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08/01/2024

Report, ovvero: controllare il passato per controllare il futuro

Come prevedibile, cominciano ad arrivare contributi molto critici – diciamo così – con l’ultima puntata di Report. Stiamo ancora lavorando su un testo più “di merito”, ma intanto pubblichiamo questo intervento di taglio politico-culturale.

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Da tifoso di un Napoli oramai irriconoscibile rispetto a quello che vinse lo scudetto lo scorso campionato, avrei potuto liquidare il tutto con una battuta tipo: il Napoli e Report coesistono nello stesso universo parallelo all’interno di un buco quantico.

In poche parole: non esistono.

Ma la faccenda è tremendamente seria. Troppo seria per essere archiviata con una battuta di spirito.

L’operazione di disinformazione, infatti, portata avanti ieri sera da Sigfrido Ranucci – con la puntata di Report costruita intorno al cosiddetto Caso Moro – rappresenta la cifra esatta di una comunicazione artefatta, edificata da media di regime che oramai da anni, e proprio a partire dalla seconda metà dei ’70 e dal cosiddetto affaire Moro, non si accontentano più di falsificare la realtà quotidiana (vedi guerra in Ucraina e massacro del popolo palestinese ad opera dei macellai israeliani), ma pretendono piuttosto di scrivere la Storia sulla base delle proprie convenienze.

E la convenienza per il sistema capitalistico e neoliberista trionfante, che a quei media detta inesorabilmente la linea editoriale, a destra come a sinistra, è di fatto il mantenimento degli assetti economico-politici e socio-culturali.

Dunque, l’inquinamento della verità storica in tutte le sue declinazioni e in tutte le sue articolazioni.

Non dimentichiamo, d’altronde, la famosa frase orwelliana che recita: «Chi controlla il passato controlla il futuro. Chi controlla il presente controlla il passato».

Or bene, la puntata di Report andata in onda ieri sera ha rappresentato l’ipostasi perfetta di quel motto.

Che per quanto riguarda gli anni ’70, verrebbe a dire la negazione retroattiva del conflitto sociale e della lotta di classe, condotta anche attraverso la lotta armata.

Una guerra civile a bassa intensità sempre negata dai vertici dello Stato, che traeva la sua inequivocabile ragione nella seconda grande ristrutturazione capitalistica dopo l’organizzazione fordista dei primi del ‘900.

Quella ristrutturazione che prendeva le mosse dalla crisi petrolifera del 1973 e dalla dollarizzazione dell’economia, con il monetarismo spinto promosso dalla Scuola di Chicago. Fino a giungere all’incipiente trionfo del neoliberismo e del Capitale unico monopolistico a struttura multinazionale.

Un insieme complesso di fattori, la cui configurazione in Italia assumeva la forma di una democrazia sostanzialmente bloccata nella sua dialettica politico-istituzionale.

Ne consegue che l’informazione e l’ideologia dominante – pur con qualche differente nuancé tra reazione e progressismo – perseguano, senza ormai contraddittorio alcuno, la cancellazione del movimento rivoluzionario e delle sue pratiche che hanno connotato l’Italia per un quindicennio: dalla fine degli anni ’60 alla prima metà degli anni ’80.

Una cancellazione de facto, che passa attraverso la perenne insinuazione che la lotta armata, e segnatamente le Brigate Rosse – l’organizzazione sicuramente più importante – fossero eterodirette e infiltrate da qualunque potere o servizio segreto straniero.

Ieri sera poi, Ranucci è arrivato persino ad annoverare gli iraniani tra i cospiratori – quelli filoamericani dello Scià attenzione, non certo quelli dell’ Ayatollah Khomeini – tanto per rimpolpare la schiera di nemici con evidente riferimento al presente.

Questo perché, ad oggi, va assolutamente scoraggiata qualsivoglia velleità rivoluzionaria che faccia palpitare il cuore delle giovani generazioni.

Lasciando intendere che chiunque possa anche solo pensare di tentare un nuovo “assalto al cielo” o è un potenziale “fanatico assassino” mosso da perversi scopi sanguinari; o inevitabilmente una pedina nelle mani di poteri occulti.

