01/12/2024
Cosa è successo in Abkhazia
Il presidente dell’Abkhazia, Aslan Bzhania si è dimesso dopo le violente proteste di piazza e i disordini nella capitale Sukhumi, che sono cessati solo con un accordo tra le autorità e l’opposizione. Il presidente si è dimesso, come richiesto dai manifestanti, ma ponendo loro una contro condizione: l’obbligo di lasciare pacificamente gli uffici governativi occupati e che i manifestanti avrebbero smesso di attaccare le istituzioni governative e fermato le proteste. Se ciò non fosse avvenuto Bzhania avrebbe ritirato la sua decisione. I manifestanti hanno accettato e ora si tratterà di capire chi altro, a livello governativo, lascerà il proprio incarico a seguito dei negoziati e chi guiderà le istituzioni, fino alle prossime elezioni presidenziali, dove il presidente dimissionario ha già dichiarato di voler partecipare.
La Repubblica dell’Abkhazia è uno stato parzialmente riconosciuto della regione transcaucasica, auto proclamato dopo il conflitto georgiano-abkhazo. La capitale della repubblica è la città di Sukhumi, la lingua ufficiale è l’abkhazo; il russo, insieme all’abkhazo, sono riconosciute come le lingue dello stato e delle altre istituzioni. La popolazione è di circa 240.000 persone.
L’indipendenza della repubblica è riconosciuta da 5 stati membri dell’ONU: Russia, Nicaragua, Venezuela, Nauru e Siria. Oltre all’Ossezia del Sud. Nei documenti delle Nazioni Unite, l’Abkhazia è considerata territorio della Georgia.
Nel 1990, la RSS dell’Abkhazia, fu trasformata in Repubblica socialista sovietica sovrana dell’Abkhazia; il nome moderno di Repubblica dell’Abkhazia è stato istituito ufficialmente il 23 luglio 1992.
Nell’estate del 1992, i disaccordi tra l’Abkhazia e la leadership georgiana si intensificarono, principalmente sulla questione costituzionale: in risposta alla decisione del Consiglio militare della Georgia di ritornare alla costituzione della Repubblica democratica georgiana del 1921, il Consiglio supremo dell’Abkhazia decretò il decadimento della Costituzione della Repubblica Socialista Sovietica Autonoma dell’Abkhazia del 1978 e annunciò il ripristino della Costituzione (Legge Fondamentale) della RSS Abkhazia dell’anno 1925, che definiva costituzionalmente i rapporti contrattuali tra Abkhazia e Georgia. I disaccordi portarono a un conflitto armato, ricordato come la Guerra in Abkhazia del 1992-1993. Più di 230mila georgiani locali fuggirono dalla regione insieme all’esercito georgiano in ritirata. Dalla fine del 1993 iniziarono negoziati per accordi di pace sotto gli auspici dell’ONU, che sono tuttora in corso. Fu stabilito un contingente di mantenimento della pace della CSI. Nel 1994, rappresentanti dell’Abkhazia e della Georgia firmarono un accordo su una soluzione di pace.
L’indipendenza della Repubblica è stata proclamata dal Consiglio Supremo dell’Abkhazia con la nuova costituzione del 26 novembre 1994 e con la legge del 12 dicembre 1999, secondo i risultati del precedente referendum.
Dopo le proteste di queste settimane, le trattative sono durate oltre nove ore, poi è stato firmato un accordo con i manifestanti per risolvere la crisi politica, che ha incluso una clausola per le dimissioni del capo di stato Bzhania, il quale ha motivato la sua decisione “per il bene dell’Abkhazia e per preservare la stabilità e l’ordine costituzionale del Paese”.
Il 15 novembre il parlamento abkhazo ha annullato la riunione in cui i deputati avrebbero dovuto ratificare il documento. Ora le autorità dovrebbero discutere nuovamente i termini dell’accordo con i rappresentanti russi.
Dopo che gli oppositori hanno abbandonato la piazza antistante l’edificio governativo di Sukhumi, il leader del movimento di protesta e dell’opposizione abkhaza Adgur Ardzinba, ha dichiarato che “Siamo tornati in campo legale e agiremo nel quadro della Costituzione. Riteniamo che questa crisi politica sia ormai alle nostre spalle. Spero davvero che non si verifichino più eventi del genere nel nostro Paese”.
Allo stesso tempo, gli organizzatori delle manifestazioni hanno sottolineato che le loro azioni non erano dirette contro la Russia o per la messa in discussione dei rapporti con essa.
Questo è anche dimostrato dal fatto che nella piazza spesso si levavano slogan come “Russia! Russia!” o “Abkhazia! Russia!”. Uno dei leader della protesta ha dichiarato alla stampa: “Voglio dirvi qualcos’altro, voglio dirlo qui davanti a tutti manifestanti. Alcuni provocatori in alcuni media cercano di dire che qui si sono radunate forze anti-russe, questa è una completa menzogna”, ha detto in piazza.
