultimi due articoli sulla situazione, il nodo Kosovo sta avanzando a tappe forzate verso l’ultima stazione, come da progetto USA/NATO, con le pressioni, provocazioni, minacce al governo serbo, intensificatesi negli ultimi mesi con il diktat: o con la Russia o con l’Occidente.

Ora, con il fronte ucraino aperto, quanto sta accadendo non è casuale, è un messaggio chiaro, possente, se la Serbia non sceglie “la parte giusta”, andrà verso la sua destabilizzazione e il conflitto.

In questi ultimi dieci giorni sono stato quotidianamente in contatto con i nostri referenti sul posto e con gli esponenti politici, sociali, militari, sindacali, religiosi e i rappresentanti delle enclavi, con cui sono in relazione da sempre.

Premetto questo per spiegare che questo articolo non è frutto di mie personali convinzioni, ma è una sintesi, sicuramente carente e limitata, di telefonate, scambi di mail, domande, analisi tratteggiate, supposizioni, ma che sono le valutazioni della parte dirigente della società serba, anche con differenze politiche tra loro, che ho cercato di riportare, ma che hanno un valore indubbiamente profondo e concreto, perché arrivano “dal campo”.

La situazione è sotto gli occhi di tutti, quindi è inutile sprecare righe, anche perché nelle piazze è in continua evoluzione, ritengo e mi chiedono di sottolineare e far circolare ovunque possibile, la concezione che un concreto impegno di PACE deve basarsi su alcuni semplici ma fondamentali punti per un negoziato reale e paritario, soprattutto non contestabile da alcuna persona onesta intellettualmente ed eticamente.

Con i ferventi fondamentalisti dell’atlantismo e del mondo unipolare egemonizzato dall’occidente, ritengo sia inutile discutere. Questi semplicemente difendono i privilegi occidentali e le ingiustizie perpetrate dai tempi del colonialismo ad oggi.

Per fermare scenari di guerra, come sempre i passaggi sarebbero semplici... se si cercano soluzioni di pace, ma il mondo unipolare dominato dalla potenza USA ha bisogno di guerre, e anche in Kosovo questo emerge chiaramente, se si vuole vedere o lo si cerca di comprendere.

Questa situazione è il frutto, da un lato del fallimento completo di 24 anni di gestione NATO e USA, della situazione da loro creata e gestita, a partire dalla distruzione pianificata della Jugoslavia, poi dell’aggressione alla Repubblica Federale Jugoslava e poi della gestazione di questa creatura statuale illegittima, qual è “Kosova stato”, riconosciuta solo dai paesi succubi o complici di USA e NATO (neanche tutti, come Spagna, Romania, Slovacchia, Grecia e Cipro).

La causa della situazione attuale parte dalla criminale e arrogante aggressione del 1999 (per non dire del 1991) della RFJ, che troppi “casualmente” non ricordano o non menzionano.

È stato frantumato un paese, che pur tra mille contraddizioni, limiti, errori rappresentava comunque una esperienza di convivenza politica, culturale e storica tra le più avanzate del mondo.

La provincia autonoma del Kosovo Metohija, era abitata da 14 minoranze con pari diritti, con decine di giornali e riviste nelle lingue nazionali, programmi televisivi specifici, giurisprudenza adattata alle minoranze, decine di partiti politici, tutte le fedi religiose rispettate e agevolate, centri culturali e associazioni etniche finanziate dallo stato, diritti sindacali e repressione di qualsiasi manifestazione di razzismo, odio etnico o religioso, ecc. ecc.

Proprio in questi giorni è uscito un mio libro (“Kosovo 1999. Albanesi e milizie kosovare albanesi di autodifesa” – Ed. La Città del Sole) con la documentazione mediante atti ufficiali e inoppugnabili, di cosa era il Kosovo fino al ’99 e come lo hanno distrutto e reso quello che è oggi.

La situazione sul campo secondo i nostri referenti lì, è di altissima tensione, non solo per gli scontri, i feriti e gli arresti, ma per un contesto generale in cui sanno di essere parte, che può evolvere in diversi scenari, ma dove i prezzi da pagare saranno sicuramente alti e feriranno comunque la loro identità serba, comunque vada.