Dalla mafia alla massoneria, fino ai Servizi Segreti. Inequivocabilmente “deviati”.

Ma l’aspetto più grottesco, quasi farsesco direi della trasmissione in parola riguarda, tanto per cambiare, l’eterna motivazione addotta per sorreggere la fitta trama cospirazionista che voleva le Br al servizio di potenze straniere.

Potenze, a partire dagli Usa, che a loro avrebbero appaltato il rapimento e l’omicidio del Presidente della Dc, Aldo Moro.

Quella motivazione andrebbe pertanto individuata nella paura che il Pci entrasse al Governo e di conseguenza nella stanza dei bottoni.

Il Pci di Berlinguer! Quel Pci che da anni aveva svenduto la classe operaia, i ceti subalterni e i propri princìpi marxisti al padronato e al governismo, mediante il perseguimento del cosiddetto “compromesso storico”.

Un Pci riformista e legalitario che stava mandando in galera migliaia di compagni. Che aveva fatto sua la “politica dei sacrifici” che doveva rovesciare le conquiste sociali degli anni precedenti.

Quale paura poteva fare dunque quel Pci, che annoverava tra le sue fila uomini filo-statunitensi come Napolitano e il cui segretario, sin dal 1976, dichiarava al Corriere della Sera (Giampaolo Pansa) che si sentiva «più sicuro sotto l”ombrello della Nato» che col Patto di Varsavia?

No. Il “complottismo” serviva allora e serve ancor oggi proprio agli ex appartenenti a quel partito comunista, e ai loro lontani eredi “democratici”, per giustificare il loro asservimento all’imperialismo e alle logiche dilaganti del capitale neoliberista.

Nonché alla Dc per sotterrare le porcate, le stragi e le bombe – da Piazza Fontana a Bologna – compiute ai danni dei cittadini e per fermare l’avanzata del movimento operaio in tutte le sue articolazioni.

Ranucci si è quindi messo a completo servizio del pensiero dominante (poco variato nelle sue componenti parlamentari). Un’offesa all’idea stessa di giornalismo con un minimo di correttezza deontologica. Classificarlo poi come “di sinistra”, poi, è quasi un insulto personale.

D’altra parte la storiografia seria, l’indagine rigorosa e la verità storica sono altra faccenda rispetto alla narrazione tossica sparsa da questo mistificatore.

Volumi come “Odissea nel caso Moro” di Vladimiro Satta, che smontava già 20 anni fa tutti i supposti misteri elencati dal maggiordomo di Rai 3, ne sono un valido ed eclatante esempio.

E con esso se ne possono citare altri di libri scritti da autorevoli storici. O di giornalisti ben più seri.

Da “Storia delle Brigate Rosse” di Marco Clementi, edito da Odradek; a “Brigate Rosse: dalle fabbriche alla campagna di Primavera” di Clementi-Santalena-Persichetti, edizioni DeriveApprodi.

Dal libro-intervista “Brigate Rosse: una storia italiana” scritto da Rossana Rossanda e Carla Mosca, riportando un’intervista rilasciata a loro da Mario Moretti, edito da Mondadori; ai volumi scritti sull’argomento dal sociologo Gianremo Armeni o dal giornalista Nicola Lofoco.

Per non dire di storici anche mainstream del calibro di Giovanni Sabbatucci o Alessandro Barbero, che fanno a pezzi qualunque teoria complottarda.

Sarebbe stato quindi il caso che approfondisse, Ranucci prima di riciclare per la centesima volta lo stesso intruglio.

A dire il vero, però, dubitiamo che il conduttore di Report non conosca quegli scritti.

Piuttosto li ignora volutamente. Semplicemente perché sarebbe sconveniente citarli, decostruendo – quelle inchieste e quegli studi – l’edificio di menzogne che anche lui ha condiviso e propalato.

Un’opera in malafede, una manifestazione di servilismo in quest’epoca che deve restare senza più sogni.

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