Le proteste degli agricoltori non si fermano in tutta Europa e anche in Italia cresce la mobilitazione, con i trattori che da San Remo alla capitale minacciano di bloccare il Paese.
Le ragioni di questa protesta sono diverse, in buona parte oggettive e in parte frutto di strumentalizzazioni politiche. Accanto a richieste del tutto legittime e giustificate albergano infatti rivendicazioni prive di senso e contenuto; e sono proprio queste ultime, purtroppo, quelle sostenute dal governo e dalle forze politiche della maggioranza.
Di fatto, quello che sta emergendo sempre più chiaramente è la “calata di pantaloni” da parte della Commissione europea, che dopo anni di proclami su Green New Deal e Europa a zero emissioni, si trova ora nell’impossibilità di sostenere scelte fatte con poca o nessuna cognizione di causa.
E, come spesso accade, la Commissione concede in tutta fretta le deroghe sugli obiettivi ecologici (che costano peraltro poco in termini macroeconomici), ma non molla sui processi di liberalizzazione dei mercati, né sul contrasto all’inflazione o i prezzi del carburante (operazioni decisamente più costose).
Tra le rivendicazioni portate in piazza, la questione dei sussidi troppo bassi concessi a fronte di impegni ambientali troppo onerosi per la maggior parte delle piccole e medie imprese agricole, è una delle battaglie peggio spiegate e meno comprese.
La nuova PAC, entrata in vigore l’anno scorso, ha reso infatti obbligatorie alcune misure ambientali (le cosiddette “buone pratiche agronomiche”, un tempo a carattere volontario).
Il problema è che ciò che viene richiesto è un cambio per certi versi radicale, che non può essere reso obbligatorio su scala così vasta e in tempi così brevi, ma soprattutto senza un adeguato sostegno.
Se non fosse che la coperta è improvvisamente diventata molto corta per le migliori piccole e medie imprese agricole, il tutto potrebbe essere forse sostenibile. Ma con i “se” non si fa la storia, né si porta in tavola il pane.
Altra questione è legata al costo del carburante, risorsa essenziale in un sistema di agricoltura meccanizzata. A fronte dell’inflazione galoppante – soprattutto dopo un anno in cui grazie alla guerra in Ucraina e all’embargo sulle esportazioni russe, i prezzi dei fertilizzanti sono lievitati in maniera esponenziale – e della diminuzione dei sussidi per il carburante, il gioco ancora una volta non vale la candela.
Ulteriore questione, di cui poco si parla, è l’accordo che l’EU sta per firmare con i Paesi del Mercosur, che aprirebbe le porte a una ‘concorrenza sleale’ che vedrebbe gli agricoltori e allevatori europei in netto svantaggio rispetto a prodotti quasi totalmente deregolamentati, dal punto di vista degli standard ambientali e di qualità a cui i prodotti europei sono invece costretti, senza neanche parlare della “questione OGM”.
Alla luce di tutto ciò, le proteste di questi giorni giungono fin troppo in ritardo da un punto di vista sostanziale, ma al momento giusto per far muovere le varie forze politiche europee alle prese con le prossime elezioni per il rinnovo del parlamento UE.
Risulta così quasi comprensibile perché la Commissione stia facendo marcia indietro su molti capisaldi, prima sulla questione dei ‘terreni a riposo’, e ora anche sulla questione dei pesticidi.
Oggi tutti plaudono alla retromarcia della Commissione sul 4% di superficie che doveva rimanere a riposo, non coltivata per consentire al suolo di rigenerarsi. Ma sarà una scelta lungimirante, tenendo conto che i suoli (soprattutto quelli del sud Europa) stanno diventando velocemente terra strappata al cemento?
Il ritiro della proposta di regolamento sull’uso sostenibile dei fitofarmaci (SUR) “salva” il 30% delle produzioni più redditizie, come il vino o i frutteti, messe a rischio dall’obiettivo di dimezzare l’uso di agrofarmaci, che avrebbe comportato necessariamente maggiori investimenti in ricerca per trovare varietà e pratiche agronomiche più resistenti, e prodotti meno tossici per l’aria che tutti respiriamo (andate a chiedere agli abitanti della Val di Non come si vive vicino ai frutteti industriali...).
Perché di questo stiamo parlando: piccoli agricoltori preoccupati di poter restare a galla con i prezzi del carburante in aumento e quelli in costante diminuzione offerti dalla grande industria dell’agrobusiness, preoccupati di dover inoltre diminuire la produzione per favorire l’ambiente.
In tutto ciò, l’operazione di governi come quello che ci ritroviamo, con il megafono strumentale della Lega “a sostegno delle lotte degli agricoltori” risulta qualcosa di peggio di uno uno schiaffo in faccia.
A pochi mesi dal rinnovo del parlamento europeo emerge chiaramente come tutte le chiacchiere che abbiamo sentito in questi anni su un’ipotetica “Unione Europea green” e a “emissioni zero” stia lentamente andando in fumo, a prescindere dal colore e dalla direzione politica che il prossimo Parlamento prenderà.
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