Poi sul social dell’opposizione “Respublika” è stata pubblicata una dichiarazione ufficiale dell’opposizione in cui si affermava: “le azioni dei manifestanti non sono dirette contro le relazioni russo-abkhaze. Al contrario, noi, come opposizione, abbiamo sempre sottolineato l’importanza dei legami fraterni e strategici tra i nostri paesi… il presidente Bzhania ha cercato di utilizzare queste relazioni per i propri interessi personali, manipolandole per rafforzare il suo governo. Oggi i manifestanti si sono riuniti presso il palazzo del parlamento non per opporsi ai nostri alleati russi, ma per proteggere gli interessi nazionali dell’Abkhazia, le sue risorse naturali e ricchezze”, hanno dichiarato gli oppositori.
Quando si parla di “opposizione” in Abkhazia, va tenuto conto che è difficile identificare un partito o una coalizione che faccia da contrappeso alle autorità. L’Assemblea popolare, il parlamento unicamerale, conta 35 deputati, 30 dei quali non iscritti a partiti; se si oppongono alle politiche del governo, lo fanno a titolo soggettivo. A giudicare da chi ha firmato la dichiarazione al culmine delle proteste il 15 novembre (11 deputati), l’opposizione non è composta tanto da partiti politici quanto da organizzazioni pubbliche repubblicane (RPO) e tutte fortemente fondate su una profonda radice di identità nazionale e tradizionalismo. Ciò che viene chiamato “asuara”, o “abkhazismo”.
Secondo gli accordi firmati, oltre a Bzhania, dovrebbero dimettersi anche il primo ministro Alexander Ankvab e il capo dei servizi di sicurezza statali Dmitry Dbar. Il vicepresidente Badra Gunba è diventato il presidente ad interim dell’Abkhazia, in attesa che nella repubblica si tengano le elezioni anticipate del capo dello Stato.
Le proteste nella repubblica erano iniziate il 12 novembre contro un accordo di investimenti che l’Abkhazia aveva firmato con la Russia poche settimane prima, dove venivano assicurati vantaggi alle grandi aziende russe che intendevano fare affari in loco, in particolare, nel settore delle costruzioni e del turismo. Tra i vantaggi c’era l’esenzione fiscale.
L’opposizione abkhaza è stata da subito critica nei confronti di questo accordo, perché, secondo lei, la sua attuazione porterebbe alla costruzione su larga scala di appartamenti e altre infrastrutture che rovinerebbero le imprese locali, poiché la maggior parte dell’economia dell’Abkhazia è incentrata sul settore del turismo e i cittadini locali, potrebbero rimanere senza lavoro e mezzi di sussistenza.
L’accordo sugli investimenti tra Russia e Abkhazia prevedeva i seguenti vantaggi e misure di sostegno per gli investitori russi:
- esenzione per otto anni dai dazi doganali sull’importazione di materiali e attrezzature da costruzione, dal pagamento delle tasse sulle proprietà delle organizzazioni e sui profitti;
- aliquota dell’imposta sul valore aggiunto – 5% (metà dello standard);
- quota per i lavoratori stranieri, che gli investitori distribuiscono autonomamente;
- gli investitori iscritti dal governo della repubblica in un registro speciale ricevono un diritto preferenziale per fornire capacità energetica e connettersi alle reti di servizi e alle comunicazioni;
- l’investitore ha il diritto di utilizzare il terreno fornitogli dalle autorità dell’Abkhazia come garanzia per un prestito bancario.
Rispetto alla crisi abkhaza la Russia ha tenuto un atteggiamento estremamente cauto e di osservazione degli eventi. In precedenza, al culmine delle proteste, il presidente dell’Abkhazia aveva ricevuto il sostegno pubblico del ministero degli Esteri russo, la portavoce Maria Zakharova, la quale aveva definito l’opposizione, responsabile dell’escalation della crisi invitandola a tornare nel quadro della legalità. “Le forze di opposizione, purtroppo, non hanno ritenuto possibile risolvere le divergenze con il governo legittimo del paese attraverso un dialogo civile e reciprocamente rispettoso... Mosca non interferisce negli affari interni della repubblica e si aspetta che la situazione venga risolta esclusivamente con mezzi politici pacifici”, aveva affermato, per poi aspettare senza ulteriori commenti lo sviluppo degli eventi.
Il principale ricercatore dell’Istituto di studi internazionali russo MGIMO, Alexei Tokarev, ha spiegato che, una reazione così dura all’accordo sugli investimenti con la Russia è legata al fatto che gli investitori russi sono molto più potenti economicamente e strutturalmente delle imprese locali, e la reazione e le preoccupazioni degli abkhazi sono abbastanza razionali: “la differenza tra il potenziale economico dell’Abkhazia e della Russia è evidente, gli imprenditori russi che commerciano con essa lo sanno e a Mosca se ne parla anche pubblicamente come un aspetto favorevole ai loro interessi. Le reazioni sono realtà dell’Abkhazia e in questo non si dovrebbero cercare le macchinazioni dell’Occidente, della Georgia o della Russia. Considerando anche che la repubblica è piccola, tutti sono imparentati tra loro e le informazioni si diffondono rapidamente, possiamo dire che questa è una società facilmente risvegliabile e sensibile a interessi nazionali ma anche di sopravvivenza stessa della società abkhaza”.
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