In Spagna come in Italia, come in ogni paese del capitalismo neoliberista occidentale, il vero nemico, quello “eterno” delle classi dominanti, sono i movimenti popolari e le organizzazioni che li innervano.
E non è neanche importante il tasso di “radicalità” politica o strategica che esprimono. È sufficiente che esistano e che gli obiettivi delle loro lotte mettano in discussione questo o quell’aspetto del loro dominio. Cioè dei loro profitti. Anche gli ambientalisti più pacifici, perciò, diventano dei pericolosi “sovversivi” da schedare, infiltrare, reprimere.
E non è neanche importante il tasso di “radicalità” politica o strategica che esprimono. È sufficiente che esistano e che gli obiettivi delle loro lotte mettano in discussione questo o quell’aspetto del loro dominio. Cioè dei loro profitti. Anche gli ambientalisti più pacifici, perciò, diventano dei pericolosi “sovversivi” da schedare, infiltrare, reprimere.
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Un gruppo di persone colpite dallo spionaggio della polizia pubblica un testo collettivo come strumento e riflessione su questo fenomeno.
Domenica 12 gennaio scorsa è andato in onda sulla televisione pubblica catalana Infiltrats, un documentario che racconta l’esperienza di alcune delle persone vittime dello spionaggio della polizia, oltre a ripercorrere le inchieste giornalistiche condotte dal team di La Directa che hanno portato alla scoperta di diverse talpe.
Nel documentario, alcune vittime affermano che conoscere i dettagli di altri casi di agenti infiltrati attraverso gli articoli pubblicati è stato fondamentale per smascherare le talpe nel loro ambiente.
È il caso, ad esempio, di Ramón, il poliziotto che ha spiato il tessuto sociale di Benimaclet (Valencia), su cui hanno iniziato a sospettare dopo aver appreso dei casi di María e Marc, infiltrati rispettivamente a Girona e Barcellona.
Con lo stesso obiettivo di facilitare l’identificazione di altri agenti infiltrati, un gruppo di persone colpite da questa pratica ha annunciato la pubblicazione di un libro che vuole essere uno strumento a disposizione di chi ne avesse bisogno. Manual para destapar a un infiltrado (“Manuale per smascherare un infiltrato”), che uscirà il 3 febbraio per l’editorial Dos cuadrados, è il risultato di un processo collettivo di apprendimento nato dall’esperienza di scoprire che persone con cui condividevano militanza e affetti erano in realtà funzionari dello Stato incaricati di monitorarli.
Il progetto “nasce dal contatto tra militanti colpiti da diversi poliziotti infiltrati scoperti in luoghi come Girona, Barcellona, Valencia o Madrid”, spiega una delle persone coinvolte. Inizialmente, questi incontri “erano più che altro per darci sostegno emotivo, capirci e cercare di aiutarci, visto che stavamo vivendo situazioni molto simili e non avevamo alcun riferimento a cui aggrapparci, nessuna esperienza precedente di conoscenti e nessuna conoscenza su come affrontarla”, racconta.
Uno degli obiettivi del libro è proprio colmare quel vuoto in cui si sono trovate queste persone, affinché altre vittime possano disporre delle conoscenze acquisite durante il processo. “In quegli incontri è emersa anche l’idea di fare un lavoro a livello politico: visto che ci hanno fatto passare tutto questo e che abbiamo subito questo tipo di repressione, vogliamo ricavarne qualcosa di utile non solo per noi, ma per il resto della militanza, presente e futura”, riassume un’altra delle autrici.
Nel libro, inoltre, chiariscono che vogliono “promuovere una cultura della sicurezza nelle organizzazioni” e lanciare un messaggio: “Le forze dell’ordine non sono infallibili (...), hanno falle nel loro funzionamento e noi vogliamo esporle in modo semplice e accessibile”.
La decisione di trasformare tutto questo sapere accumulato in un’opera divulgativa non è stata esente da dibattiti, anch’essi riportati nel libro: “Conviene rendere pubblica l’informazione di cui disponiamo? E se mettesse a rischio indagini in corso? E se la polizia cambiasse metodo di infiltrazione?”, si chiedono.
“A cosa serve avere queste informazioni se non siamo in grado di condividerle?”, si domandano. “Non abbiamo contatti con tutti quelli che militano in qualsiasi tipo di spazio o organizzazione, né una rete sicura di comunicazione interna che possiamo usare”, riflettono.
