Le manifestazioni di ieri al Cairo si sono concluse senza vittime né
feriti, mentre decine di migliaia di sostenitori del deposto presidente
Morsi hanno marciato questa mattina nella capitale. Ma adesso nel target
dell'esercito egiziano ci sono i militanti islamisti attivi nella
Penisola del Sinai. Ieri un poliziotto è stato ucciso da uomini armati
ad un checkpoint militare, ennesimo esempio dell'attività jihadista in
Egitto.
Dalla deposizione del presidente Morsi, la scorsa settimana, gli
attacchi in Sinai sono diventati ormai giornalieri. Da qui la decisione
dell'esercito di lasciare un'operazione di vasta scala nella Penisola
contro "gang armate e terroristi". Secondo i media egiziani, ciò comporterà l'impiego di artiglieria pesante e aviazione.
Resta chiuso intanto il valico di Rafah tra Egitto e Striscia di Gaza, a tempo indefinito. Il
Cairo è convinto che dai tunnel sotterranei militanti di Hamas entrino
in Egitto per unirsi a gruppi armati jihadisti per condurre attacchi al
nuovo potere insediatosi nel Paese. Un'eventualità che sarebbe
dimostrata dall'uccisione, pochi giorni fa, di 32 membri di Hamas in
Sinai. Da parte sua il movimento islamista palestinese ha negato la
partecipazione ad azioni di destabilizzazione, a favore dei Fratelli
Musulmani che restano osservati e detenuti speciali.
Dopo Berlino, anche Washington ha chiesto al nuovo presidente egiziano e al governo ad interim di interrompere la campagna di arresti contro i membri della Fratellanza. Minacciando ritorsioni: secondo il Times of Israel,
l'amministrazione Obama avrebbe avvertito Il Cairo di un possibile stop
dei finanziamenti, se continuassero le detenzioni arbitrarie. Secondo
Washington, una tale politica minerebbe alla base la natura del governo ad interim, che dovrebbe assumere i connotati di un esecutivo di riconciliazione nazionale.
A livello regionale, la Fratellanza non sta certo vivendo un momento
d'oro. I vari partiti di riferimento del movimento islamista nei Paesi
arabi stanno da giorni condannando il colpo di Stato militare che ha
portato alla cacciata di Morsi: da Erdogan al tunisino Ennahda, tutti
temono che la perdita del Cairo possa portare ad un generale
indebolimento del movimento. L'unico a sorridere è Bashar al-Assad, da sempre oppositore dell'Islam politico.
"Il fallimento dell'esperienza dei Fratelli Musulmani in Egitto
danneggerà tutto l'Islam politico nella regione, dal Sudan alla Tunisia,
dalla Giordania alla Palestina - ha spiegato Nabil Abdel Fatah,
ricercatore dell'Al-Ahram Center for Political and Strategic Studies del
Cairo - Perderà il suo dominio e la Fratellanza condurrà il progetto
islamista a perdere la sua effettività nella società".
Dello stesso avviso l'esperto politico palestinese Abdel Qader Yassin,
secondo il quale Hamas non beneficerà di certo della caduta di Morsi,
che andrà a colpire tutto il movimento nella regione: "È tempo per gli
islamisti di imparare la lezione del Cairo e capire come gestire le cose
in maniera differente".
"Imporre il proprio dominio, isolare le altre forze politiche e
combattere contro stampa e magistratura, senza sviluppare un modello
economico che risolva i problemi del Paese sono le lezioni che i
Fratelli Musulmani devono imparare - gli fa eco uno dei leader delle
opposizioni siriane, Gaber el-Shoufy - Pensare semplicemente che le
urne ti diano un mandato per praticare la democrazia come vogliono è
stato l'errore fatale della Fratellanza in Egitto".
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