di Mario Lombardo
Un emendamento alla legge sullo stanziamento di fondi per il
Pentagono che avrebbe parzialmente ristretto le facoltà di intercettare
le comunicazioni elettroniche da parte dell’Agenzia per la Sicurezza
Nazionale (NSA) è stato prevedibilmente respinto questa settimana dalla
Camera dei Rappresentanti americana. L’esito del voto è stato in parte
determinato da pressioni senza precedenti esercitate
dall’amministrazione Obama sui membri del Congresso di entrambi gli
schieramenti, anche se un’eventuale approvazione dell’emendamento
“anti-NSA” avrebbe lasciato intatta la maggior parte dei programmi
illegali condotti clandestinamente in tutto il pianeta.
La
modifica al pacchetto che contiene i nuovi finanziamenti per il
Dipartimento della Difesa era stata presentata dal deputato repubblicano
del Michigan di tendenze libertarie e vicino ai Tea Party, Justin
Amash. L’emendamento era co-sponsorizzato dal democratico “progressista”
John Conyers, anch’egli del Michigan, in una sorta di alleanza tra
l’estrema destra e la sinistra teorica della Camera dei Rappresentanti,
unite nell’esprimere una qualche critica ai metodi dell’NSA.
La
proposta di Amash avrebbe di fatto impedito all’NSA di intercettare
indiscriminatamente i cittadini americani, privando l’agenzia con sede a
Fort Meade, nel Maryland, dei fondi necessari per condurre questo
genere di operazioni. L’NSA avrebbe dunque potuto raccogliere i
cosiddetti “metadati” solo in presenza di indagini criminali ai danni di
singoli individui.
In risposta alla profonda avversione diffusa
nel paese verso le clamorose e sistematiche violazioni della privacy e
dei diritti costituzionali svelate dall’ex contractor dell’NSA, Edward
Snowden, molti deputati hanno sostenuto l’emendamento, comunque
sconfitto per 217 voti a 205. Il voto ha di fatto spaccato i due
partiti, con 94 repubblicani e 111 democratici che hanno votato a
favore, contravvenendo alle indicazioni dei rispettivi leader.
Nei
giorni precedenti l’appuntamento alla Camera, l’amministrazione Obama
si era mobilitata per assicurare la sconfitta dell’emendamento.
Un’eventuale approvazione, in ogni caso, non avrebbe significato
l’introduzione automatica dei limiti previsti per l’NSA, visto che su di
essi avrebbe dovuto esprimersi anche il Senato e, alla fine, lo stesso
presidente avrebbe avuto facoltà di porre il veto. Una bocciatura
ufficiale di uno dei programmi illegali dell’NSA da parte di un ramo del
Congresso avrebbe però costituito un grave motivo di imbarazzo per la
Casa Bianca, soprattutto dopo l’incessante campagna orchestrata per
difendere quello che viene definito come uno strumento fondamentale per
garantire la “sicurezza nazionale”.
Alla vigilia del voto, così,
il portavoce della Casa Bianca, Jay Carney, aveva letto un comunicato
ufficiale per esprimere la contrarietà dell’amministrazione democratica
“allo sforzo in corso alla Camera per smantellare frettolosamente uno
degli strumenti dell’anti-terrorismo a disposizione della nostra
comunità di intelligence”.
Nella
giornata di martedì, addirittura, il direttore dell’NSA, generale Keith
Alexander, aveva presieduto un incontro a porte chiuse a dir poco
straordinario con i membri della Camera, ai quali sono stati presentati
documenti riservati sulla presunta efficacia del programma in questione,
così da convincerli della necessità di mantenerlo in vita.
Mercoledì,
infine, nel giorno stesso del voto alla Camera, una manciata di ex
membri dell’apparato della sicurezza nazionale americana ha indirizzato
una lettera aperta ai deputati in difesa dei programmi illegali
dell’NSA. La mobilitazione dei vertici attuali e passati del governo,
delle forze armate e dell’intelligence è stata dunque senza precedenti,
in modo da impedire anche solo una lievissima minaccia a quelli che
vengono considerati dalla classe dirigente d’oltreoceano come strumenti
fondamentali non tanto per la lotta al terrorismo, quanto per il
monitoraggio e controllo di qualsiasi forma di dissenso interno.
