Alcune fonti avrebbero confermato a Middle East Eye che il Trinity College di Cambridge ha deciso di tagliare i fondi per il complesso militare-industriale, in un percorso cominciato già da mesi. Si tratta del più ricco dei college che costituiscono il complesso universitario di Cambridge. Sarebbe, insomma, un piccolo segnale, ma politicamente molto importante.
Il Consiglio del Trinity, secondo tre fonti vicine al sindacato che riunisce gli studenti dell’istituzione, avrebbe votato per la cancellazione degli investimenti nelle società belliche all’inizio di marzo. La notizia sarebbe stata tenuta nascosta per non sembrare un ‘premio’ dato alla contemporanea azione di protesta.
Infatti, l’8 marzo un attivista ha prima imbrattato il volto di un ritratto, e poi ha squarciato il quadro stesso all’interno del College. Il dipinto rappresentava Lord Balfour, autore di una famosa dichiarazione che, a ridosso della fine della Prima guerra mondiale, confermava il favore con cui il governo di Londra guardava alla creazione del futuro stato di Israele.
Questo atto è avvenuto dopo che sempre Middle East Eye aveva rivelato, il 21 febbraio, che il Trinity aveva investito milioni di dollari in compagnie statunitensi, britanniche e giapponesi direttamente coinvolte nel massacro di Gaza. Altri fondi erano impegnati nella più grande impresa militare israeliana, la Elbit Systems, che produce l’85% dei droni e dell’equipaggiamento terrestre utilizzati dall’IDF.
La ONG International Centre of Justice for Palestinians (ICJP) aveva subito inviato una nota ai vertici del College, avvertendo di possibili procedimenti legali se avessero mantenuto gli investimenti in soggetti complici dei crimini israeliani. Da ciò deve essere infine derivata la decisione di tagliare i legami con l’industria di morte coinvolta nel genocidio dei palestinesi.
La concomitanza del danneggiamento del quadro ha però spinto, a quanto pare, alla riservatezza sull’argomento. Non si è voluto far sembrare che il Trinity desse legittimazione alle proteste, soprattutto a quelle portate avanti con forme che il portavoce del Primo ministro ha definito come uno “stupido atto di vandalismo sfrenato“.
La vicenda mostra il grado di decadenza di tutta la classe dirigente, anche nel Regno Unito. Per quanto si possa amare l’arte, è stata la preoccupazione per un quadro a portare il governo a esprimersi, non la complicità con chi è sotto accusa per l’aver posto a rischio genocidio un popolo e per continuare a ignorare tutti gli avvertimenti in tal senso.
A dire il vero, sempre dall’esecutivo di Rishi Sunak sono arrivate recentemente nuove dichiarazioni che fanno presagire azioni forti contro i manifestanti pro-Palestina. Le tendate solidali con la resistenza palestinese si sono moltiplicate anche nel Regno Unito, e questo mette sempre più in difficoltà Downing Street.
Mentre il governo rilasciava queste dichiarazioni, 1700 tra docenti, studenti e personale di Cambridge pubblicava una lettera aperta per esprimere supporto agli attivisti per la Palestina e per denunciare ogni complicità con Israele. Ancora una volta, la dimostrazione che non ci sono ‘agitatori esterni‘, ma una comunità accademica unita contro le ingiustizie.
Nella lettera si legge che le manifestazioni “si uniscono a un’ammirevole tradizione di lotta emancipatoria che comprende le precedenti proteste studentesche contro l’apartheid sudafricano e la guerra in Vietnam“. Un terreno internazionalista su cui in passato si sono costruite le più avanzate ipotesi di trasformazione sociale.
Ora che il più ricco College di una delle università più rinomate al mondo ha deciso di ritirarsi dagli investimenti militari, la legittimità di estendere questa rivendicazione, e con essa le iniziative collegate, ottiene grande slancio. E questo vale per tutta Europa, dove altre vittorie si stanno concretizzando.
Il Trinity College, questa volta di Dublino, ha deciso di tagliare i rapporti con le aziende attive nei Territori palestinesi occupati, mentre 77 rettori spagnoli hanno deciso di rivedere, e nel caso sospendere, gli accordi con atenei e centri di ricerca israeliani. Purtroppo, la sospensione non è come la rescissione, ma è già qualcosa.
Il tentativo di nascondere il sangue ‘sotto il tappeto’ (o dietro un quadro rovinato) si sgretola in maniera sempre più veloce di fronte all’evidenza del genocidio.
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