Il 10 gennaio il membro dell’ufficio politico Houthi, Mohamed al-Bukaitielli, affermava che l’obiettivo degli attacchi delle milizie sciite nel Mar Rosso non era “affondare o impadronirsi di navi legate a Israele, ma piuttosto costringerli a utilizzare il Capo di Buona Speranza come leva di pressione economica su Israele per fermare i crimini di genocidio a Gaza”.
Sempre il 10 gennaio, come riporta Analisi Difesa, al-Bukaitielli denunciava che la coalizione navale guidata dagli Stati Uniti – la Prosperity Guardian – rappresentasse “una pericolosa escalation che ha portato all’espansione della guerra. Le minacce americane e britanniche non ci spaventano e non ci dissuaderanno dal continuare la lotta per sostenere gli oppressi”.
Il bombardamento avvenuto nella notte tra l’11 e il 12 gennaio da parte degli Stati Uniti e della Gran Bretagna sulla capitale yemenita controllata dal movimento Houthi ha sancito l’allargamento del fronte di guerra israelo-palestinese sul meridiano che attraversa il Mar Rosso.
La ragione di tale allargamento è il contrasto alla campagna militare di boicottaggio intrapresa dagli Houthi per minare le relazioni economiche e commerciali che sostengono il genocidio perpetrato dallo Stato sionista d’Israele ai danni del popolo palestinese.
Chi sono gli Houthi
Il vero nome è Ansar Allah, ossia “Partigiani di Dio”, ma sono noti alle cronache col nome del clan fondatore, Houthi appunto.
Sin dal 1994 ispirati al partito armato libanese Hezbollah, nel 2004 proclamarono l’insurrezione contro il governo sunnita del presidente Ali Abdullah Saleh, dove perse la vira il fondatore Hussein al-Houthi. Da allora, a capo di Ansar Allah troviamo il fratello, Abdul Malik al–Houthi.
Dapprima arroccato nell’Ovest del paese nelle regioni di Saada e Al Jawf, con le “primavere arabe” del 2011 il movimento riuscì ad allargare il fronte di azione e nel 2014 conquistarono la capitale Sanaa (il teatro dei bombardamenti occidentali nella notte), alleandosi col decaduto Saleh contro il nuovo presidente Abdurabbu Mansur Hadi, fuggito nel frattempo a Aden per creare un governo rivale.
L’intervento saudita ed emiratino del 2015 diede inizio alla guerra civile più sanguinosa e mediaticamente meno attenzionata degli ultimi anni, dove Riad ha inutilmente provato a espellere la minaccia sciita yemenita, interpretata come un aggiramento strategico iraniano nel “giardino di casa” dei Saud.
Da allora, i ribelli Houthi hanno acquisito un’elevata esperienza militare, fortemente supportata e finanziata dall’Iran, accumulando armi e conoscenze sufficienti per condizionare gli equilibri nel Mar Rosso con sforzi e spese relativamente limitati.
Tuttavia, ciò che conta oggi è che gli Houthi e l’Arabia Saudita hanno cessato la guerra, grazie anche al capolavoro della Cina che nel marzo 2023 ha portato allo storico accordo tra Iran e Arabia Saudita per la normalizzazione dei rapporti diplomatici.
L’importanza delle rotte commerciali
Circa il 15% del commercio marittimo globale passa attraverso il Mar Rosso. Questo comprende l’8% del commercio mondiale di cereali, il 12% del petrolio scambiato via mare, l’8% del commercio di gas naturale liquefatto e il 30% dei container merci.
Con l’innalzamento della tensione sulle tratte di pertinenza dei “giganti del mare”, le compagnie internazionali reindirizzano le loro navi al Capo di Buona Speranza, scegliendo la rotta africana anziché quella che passa dal Sinai. Ciò comporta un aumento significativo dei costi e del tempo di consegna delle merci rispetto alla rotta originaria.
Tutto questo ha effetti dirompenti per il commercio mondiale, considerando che solo nel 2022 sono passate da Suez 23.583 navi. Per esempio, come si vede dalla figura, la rotta fra Singapore e Rotterdam, passando dal Capo di Buona Speranza, diventa più lunga del 40% (21.700 km contro i 15.500 km), allungando il trasporto di due settimane.
In questo contesto, l’Italia è particolarmente esposta al cambio di rotta, considerando che in entrambe le direzioni passa da Suez il 40% dell’import e dell’export del nostro paese, per un valore stimato di più di 150 miliardi di euro l’anno, secondo il centro studi SRM di Intesa San Paolo.
Come riporta Analisi Difesa, da “novembre 2023 ai primi di gennaio 2024 si sono registrati almeno 25 fra attacchi e tentativi di attacco degli Houthi al traffico navale nel Mar Rosso, con vari tipi di droni e missili. Ciò ha già portato a un crollo del 38% nel numero di navi in passaggio da Suez”.
L’escalation dal 7 ottobre
L’azione Houthi di “sea denial” ha conosciuto un crescendo di azioni militari sulle rotte del Mar Rosso.
Già il 19 ottobre, “in solidarietà col popolo palestinese” gli Houthi avevano lanciato verso Israele 4 missili da crociera e 15 droni, intercettati tuttavia dal cacciatorpediniere britannico Carney.
Il 3 dicembre, il cacciatorpediniere Carney veniva di nuovo attaccato da tre attacchi effettuati con i droni.