E proprio in questi giorni il reggente della NATO a Pristina A. Kurti, ha dichiarato di avere una lista di almeno mille serbi che devono essere arrestati. E intanto nelle enclavi del Metohija, sono ricomparse le scritte UCK sui muri e sulle case dei serbi, vengono bruciate macchine, distrutti i murales serbi, strappati gli ultimi simboli serbi rimasti.

Il 29 maggio, il ministro della Difesa serbo M. Vucevic ha dichiarato che l’esercito del paese ha completato la predisposizione al combattimento ed è pronto a svolgere qualsiasi compito assegnato dal presidente, aggiungendo che la situazione ha raggiunto il culmine della tensione e che potrebbe trasformarsi in un conflitto armato.

Secondo il presidente serbo Vucic “…Albin Kurti, sta cercando di diventare il “Vladimir Zelensky” locale, ostentando un comportamento irresponsabile, non evitando dichiarazioni provocatorie. Cosa che i serbi sicuramente non tollereranno e che può sicuramente provocare scontri di massa…”.

Tutti collegano questa impennata provocatoria e violenta delle autorità di Pristina, alla situazione ucraina, all’obbiettivo di piegare il governo serbo all’adesione alle sanzioni e quindi al distacco dalla storicamente e spiritualmente fraterna Russia.

Che, va ricordato è ferma sull’impedire il riconoscimento del Kosovo e la sua indipendenza negli ambiti internazionali, quindi un ostacolo imprescindibile all’amputazione e sconfitta totale della Serbia, indicando nella Russia il mandante e beneficiario delle tensioni. Ma nei fatti è proprio così?

Possibili scenari

Comunque la si pensi o si anelerebbe, al di là che il popolo serbo sta vivendo da 24 anni una efferata ingiustizia e ha subito una montagna di falsità e menzogne, se si vuole affrontare realisticamente e fattualmente questa conflittualità irrisolta e pianificata dall’egemonismo occidentale targato USA/NATO, PER ORA, in questa fase, l’unica via per la Serbia è quella di mantenere aperto ed attivo il fronte negoziale e diplomatico con l’ONU e la UE, restando ferma a livello internazionale sulla Risoluzione 1244 dell’ONU, pur essendo ormai solo carta.

Puntando sulle contraddizioni e frizioni dentro essi, pur coscienti del ruolo di questi. In Serbia la stragrande maggioranza della popolazione (i sondaggi dicono di un 75/80%), sa che sarebbe giusto e legittimo riprendersi la provincia con qualsiasi mezzo e ridargli uno status di legalità interni al Diritto internazionale ed alla Costituzione serba, con il ripristino dei diritti civili, sociali, politici e religiosi, ma la realtà sul campo e intorno al paese, ne indica l’impossibilità.

Nell’ultimo anno, la Serbia è sottoposta a pressioni e ricatti senza precedenti da parte di USA/NATO/UE, che chiedono di non opporsi all’adesione del Kosovo alle organizzazioni internazionali, comprese le Nazioni Unite, per stabilire relazioni di buon vicinato basate sull’uguaglianza, il rispetto reciproco della sovranità e dell’integrità territoriale, per il riconoscimento reciproco dello stato e simboli nazionali, stabilendo relazioni quasi diplomatiche.

Con il pretesto della “normalizzazione delle relazioni” l’Occidente, guidato dagli USA, cerca infatti di obbligare la Serbia a riconoscere de facto il nuovo stato del Kosova prodotto dall’aggressione NATO del 1999.

Promesse di adesione all’UE, alla NATO, investimenti e donazioni vengono sfruttati per indurre la Serbia a riconoscere la secessione di una parte del proprio territorio statale, rinunciando così a tutti i diritti basati sul Diritto internazionale, sulla Carta delle Nazioni Unite, sulle garanzie del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite nonché sulla propria Costituzione.

