Gli esponenti politici del “campo largo” del centro-sinistra devono decidere se parlare con lingua biforcuta o se contare fino a dieci prima di fare dichiarazioni di cui potrebbero – e dovrebbero – pentirsi.
L’occasione è venuta dalla polemica sulla mancata partecipazione della Meloni al vertice ristretto delle potenze europee della coalizione dei volenterosi (Germania, Francia, Gran Bretagna, Polonia) insieme al presidente ucraino Zelenski, svoltosi venerdì a Tirana.
La Meloni ha spiegato l’assenza con il fatto che quel vertice avrebbe discusso del coinvolgimento di militari europei in Ucraina, mentre l’Italia non è disponibile a inviare i propri soldati su quel fronte. La versione della premier è stata smentita da Macron ma i fatti, fin qui registrati alla televisione francese TF1 pochi giorni fa, ci dicono il contrario.
Ma la mancata presenza della Meloni alla riunione dei peggiori leader guerrafondai d’Europa – curiosamente le stesse potenze che hanno innescato la Seconda Guerra Mondiale – è stata oggetto di attacchi dei partiti dell’opposizione a nostro avviso del tutto sballati, ma anche emblematici di una ambiguità inaccettabile.
Il leader del M5S Giuseppe Conte, pur cavalcando l’onda antimilitarista nel paese, ha accusato la Meloni di “isolare” l’Italia; Angelo Bonelli di AVS, anche lui identificato nel campo “pacifista”, l’ha accusata di fare la “comparsa”; dal PD giungono attacchi simili a quelli di Conte sul fatto che la Meloni disertando il vertice dei guerrafondai “emargina” l’Italia dall’Europa.
Per rispetto di noi stessi e dei nostri lettori non prendiamo poi in considerazione le dichiarazioni di Renzi e Calenda.
I leader del “campo largo” del centro-sinistra a questo punto devono decidere quale sia la loro posizione in materia: sono contrari alle forze che in Europa spingono per la guerra e il riarmo oppure ritengono che l’Italia debba aggregarsi a queste forze e partecipare alle loro riunioni?
La contraddizione a questo punto c’è tutta, e nella frenesia di attaccare la Meloni stavolta hanno messo i piedi su un terreno scivoloso e molto pericoloso.
E come in una matrioska, dentro questa contraddizione se ne presenta un’altra, ed è la posizione sulla natura dell’Unione Europea, troppo spesso mistificata e confusa con “l’Europa”.
Lo scorso 18 marzo le piazze a Roma si sono divise tra euroguerrafondai in Piazza del Popolo e antimilitaristi in Piazza Barberini. Due terzi del campo largo (Pd e Avs) erano presenti o avevano aderito alla piazza del suprematismo europeista, che non disdegna affatto il riarmo e la difesa comune europea ritenendoli decisivi per la costituzione di una “Europa forte” nella competizione globale.
Il M5S, allora, si è smarcato da quella piazza, ma anche da quella antimilitarista che contemporaneamente manifestava in Piazza Barberini in contrapposizione ai guerrafondai in Piazza del Popolo.
Due settimane dopo il M5S ha promosso una manifestazione che ha raccolto una grande adesione e aspettativa popolare per la pace, ma alcuni discorsi dal palco – e di Conte in particolare – non sono sembrati affatto in sintonia con lo spirito di chi era sceso in piazza.
Questa contraddizione adesso si è ripresentata di nuovo e piuttosto nitidamente in occasione della mancata partecipazione dell’Italia al vertice dei “volenterosi guerrafondai europei” a Tirana.
Se l’Italia si terrà alla larga da una coalizione di guerra che vede insieme le potenze più belliciste europee e la Nato sarà un bene e non certo un male. Anzi, andrebbe spinta a procedere in tale direzione. Lasciare che sia Meloni a coprire questo spazio è un suicidio politico, l’esatto contrario dell’averla smascherata sulla complicità con Israele e il genocidio dei palestinesi.
Non vorremmo ricorrere ancora una volta alla metafora del “nemico che marcia alla tua testa”, ma si tratta di “dettagli” di un certo rilievo in una fase storica critica come quella che stiamo attraversando e nelle mobilitazioni che stanno cercando di tenere l’Italia fuori dell’escalation di guerra.
È noto che le classi dirigenti nostrane si dibattono da anni sul voler essere “ultimi tra i primi o primi tra gli ultimi” nella complicatissima geopolitica europea, ma questa ambiguità – che una volta al governo diventa ossessione – non può essere certo il riferimento di un movimento contro i pericoli di guerra all’altezza della posta in gioco.
Anche di questo sarà utile discutere nell’assemblea nazionale convocata a Roma il prossimo 24 maggio e riaffermarlo con forza nella manifestazione nazionale contro la guerra e il riarmo convocata per sabato 21 giugno.
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