Il 6 dicembre, il premier britannico Rishi Sunak inviava nella regione l’HMS Diamond, cacciatorpediniere della Royal Navy. Questa seguiva l’impegno della fregata francese Languedoc, del tipo italo-francese FREMM, che tra il 9 e il 10 dicembre, mentre si trovava a largo di Hodeidah, aveva rilevato due droni in arrivo dallo Yemen, centrandoli entrambi.
Il 12 dicembre, di nuovo dallo Yemen altri due missili da crociera erano decollati puntando alla nave norvegese Strinda, danneggiandola con uno dei lanci, mentre il secondo veniva intercettato ancora dalla Languedoc.
Nei tre giorni seguenti, altre 5 navi mercantili erano oggetto di attacchi con droni e missili lanciati dagli Houthi: la Ardmore Encounter, la MSC Palatium III e di nuovo il “destroyer” Carney, bersagliato da 14 droni, tutti abbattuti dai sistemi antiaerei.
È così che “tra 14 e 16 dicembre hanno annunciato l’interruzione della loro attività nell’area, con conseguente deviazione delle imbarcazioni lungo il continente africano, ben 4 compagnie: la francese CMA CGM, la danese Maersk, la tedesca Hapag-Lloyd e l’italo-svizzera Mediterranean Shipping Company (MSC)”, riporta Analisi Difesa.
Il 18 è stata poi la volta della compagnia petrolifera britannica British Petroleum, della taiwanese Evergreen e delle cinesi COSCO e OOC.
“Abbiamo intrappolato le potenze occidentali a Bab al Mandeb e nel Mar Rosso”, dichiarava il 23 dicembre il generale della Guardia Rivoluzionaria iraniana Mohammad Reza Naqdi, suscitando preoccupazione anche in Cina, che nelle tratte del Mar Rosso ha interessi commerciali rilevanti legati alla Nuova Via della Seta.
La missione occidentale nella regione
“Guardiani della prosperità”. Questo il nome tradotto (prosperity guardian) della missione occidentale, lanciata dagli Stati Uniti il 18 dicembre per salvaguardare le catene di approvvigionamento globali.
La coalizione navale internazionale ha l’obiettivo di pattugliare il Mar Rosso e il Golfo di Aden ed è stato annunciato, con poca sorpresa, dal segretario alla Difesa statunitense Lloyd Austin.
“La nuova iniziativa di sicurezza sarà sotto l’ombrello delle Combined Maritime Forces e sotto la guida della sua Task Force 153”, ossia a guida statunitense, ha affermato Austin. “I paesi che devono [imperativo! ndr] cooperare contro sfide da attori non statali con missili o droni contro i cargo, sono Gran Bretagna, Bahrein, Canada, Francia, Italia, Olanda, Norvegia Seichelles e Spagna”.
La risposta Houthi ovviamente non si è fatta attendere. Il 20 dicembre Abdul Malik al–Houthi in un discorso in televisione affermava che gli Stati uniti sono “complici degli orribili crimini che accadono in Palestina”.
Inoltre, da “Francia, Germania e Italia, che hanno una nera storia coloniale alle spalle, non ci aspettiamo che svolgano un ruolo positivo a beneficio del popolo palestinese”.
Il coinvolgimento dell’Iran
Il 3 gennaio, durante le celebrazioni per il quarto anniversario dell’assassinio per mano statunitense del generale Qasem Soleimani, un drone statunitense partito dall’Iraq e attribuito a Israele ha ucciso nel cimitero iraniano di Kerman ben 103 persone.
Come registra Analisi Difesa, in serata “il Consiglio di Sicurezza ONU ha condannato la condotta degli sciiti yemeniti, chiedendo loro di cessare i lanci di ordigni”.
Per il viceambasciatore statunitense Christopher Lu, “il ruolo dell’Iran è la radice del problema perché Teheran ha reso possibili queste capacità degli Houthi”, mentre l’ambasciatore russo Vassilij Nebenzia ha imputato “la radice del problema all’estensione del conflitto fra Israele e Hamas”, criticando gli Stati Uniti per il loro “opporsi a un piano di cessate il fuoco”.
Solo il giorno precedente, ossia il 2 gennaio, l’attacco israeliano alla periferia di Beirut aveva ucciso il vicecapo politico di Hamas, Saleh al–Arouri. Tra gli altri 6 membri di Hamas assassinati nel raid “c’era anche Samir Effendi, detto anche Abu Amer, esponente del braccio militare del movimento, le Brigate Al Qassam, ma soprattutto considerato dagli israeliani ‘l’uomo di contatto fra Hamas e gli Houthi’”, riporta Analisi Difesa.
Nei giorni scorso, il Consiglio di sicurezza dell’ONU aveva adottato una risoluzione di condanna “nei termini più forti” verso i molteplici attacchi Houthi contro le navi nel Mar Rosso.
Mohammed Ali al-Houthi aveva contrattaccato invece sostenendo che Israele doveva “fermare immediatamente tutti gli attacchi che ostacolano la vita a Gaza” e che l’ONU dovrebbe garantire che i milioni di palestinesi a Gaza siano liberati dalla “guerra israeliana e dall’assedio statunitense”.
L’assedio militare sionista ha trasformato il territorio palestinese nella “più grande prigione in cui viene praticata la punizione penale collettiva”, ha detto al–Houthi.
“Ciò che stanno facendo le forze armate yemenite rientra nel quadro della legittima difesa. La decisione adottata sulla sicurezza della navigazione nel Mar Rosso è un gioco politico e sono gli Stati Uniti a violare il diritto internazionale”.
Più chiaro di così...
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