Tutte queste richieste sono contenute nel cosiddetto “Accordo sulla via della normalizzazione delle relazioni tra Kosovo e Serbia” presentato alla Serbia il 27 febbraio 2023 e confermato il 18 marzo 2023 a Ohrid, in Macedonia settentrionale, sotto forma di un ultimatum fluido.

È interessante notare che questo ultimatum, accompagnato dalle minacce di misure e restrizioni economiche, finanziarie e di altro tipo in caso di mancato rispetto, è stato poi confermato dal Consiglio europeo il 24 marzo 2023, data in cui esattamente 24 anni fa la NATO iniziò a bombardare il paese balcanico.

Per cosa? Per esempio, in questo modo il Kosovo potrà entrare nella NATO e persino unirsi alla formazione della Grande Albania; decretare la completa occupazione NATO dei Balcani, inglobando Serbia e Bosnia-Erzegovina, depotenziando la Repubblica Serba di BH.

Ecco che così sarebbe allontanata e spazzata via la presenza e l’influenza russa e cinese nei Balcani; in questo modo sarebbe anche aggirata la riserva dei cinque Stati membri dell’UE (quattro della NATO) che finora non hanno riconosciuto la secessione unilaterale del Kosovo, ristabilendo così anche l’unità all’interno dell’alleanza.

Il disegno di USA e NATO, comprende una rivoluzione colorata in Serbia con l’aiuto degli albanesi del Kosovo. In questi anni la NATO ha addestrato gli ex combattenti terroristi dell’UCK, trasformandoli in polizia, corpi speciali e di fatto in forze armate.

Stanno perseguendo una politica volta a preparare gli albanesi del Kosovo a una guerra per procura contro la Serbia. Come in Ucraina i neonazisti ucraini hanno la funzione di “carne da cannone” per i loro obiettivi e interessi geopolitici, qui stanno perseguendo una politica volta a preparare gli albanesi del Kosovo a una guerra e a organizzare una rivoluzione colorata in Serbia. Se ciò avvenisse i Balcani si trasformerebbero in un piazzaforte per lo scontro finale contro la Russia.

Ma una opzione di guerra e scontro frontale, pur possibile come opzione ultima se imposta militarmente dalla controparte USA, sarebbe per il paese balcanico, stremato e immiserito da oltre vent’anni di sanzioni ed embarghi, una prospettiva disastrosa e distruttiva.

Potrebbe contare su un sostegno concreto e materiale solo dalla Russia, come già dichiarato e scontato, ma la Serbia sarebbe isolata e sola materialmente, in uno scontro con le forze NATO e i terroristi dell’UCK, ormai un buon esercito addestrato e formato in questi anni sotto mentite spoglie o sofismi, circondata completamente da paesi con governi ostili e già parte della NATO, non potrebbe ricevere nemmeno un aereo o un solo contingente di aiuto militare. Il Kosovo non è il Donbass, che ha un confine alle spalle amico e militarmente determinante.

Il Ministro degli Esteri russo Lavrov, parlando in una conferenza stampa a Nairobi, ha definito il nuovo aggravamento del conflitto tra Serbia e Kosovo, come una situazione allarmante.

Secondo Lavrov, i paesi occidentali si stanno sforzando di “soggiogare chiunque esprima in qualche modo la propria opinione, è necessaria una soluzione geopolitica che assicuri che nessun blocco, inclusa la NATO, abbia il diritto di rivendicare il dominio in questa parte del globo. I serbi difendono i propri diritti nel nord della provincia autonoma del Kosovo”.

Un altro particolare che non si trova mai nelle analisi di studiosi di qui, è il dramma delle enclavi del Metohija dove vivono migliaia di serbi e rom, come mi ha detto un ex ufficiale della polizia serba in Kosovo, questi, in caso di guerra sarebbero come agnelli circondati da lupi, senza protezione e senza possibilità di ricevere aiuto, come ha detto anche in televisione sarebbero sgozzati. Questo non è un pensiero astratto è un dato di fatto.

