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09/01/2025

Tesla può salvare l’auto europea, almeno dalle multe?

Il famoso detto “uscire dalla porta e rientrare dalla finestra” si adatta bene alla figura di Musk nello scenario europeo odierno. Il possibile affidamento alla sua Starlink di importanti servizi di comunicazione e di criptazione da parte del governo Meloni ha acceso dibattiti, sia nei consessi politici che sui social.

È chiaro che la scelta del governo significa mettere chiavi in mano la sicurezza nazionale a un miliardario che, entro pochi giorni, sarà anche un ministro di un governo straniero, con interessi profondi nel comparto militare-industriale USA.

Per quanto possa offrire tra i migliori servizi, un passo del genere ha ovviamente portato a un’alzata di scudi contro il magnate d’oltreoceano perché si tratta di “affidare” la direzione reale del Paese a un “privato” per di più straniero.

Ma proprio in quanto espressione del capitale monopolistico di uno dei settori più all’avanguardia dell’attuale ciclo economico, è difficile tenere fuori Musk dalla dialettica politica dell’intera filiera euroatlantica. Il peso di un’altra sua azienda – Tesla – potrebbe giocare una funzione non neutrale negli equilibri della UE.

Il 6 gennaio Automotive News Europe ha fatto presente che, stando a documenti della Commissione Europea, la casa automobilistica del miliardario sudafricano potrebbe aiutare le sue “concorrenti” a evitare le multe europee sulle emissioni.

L’aver mancato l’obiettivo di un taglio delle emissioni di CO2 del 15% rispetto al 2021 potrebbe tradursi, secondo ACEA, in sanzioni per un totale di 15 miliardi di euro.

Sembra che Tesla abbia però già presentato una dichiarazione d’intenti alla Commissione Europea per guidare un “pool” di condivisione delle emissioni con altre società attive nel Vecchio Continente. Si parla, in sostanza, di un sistema in cui le quantità di CO2 prodotte vengono messe in comune, così che chi inquina troppo possa usufruire dei margini sulle emissioni non utilizzati da altri.

Nel gruppo ci sono una quindicina di realtà, e saltano sicuramente all’occhio Toyota, Ford, Subaru, Mazda e, soprattutto almeno per noi “italici”, Stellantis, presente con otto sue diverse sigle. Sempre secondo ACEA, l’insieme di questi produttori rappresenta quasi il 30% dei veicoli venduti in Europa nei primi 11 mesi del 2023: una cifra non da ridere.

Tanto più se consideriamo che è destinata ad aumentare quasi certamente, dato che il termine per unirsi al “pool” scade il 5 febbraio, e Volkswagen e Renault hanno manifestato interesse. Il pomeriggio del 7 gennaio, inoltre, è stato presentato un secondo “pool” guidato da Mercedes Benz, cui si sono aggregati Volvo, Polestar e Smart.

Non è la prima volta che l’espediente dei “crediti e debiti” sulle emissioni viene usato per stare al passo con gli obiettivi posti a livello europeo: era già successo nel 2021. E questa è di sicuro un’ulteriore prova di come non solo a Bruxelles abbiamo dimenticato la transizione green per pensare alla guerra, ma anche di come i criteri fossero sin dall’inizio piuttosto ipocriti.

Già il fatto che da più parti fosse stata paventata l’idea di neutralizzare le multe, per non compromettere un settore già in crisi, era un segnale importante. Ma è altrettanto ovvio che, anche solo per la credibilità del legislatore UE, non si possa pensare di fare e disfare regole a seconda della convenienza dei grandi azionisti.

E così il commissario europeo al Clima, Wopke Hoekstra, ha confermato le multe, ma già era pronta la scappatoia della condivisione delle emissioni, che permette di mantenere le ammende e insieme di sollevare le aziende dal pagarle davvero.

Un portavoce di Stellantis ha dichiarato che la mano data da Tesla “aiuterà l’azienda a raggiungere gli obiettivi europei del 2025, ottimizzando le risorse”.

Ma l’aiuto di Musk non è ovviamente gratis. Le varie case automobilistiche dovranno pagare i certificati di emissione, ognuno equivalente a una tonnellata di gas serra. Si tratta di un vero e proprio mercato dell’anidride carbonica, che per Tesla ha rappresentato il 3% delle entrate del 2024 (oltre 2 miliardi di dollari) e ben 11 miliardi dal 2009.

Anche la cinese Geely, proprietaria di Polestar – la compagnia che vanta importanti crediti di emissione, nell’altro “pool” appena annunciato – ci guadagnerà la propria fetta. Quanto verranno pagati questi certificati non è stato però rivelato, e lo si scoprirà solo visionando i bilanci approvati alla fine dell’anno.

Ma con la casa automobilistica stelle-e-strisce c’è una netta differenza, e cioè la “leva politica” su cui può contare Musk. Non si tratta solo del legarsi di molte aziende alla benevolenza di quella che poi, a conti fatti, è “la concorrenza”, ma anche delle pressioni che sia gli stessi produttori operanti principalmente in UE, sia lo stesso futuro ministro statunitense potranno fare sui vertici comunitari.

Non si parla solo di mantenere a galla l’automotive europeo: tale condizione di debito potrebbe entrare negli equilibri di altri dossier. Non possiamo sapere se ciò non sia già successo, ad esempio nella cautela con cui, mentre si definiscono i termini della condivisione delle emissioni, Bruxelles sta trattando il sempre più profondo intervento di Musk sulla politica europea.

Ciò che risulta evidente anche a un cieco è però come l’amministrazione Trump stia ristabilendo l’ordine nelle gerarchie euroatlantiche, con gli alleati che possono solo accettare se essere vassalli o subire tutta la potenza di fuoco di Washington.

Il progetto comunitario, alleato ma con aspirazioni ad essere concorrente, è sempre più in crisi.

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