Tra le altre motivazioni che sostengono la decisione di pubblicare questo manuale, c’è il fatto che “se solo poche persone hanno accesso a informazioni così importanti, queste potrebbero arrivare solo a organizzazioni vicine o di fiducia, alimentando così la logica del favoritismo e del si salvi chi può”.
Sono anche consapevoli che la polizia avrà accesso al documento e che potrebbe cambiare i suoi metodi di spionaggio. Su questo punto, osservano che “lo Stato ha una formula che ha dimostrato di funzionare (l’infiltrazione) e cambiarla implicherebbe cercarne un’altra, rischiando che non sia altrettanto efficace”.
Il gruppo che ha redatto il libro sa che questa pubblicazione “potrebbe mettere a rischio indagini in corso sugli infiltrati, visto che le loro tattiche sono state esposte pubblicamente”. Tuttavia, credono che “se scappa, è un poliziotto infiltrato in meno nelle nostre organizzazioni; se resta, avremo più possibilità di smascherarlo”.
L’esempio del Regno Unito
Gli autori riconoscono che il manuale è ispirato a quello pubblicato anni fa nel Regno Unito, che “li ha aiutati a scoprire decine di infiltrati in organizzazioni e ambienti militanti che nemmeno conoscevano”. Spiegano di essersi messi in contatto con le autrici britanniche, le quali, alla domanda se si pentissero della pubblicazione o se l’avessero trovata utile, hanno risposto “che senza dubbio è servita molto, perché ha aiutato molte persone con cui non avevano alcun contatto a scoprire altri agenti infiltrati”.
Oltre alle riflessioni, il Manuale offre consigli su come gestire un’eventuale indagine interna in caso di sospetti. “Ci sembra molto importante perché altre vittime possano sapere come gestire il prima, il durante e anche il dopo la scoperta”, spiega una delle autrici. “Ok, lo scopriamo... e poi? Perché potrebbe sembrare ovvio, ma non lo è”.
Evitare la paranoia e prevenire l’esaurimento
Nel libro si raccontano anche le conseguenze di queste indagini e le cicatrici lasciate in chi le ha vissute: “Parliamo un po’ di esaurimento, perché tutto questo provoca un logoramento mentale, fisico ed emotivo, soprattutto quando non si ottengono risultati né per escludere né per confermare i sospetti”, raccontano.
Viene spiegato che questo esaurimento è spesso associato a una sensazione di perdita di controllo, persino a una certa ossessione. Ed è per questo che un processo collettivo è preferibile, perché i sintomi dell’esaurimento possono essere riconosciuti e gestiti meglio.
Riconoscono che nei casi scoperti “abbiamo avuto la fortuna di poterli confermare, ma il più delle volte le indagini si arenano”. Un’altra autrice avverte: “Bisogna esserne consapevoli e sapere come chiudere quella fase, per evitare che ti consumi e che paralizzi la tua attività politica per questa questione”.
Le autrici cercano di prevenire uno stato di diffidenza permanente, di vedere minacce ovunque. “La paranoia è una manifestazione comune che può portare a una caccia alle streghe contro chiunque abbia detto o fatto qualcosa di strano”, riflettono.
Questo stato si verifica “quando la situazione sfugge di controllo e impedisce di agire, alimentando la paura di uno Stato e di una polizia apparentemente invincibili”. Per evitarlo, bisogna “chiedersi cosa sappiamo, cosa temiamo e concentrarci su dati reali, smascherare gli infiltrati a partire da informazioni oggettive”.
Per capire se si tratta di paranoia (collettiva o individuale), nel libro si indicano alcuni sintomi comuni: “Vedere spie in ogni angolo o puntare il dito contro chiunque abbia fatto qualcosa di minimamente sospetto può essere un segnale chiaro”. Per affrontare questi casi in gruppo, sottolineano che “è importante che chi ha sospetti si senta ascoltato e compreso, chiedere con delicatezza cosa pensa o teme, ascoltare con sincerità ma con cautela e rispetto”.
Sumar chiede conto al Ministero dell’Interno per le infiltrazioni e chiede risarcimenti
Aina Vidal e Gerardo Pisarello, deputati del gruppo plurinazionale Sumar e coportavoce dei Comuns, chiedono modifiche legislative per evitare ulteriori infiltrazioni nelle entità sociali, sostenendo che “questa pratica degli agenti sotto copertura non è giustificata da motivi di sicurezza, indipendentemente dalla copertura giudiziaria, solo per avere una certa ideologia di sinistra”. Nell’iniziativa parlamentare, hanno anche chiesto di “riparare il danno causato alle vittime”.
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