Tenendo conto della situazione al momento, la strada più realistica per la Serbia è riaffermare una politica estera indipendente, neutrale ed equilibrata, preservando e rafforzando le relazioni con i tradizionali amici e alleati, rimanendo aperta a relazioni paritarie e alla cooperazione con tutti i paesi e gli organismi che sostengono la Serbia come partner paritario.

Per questo ritengo che decisivi e determinanti saranno il ruolo che assumeranno la Cina, la Turchia e l’Ungheria.

Perchè?

La Cina per tre motivi basilari, uno è la progettualità strategica che ha messo in piedi nel mondo e su cui punta, ed è quella relativa alla “Via della Seta”. Con la sua posizione geostrategica nei Balcani la Serbia è interna a questo progetto.

Il secondo motivo è la necessità della difesa dei sempre più rilevanti e onerosi investimenti economici fatti nel paese, con altri già in cantiere.

Il terzo motivo è la progettualità ormai dispiegata e in pieno sviluppo di un blocco di paesi, pur differenti tra loro, interni a una strategia di costruzione di un mondo multipolare, che si contrappone e contrapporrà sempre più frontalmente, ai trenta paesi (più pochi altri sottomessi) del blocco occidentale ed atlantista che cercano di difendere l’egemonismo, ormai in crisi evidente, degli USA.

L’ambasciatore cinese Chen ha affermato che la situazione in Kosovo è molto preoccupante: “La Cina sostiene e sosterrà gli sforzi della Serbia per preservare l’integrità territoriale e la sovranità e si oppone alle azioni unilaterali delle istituzioni temporanee a Pristina, alle quali chiede di adempiere ai propri obblighi…”. Dichiarazioni che indicano il sostegno aperto alla Serbia.

Poi c’è la Turchia, per il ruolo assunto da Erdogan negli ultimi tempi, di mediatore di conflitti a tutto campo, non certo per bontà o magnanimità politica, ma semplicemente perché sa che di USA e NATO non si può fidare, e i motivi si conoscono.

Proprio in questi giorni è arrivata in Kosovo come contingente della KFOR/NATO, la 65° Brigata di Fanteria meccanizzata formata da militari turchi e, inaspettatamente la popolazione serba kosovara e anche gli esponenti locali serbi, l’hanno accolta con favore, denunciando che il comportamento finora tenuto dei militari polacchi, statunitensi, inglesi, tedeschi e altri della KFOR, è sempre stato di ostilità, disprezzo e forme di razzismo verso i serbi. E di questo ne sono stato testimone oculare nei miei viaggi nelle enclavi.

Anche la presidenza serba di Belgrado ha sottolineato che la Turchia è un partner estremamente importante per la Serbia, non solo a livello bilaterale, ma anche sulla scena politica internazionale. Per le sue mire da “sultano” moderno e guida delle comunità musulmane sunnite, quale vorrebbe essere, per la Serbia, come si porrà (finora lì ha avuto una politica costruttiva), ha una enorme importanza.

Molti si dimenticano che la Serbia ha una bomba ad orologeria interna al paese, si tratta del Sangiaccato di Novi Pazar, una provincia a sud del paese, abitato da una stragrande maggioranza di musulmani, essendo stato fino alla fine dell’Impero ottomano nel 1913 sotto la Turchia, e dove la situazione è da decenni incandescente, con tensioni latenti ma anche visibili, già sfociate nei primi anni duemila anche in azioni di terrorismo e richieste di indipendenza. Qui, per Belgrado, come si porrà Erdogan sarà un altro fattore di equilibrio o ulteriore squilibrio e conflittualità.

Poi l’Ungheria, perché in questo ultimo anno Orban, che resta quello che è sempre stato, ma è una contraddizione interna costante per NATO, UE e USA, persegue un suo coeso percorso di difesa dell’indipendenza, della sovranità e degli interessi nazionali ungheresi in primis, e questo in un mondo unipolare non può andare bene agli interessi egemonici statunitensi. È un problema. Per la Serbia potrebbe essere al contrario una risorsa a favore.

