Due giorni fa lo studio legale Foley Hoag LLP, con sede a Boston, negli Stati Uniti, ha inviato un avviso a Eni S.p.A perché non intraprenda attività nelle aree marittime della Striscia di Gaza che appartengono alla Palestina. Insieme alle società inglese Dana Petroleum Limited (una filiale della South Korean National Petroleum Company), all’israeliana Ratio Petroleum e altri tre enti, l’Eni ha ottenuto la licenza di operare all’interno della zona G, un’area marittima adiacente alle rive di Gaza. Il 62% della zona G rientra nei confini marittimi dichiarati dallo Stato di Palestina nel 2019, in conformità con le disposizioni della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare del 1982 (UNCLOS), di cui la Palestina è firmataria.
Il governo israeliano ha annunciato la concessione il 29 ottobre 2023, tre settimane dopo l’attacco di Hamas che ha causato circa 1.200 vittime e nel pieno dei bombardamenti israeliani sulla Striscia di Gaza, che continuano fino ad oggi e che hanno causato al momento circa 27.800 morti.
Le concessioni sono state riconosciute in seguito alla quarta fase di offerte offshore lanciata dal Ministero dell’energia e delle infrastrutture israeliano nel dicembre 2022.
I gruppi palestinesi per i diritti umani Adalah, Al Mezan, Al-Haq e PCHR hanno fatto appello alle società coinvolte di astenersi immediatamente dalla partecipazione “ad atti di saccheggio delle risorse naturali sovrane del popolo palestinese”. E hanno dunque dato mandato allo studio legale Foley Hoag LLP di agire per loro conto, avvisando gli enti coinvolti che “l’emissione della gara d’appalto e la successiva concessione di licenze per l’esplorazione in questo settore costituiscono una violazione del diritto internazionale umanitario (IHL) e del diritto internazionale consuetudinario“. Israele, in quanto Stato occupante, non ha il diritto di utilizzare le risorse naturali delle terre occupate per un proprio tornaconto economico.
Le associazioni fanno presente che “le offerte, emesse in conformità con il diritto interno israeliano, equivalgono effettivamente all’annessione de facto e de jure delle aree marittime palestinesi rivendicate dalla Palestina, in quanto cercano di sostituire le norme applicabili del diritto internazionale applicando invece la legge interna israeliana all’area, nel contesto della gestione e dello sfruttamento delle risorse naturali. Ai sensi del diritto internazionale applicabile, a Israele è vietato sfruttare le risorse finite non rinnovabili del territorio occupato, a scopo di lucro commerciale e a beneficio della potenza occupante, secondo le regole di usufrutto, di cui all’articolo 55 del Regolamento dell’Aia. Invece, Israele come autorità amministrativa di fatto nel territorio occupato non può esaurire le risorse naturali per scopi commerciali che non sono a beneficio della popolazione occupata”.
Oltre alle licenze concesse per la zona G, Israele ha pubblicato una gara d’appalto per la zona H, di cui il 75% rientra nei confini marittimi palestinesi.
La mappa 1 mostra i confini marittimi dello Stato di Palestina ai sensi della sua dichiarazione del 2019 in conformità con la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare. |
Alla questione, già dibattuta dalle organizzazioni nel settembre del 2019, il governo israeliano ha risposto che per principio consolidato, “solo gli Stati sovrani hanno il diritto alle zone marittime, compresi i mari territoriali e le zone economiche esclusive, nonché di dichiarare i confini marittimi”. Non essendo, dunque, quello palestinese uno Stato riconosciuto da Israele, non ha, secondo Tel Aviv, diritto legale sulle zone marittime.
La notifica legale presentata dalle organizzazioni palestinesi contiene un avvertimento chiaro a Eni e alle altre società che intendono sfruttare il gas al largo di Gaza: utilizzando la concessione israeliana potrebbero rendersi complici in crimini di guerra. Il riferimento è all’indagine per genocidio da parte della Corte Internazionale di Giustizia dell’Aia che potrebbe, secondo la notifica dello studio legale, avere risvolti molto gravi sulle azioni “di saccheggio” delle risorse naturali appartenenti ai Territori palestinesi occupati da Israele. Le organizzazioni hanno fatto sapere che intendono utilizzare tutti i meccanismi legali disponibili, sia quelli legati alle responsabilità penali che a quelle civili per danni, a meno che le società non si astengano da attività che violano il diritto internazionale: “Come visto dalle organizzazioni, la demarcazione unilaterale di Israele dei suoi confini marittimi per includere le aree marittime della Palestina e le lucrose risorse naturali non solo viola il diritto internazionale, ma perpetua anche un modello di lunga data di sfruttamento delle risorse naturali dei palestinesi per i propri guadagni finanziari e coloniali. Israele cerca di saccheggiare le risorse della Palestina, sfruttando quella che è già una semplice frazione delle risorse naturali legittime dei palestinesi”.
Nessun commento:
Posta un commento