Particolarmente
imbarazzante è apparsa poi la difesa dei programmi dell’NSA da parte
dei loro sostenitori a Washington, impegnati a proclamare la necessità
di preservarli perché necessari alla “guerra al terrore”, proprio mentre
gli Stati Uniti stanno per procedere con la fornitura di armi ai
“ribelli” in Siria, tra i quali prevalgono formazioni fondamentaliste
legate ad Al-Qaeda.
Le rivelazioni di Snowden, oltretutto, hanno
ulteriormente smentito la pretesa di un’NSA intenta a violare la legge
per difendere il paese dalla minaccia terroristica, visto che le
intercettazioni autorizzate dal governo non solo riguardano in maniera
indiscriminata centinaia di milioni di persone sulle quali non esistono
sospetti, ma sono messe in atto anche nei territori di paesi alleati
degli Stati Uniti, come Francia o Germania.
Se il voto in aula di
mercoledì a Washington è il frutto di reali inquietudini diffuse tra un
certo numero di membri del Congresso circa la deliberata violazione dei
diritti costituzionali di cui è responsabile l’NSA, l’emendamento Amash
che ha unito repubblicani libertari tradizionalmente diffidenti verso
qualsiasi ampliamento dei poteri del governo federale e democratici
“progressisti” è sembrato essere soprattutto l’esito di un calcolo
politico studiato a tavolino.
Una parte della classe politica
americana, cioè, ha avuto in questo modo la possibilità di mostrare in
maniera innocua la propria relativa opposizione a programmi di
sorveglianza che la maggioranza degli americani ritiene illegittimi
nonostante la campagna in loro difesa orchestrata dal governo e da molti
media ufficiali.
Un sondaggio pubblicato proprio mercoledì da CBS News
ha infatti mostrato come il 67% degli americani consideri la raccolta
delle informazioni telefoniche da parte del governo come una chiara
violazione della privacy. Un’altra indagine condotta dal Marist College
di New York per l’agenzia di stampa McClatchy ha rilevato invece come il
56% degli americani ritenga che il governo sia andato troppo in là nel
monitoraggio di dati personali, mentre il 76% vorrebbe regole più
rigorose per la protezione della privacy.
L’emendamento
introdotto da Justin Amash e John Conyers, in sostanza, ha avuto il via
libera dalla leadership repubblicana solo una volta appurata la
certezza di una sconfitta in aula. La ricostruzione del processo che ha
portato al voto di mercoledì è stata fatta dal sito web Politico,
il quale lo ha definito un modo per consentire ad alcuni deputati
repubblicani e democratici di “manifestare la propria rabbia” o, meglio,
per presentarsi all’opinione pubblica come difensori dei diritti
costituzionali.
L’articolo pubblicato giovedì ha così raccontato come i vertici repubblicani alla Camera - lo speaker John Boehner, il
leader di maggioranza Eric Cantor e il suo vice Kevin McCarthy - dopo
avere determinato “privatamente” che la minaccia del collega Amash al
programma di intercettazione dell’NSA era “vuota”, hanno incaricato i
loro staff di aiutare quest’ultimo nella stesura dell’emendamento, pur
essendo fermamente contrari al suo contenuto.
Questa decisione è
stata presa dopo che i tre leader hanno ascoltato le lamentele dei
deputati repubblicani circa i programmi dell’NSA e in risposta alle
richieste di trovare una modalità per manifestare la loro
disapprovazione, senza tuttavia minacciare seriamente la prosecuzione
delle attività illegali dell’agenzia governativa.
In definitiva,
nonostante qualche voce critica proveniente dal Congresso, la deriva
autoritaria negli Stati Uniti - compreso l’ampliamento dei poteri
assegnati all’NSA - è avvenuta in questi anni con la piena
consapevolezza, se non la collaborazione, dei membri di Camera e Senato.
Alcuni di quelli che hanno votato a favore dell’emendamento Amash
mercoledì, d’altra parte, avevano dato in precedenza la propria
approvazione a leggi in odore di fascismo come il Patriot Act.
Nell’esprimere
i propri dubbi circa gli eccessi dell’NSA e dell’amministrazione Obama,
essi sottolineano immancabilmente la necessità di garantire
all’apparato della sicurezza nazionale gli strumenti necessari per
combattere la “guerra al terrore”, limitando così quasi sempre le loro
critiche all’eccessiva segretezza con cui agisce il governo e lanciando appelli
soltanto a rendere più trasparenti programmi di sorveglianza e di
controllo del dissenso palesemente illegali.
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