C'è un nodo/problema titanico

Come sottolineato dall’ex Ministro degli esteri jugoslavo e diplomatico Z. Jovanovic:
“…La Serbia e il popolo serbo si trovano di fronte al tentativo UE/USA di una bufala storica. La soluzione non sta nell’accettare questa bufala adducendo come scusa il mantenimento della pace e delle prospettive di progresso e di una vita migliore.

Qualsiasi soluzione che sia intrinsecamente ingiusta e imposta sotto minaccia e frode e che serva al confronto globale, può essere tutt’altro che un fattore che contribuisce alla pace, allo sviluppo e a una vita migliore…

L’UE ha mostrato il suo vero volto già nel 2013, costringendo la Serbia a ritirare le istituzioni statali nel nord della provincia, polizia e magistratura comprese, con la promessa di formare la Comunità dei comuni serbi ( ZSO).

Sappiamo tutti cosa ne è seguito, e in particolare l’esito della promessa non mantenuta della NATO di non consentire il dispiegamento di armi a canna lunga da parte di nessuno a nord: non solo abbiamo visto armi a canna lunga, ma abbiamo visto anche campi militari, accaparramento di terra e militarizzazione nel nord!

Dieci anni dopo, UE/USA offrono di nuovo le promesse della CSM, questa volta incluse dentro un pacchetto, cioè la ‘Proposta-Accordo UE’ e che il CSM dovrebbe essere conforme alla Costituzione del cosiddetto Kosovo”.

Ma ci dicono per rassicuraci che ci saranno garanzie! Di chi?! Di quegli stessi che prima li hanno sottoscritti ma mai onorati?! Le promesse di investimenti e donazioni se la Serbia dovesse rinunciare ai suoi diritti statali su una parte del suo territorio statale, a scapito della sua dignità e identità, è un esempio di aggressività esercitata dalla rinnovata mentalità neocoloniale e neorazzista e dalla totale ipocrisia, che abbiamo creduto erroneamente fosse da tempo consegnata alla storia.

Il tempo in cui viviamo ha un significato storico. Richiede che la Serbia sia ispirata e rafforzata dalle sue più grandi imprese nelle svolte storiche più estenuanti, per tornare al rispetto di sé e ai principi generalmente approvati.

E per non negoziare le questioni che limitano la sua sovranità e integrità territoriale nello stesso pacchetto con i benefici concessi all’estero, soprattutto non per paura di perdere la misericordia di qualcuno. Qualunque sia il volume di tali benefici.

È giunto il momento di tenere maggiormente conto e in modo più responsabile, di tutto ciò che la Serbia e il popolo serbo ha vissuto e scampato nel corso della storia, e da chi provengono le promesse, tenendo presente che gli appetiti neocoloniali sono insaziabili.

Nelle nostre relazioni con l’UE e l’Occidente in generale dobbiamo radicare, una volta per tutte, il sentimento di ciò che la Serbia ha dato all’Europa sacrificando milioni di vite umane contro invasori e contro il nazifascismo, che nessuno ha ancora riconosciuto e per le quali nessuno ha ancora chiesto scusa... Non dobbiamo fare affidamento su promesse e garanzie offerte da coloro che ci hanno sempre tradito...”.
Il piano degli USA è rendere i Balcani una piattaforma strategica sicura nella guerra globale contro Russia e Cina. Per fare questo occorre un dominio totale della NATO e degli USA sul popolo serbo e sui Balcani. Questo è il nodo che continua a comprimere la Serbia e il suo popolo.

Se i loro piani avessero avuto qualche buona intenzione, si sarebbero sforzati di fare almeno riferimento alle garanzie del Consiglio di Sicurezza dell’ONU verso la Serbia, date dai loro predecessori il 10 giugno 1999. Se fossero stati corretti, se davvero volevano rispettare principi e diritto internazionale, se avessero perseguito una politica coerente come si aspettano che facciano gli altri, perché si tengono lontani dall’ONU e dalle decisioni prese dal Consiglio di Sicurezza?

Dopo vent’anni passati a ‘tendere la corda’ fino a spezzarla, i paesi occidentali hanno decretato che questo cappio è ‘l’unica alternativa’ possibile, perché non si spezzi, si legga... non ci sia un conflitto militare. Quindi, USA, UE, NATO e Pristina proclamano una normalizzazione attraverso la resa della Serbia.

