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03/01/2024

Il terrorismo di Stato israeliano soffia sul vento dell’escalation in Medio Oriente

Prima l’attentato con i droni su Beirut contro un dirigente di Hamas, poi un doppio attentato con strage a Kerman in Iran.

Appare piuttosto evidente che gli apparati del terrorismo di stato israeliano stiano facendo di tutto per far detonare una escalation del conflitto in Medio Oriente.

Dopo i sei morti di Beirut, le due esplosioni avvenute vicino al cimitero nella città di Kerman, nell’Iran sud-orientale, sono costate la vita a oltre 103 persone e il ferimento di altre 171.

Il doppio attentato ha un fortissimo significato politico in quanto è avvenuto durante una cerimonia per commemorare il quarto anniversario della morte del generale iraniano Qassem Soleimani, comandante della Forza Quds dei Guardiani della rivoluzione islamica, ucciso in un bombardamento statunitense all’aeroporto di Baghdad il 3 gennaio 2020.

Migliaia di persone – riferisce l’agenzia di stampa iraniana “Irna” – si stavano recando alla tomba di Soleimani. La prima esplosione sarebbe avvenuta a 700 metri dalla tomba dell’ex capo dei Pasdaran, mentre la seconda a un chilometro di distanza. Le due esplosioni, attivate a distanza con dei telecomandi, secondo i media locali, sarebbero avvenute a dieci minuti di distanza l’una dall’altra. Le autorità locali parlano di attacco terroristico e le indagini sono in corso. Il bilancio dei feriti, trasportati negli ospedali, è in continuo aggiornamento, ma ha già superato quota 211.

Le esplosioni in un luogo altamente simbolico per la Repubblica islamica iraniana avvengono in un momento contraddistinto da tensione elevata in tutto il Medio Oriente.

In quasi tre mesi il conflitto si è esteso da Gaza al sud del Libano, contro le basi statunitensi in Siria e Iraq, oltre che nel Mar Rosso, dove i ribelli Houthi di Ansarallah continuano a minacciare il transito delle petroliere e delle navi portacontainer dirette in Israele.

Infine, l’attentato avvenuto meno di 24 ore prima di quello in Iran nella periferia sud di Beirut, in Libano, a Dahiyeh, roccaforte del movimento sciita Hezbollah, che ha ucciso il dirigente di Hamas, Saleh al Arouri e altri cinque militanti palestinesi.

I media statali iraniani hanno parlato di “un attacco terroristico”. E il presidente iraniano, Ebrahim Raisi, ha affermato: “Indubbiamente gli autori di questo atto vigliacco saranno presto identificati e puniti per il loro atto atroce dalle capaci forze dell’ordine e di sicurezza”. Più dirette le dichiarazioni del deputato iraniano Hossein Jalali che ha puntato il dito contro Israele. “Israele è sicuramente uno dei responsabili”, ha affermato Jalali.

Al momento le indagini sono in corso e solo dopo si conosceranno i responsabili individuati dalle autorità. In questi anni Israele ha effettuato diversi omicidi mirati in Iran per colpire scienziati impegnati nel programma nucleare o ufficiali dell’esercito e dei servizi iraniani. Proprio pochi giorni fa quattro persone in Iran sono state impiccate per essere state ritenute agenti collaboratori del Mossad.

Indubbiamente sono due pesantissimi atti di guerra inviati da Israele ai suoi più forti rivali regionali. Tel Aviv ha fatto capire a nemici ed “amici” che vuole la guerra, anche lunga, sicuramente a Gaza ma anche nelle aree a ridosso dei propri sempre mutabili confini. Israele il 7 ottobre e subito dopo ha visto saltare il suo progetto di “normalizzazione” delle relazioni con alcuni paesi arabi faticosamente elaborate negli anni. A questo punto è tornato alla dottrina del “cane pazzo” di Moshe Dayan, una potenza guerriera e feroce che è meglio “lasciar perdere”.

Adesso sia Hezbollah che l’Iran dovranno decidere seriamente se abbandonare la retorica e il conflitto a bassa intensità attuato fino ad ora e passare ad un livello di scontro superiore. I palestinesi sanno che non hanno alternativa alla resistenza per poter esistere. I loro alleati regionali sono sintonizzati sulla stessa lunghezza d’onda?

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