Voglio ricordare che coloro che hanno visioni del mondo diverse e sostengono la sovranità e l’integrità territoriale della Serbia e non vogliono riconoscere questo costrutto illegale come stato, comprendono quasi i 2/3 del mondo, la cui rilevanza, proprio in queste settimane, nelle relazioni globali sta aumentando, anziché diminuire.

Tra questi c’è un numero non piccolo di paesi che, su richiesta della Serbia, hanno ritirato i loro precedenti riconoscimenti, senza temere pressioni e ricatti, così come minacce, da parte dell’Occidente, a non farlo.

Anche se la Serbia si arrendesse all’ultimatum, i serbi in Kosovo e Metohija rimarrebbero schiacciati, emarginati, le loro proprietà occupate illegalmente e non verrebbero mai più recuperate e i 250.000 serbi espulsi e gli altri non albanesi, rimarrebbero nell’impossibilità di tornare alle loro case, le proprietà sociali e statali rimarrebbero sottratte.

Non c’è un cittadino in Serbia, tranne chi ha il miraggio dell’Occidente come soluzione a tutti i problemi, magari anche ben retribuito... che può credere in garanzie o promesse dell’Occidente

Non è stata Angela Merkel che nei mesi scorsi, parlando della crisi ucraina, ha indicato di non fidarci delle loro rassicurazioni? Solo se una creduloneria senza limiti avesse invaso anche la società serba, si potrebbe illudersi di questo.

Al di là di giochi di parole, formalismi, presunti impegni, la sostanza è un evidente ultimatum, perché la sua essenza sta nella richiesta che la Serbia prima tacitamente, poi formalmente e legalmente, riconosca l’indipendenza del cosiddetto Kosovo e accetti la sua adesione alle Nazioni Unite e ad altre organizzazioni internazionali. Il resto è solo parte di una cosmesi diplomatica più o meno convincente e di tattiche formali per “salvare la faccia” della vittima.

Come ha detto Z. Jovanovic:
“…La storia ci indica che la pace, la stabilità e una vita migliore, non possono essere preservate cedendo a ultimatum a scapito della sovranità e dell’integrità territoriale.

Ricordiamo che l’accordo di Monaco del 1938 sulla separazione dei Sudeti dalla Cecoslovacchia, un ultimatum formulato alle spalle dell’URSS, fu anche pubblicizzato contemporaneamente dagli allora leader di Germania, Francia, Italia e Regno Unito come l’unica salvezza per la pace in Europa. È molto pericoloso e curioso, che i leader odierni di quegli stessi paesi, non siano consapevoli delle lezioni del passato…”.
Questo è il problema/nodo titanico che sta davanti alla dirigenza politica serba. Tutt’altro che semplice da sciogliere, per questo ritengo la ricerca di strade diplomatiche, sia PER ORA, l’unica via praticabile. A meno che l’intera società serba decida altro, ma dovrà esserci una coesione quasi granitica. Un enorme e drammatico CHE FARE per la Serbia e il suo popolo.

Le richieste dei serbi

A partire dal Rispetto coerente della Risoluzione 1244 del Consiglio di sicurezza ONU:

- Ritiro delle forze speciali kosovare dai comuni serbi del nord Kosovo

- Annullamento delle elezioni fasulle e dei sindaci eletti da nessuno

- Sicurezza per i serbi in Kosovo e Metohija e Ricollocazione di polizia serba nelle aree serbe

- Creazione della Comunità dei Comuni serbi (ZSO), sotto la Costituzione della Serbia

- Liberazione di tutti gli arrestati nelle manifestazioni di protesta

Questa è l’unica prospettiva in grado di determinare processi di pace, sicurezza e cooperazione costruttiva durevoli. Qualsiasi altro status imposto con la forza, minaccia e/o estorsione, qualunque sia la forma che assumerà, non potrà essere accettata, né favorire la distensione, al contrario porterà a conflitti devastanti anche per l’Europa.

Fonte

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