Brutto mestiere, ormai, quello della Banca d'Italia. Costretta a
sfornare studi seri dove i numeri dicono che stiamo precipitando nel
pozzo ma "i discorsi" devono sollecitare un briciolo di ottimismo.
Partiamo dai numeri ormai certi: il Pil italiano diminuirà
dell'1,9% nel 2013, un punto in più di quanto "previsto" soltanto cinque
mesi fa. Non è una differenza da poco, ma via XX Settembre è costretta a
minimizzare la pessima constatazione. Subito dopo, infatti, quantifica
la previsione di "ripresa", l'anno prossimo, nello 0,7%. Niente, in
pratica, dopo quasi tra anni di recessione; solo l'accenno alla fine
della recessione, come se allora potrà essere toccato un fondo. Allora
però sarà stato perso quasi il 10% rispetto all'inizio della crisi
industriale, a fine 2008, e quel misero +0,7% - ammesso che si realizzi e
non si tratti di un'altra previsione "ottimistica" - appare meno di
un'aspirina.
Ma non è detto che si possa realizzare, avverte la stessa Bankitalia. Sulla ripresa del Pil italiano pesano infatti
notevoli incertezze. «Sulla ripresa dell'attività economica tra la fine
del 2013 e l'inizio del 2014 gravano rischi al ribasso, legati
principalmente alle prospettive dell'economia globale, alle condizioni
di liquidità delle imprese e a quelle dell'offerta di credito». Tre
elementi che, ognuno da solo, potrebbe avere effetti negativi. Il più
importante e incontrollabile resta la "congiuntura internazionale",
segnata dal rallentamento consistente delle economie "emergenti", prima
fra tutte quella cinese. La liquidità delle imprese e l'offerta di
credito (da parte delle banche) potrebbero a quel punto contrarsi al di
là delle buone intenzioni, e far aprire un quarto anno di arretramento.
A
questo punto, nemmeno le esportazioni - unico segno positivo in indici
nazionali da suicidio - riuscirebbero ad ammortizzare la caduta della
produzione nazionale.
«La domanda estera - infatti - potrebbe
risultare più debole di quanto ipotizzato, se il ritmo di crescita delle
principali economie emergenti dovesse diminuire e la debolezza ciclica
in Europa dovesse protrarsi». Tanto più se bisognerà attendere gli
effetti della «piena attuazione ed efficacia delle misure di politica
economica»; le quali, va ricordato, stanno producendo risultati
diametralmente opposti a quelli attesi.
L'unica spinta positiva
verrebbe dal decreto di sblocco dei debiti della Pubblica
amministrazione, che però «potrebbe rivelarsi meno efficace di quanto
ipotizzato se non venissero rispettati i tempi di pagamento previsti».
Ma
nemmeno la condizione del debito pubblico italiano sui mercati
finanziari internazionali lascia dormire sonni tranquilli. «Sui tempi e
sull'intensità della ripresa gravano infine i rischi di aumenti degli
spread sui titoli di Stato, che l'alto debito pubblico e le deboli
prospettive di crescita del nostro paese rendono ancora sensibili alle
variazioni del clima di fiducia degli investitori e alle valutazioni
degli analisti». La coperta resta così corta che qualsiasi
"aggiustamento" dei conti pubblici si traduce in caduta del Pil, e
quindi in diminuzione delle entrate fiscali, peggioramento ulteriore dei
conti pubblici e quindi in aumento dello spread e della spesa per il
"servizio del debito". Un "demoltiplicatore keynesiano" che a quanto
pare nessuno dei geni che governano la finanza globale (dal Fmi alla
Bce, dall'Ocse alla Ue) aveva intravisto.
In questo quadro, parlare
di "creazione di posti lavoro" - se si lascia l'iniziativa soltanto al
"libero mercato" - diventa una pericolosa presa in giro. L'anno prossimo
il tasso di disoccupazione atteso sfiorerà il 13%, forse anche di più. E
nonostante lo smantellamento integrale delle tutele del lavoro, o più
probabilmente anche per questo, «le prospettive restano negative
soprattutto tra i giovani». Un'altra contraddizione solare tra "attese"
ideologiche e realtà di fatto, che però non sembra in grado di spingere i
teorici dell'"austerità" a fare autocritica. O almeno a tacere.
«Le
condizioni del mercato del lavoro, che tipicamente reagiscono con
ritardo alla dinamica dell'attività produttiva, continuerebbero a
deteriorarsi, mostrando una timida ripresa solo nella seconda metà del
2014». «Il numero di occupati diminuirebbe di circa l'1,5% nel biennio
2013-14, a fronte di un modesto aumento dell'offerta di lavoro, che
risentirebbe degli effetti di scoraggiamento. Il tasso di
disoccupazione, che al netto dei fattori stagionali ha superato il 12%
nel maggio di quest'anno, sfiorerebbe il 13% nel corso del prossimo». Se
anche ci fosse insomma una "ripresina", questa non avrebbe alcun
effetto positivo sull'occupazione.
E
se non si lavora diventa difficile "consumare", retroagendo in modo
ancor più negativo sulla produzione. La stretta sui consumi nel 2014 dovrebbe continuare, anche se a una velocità inferiore a quella degli
ultimi due anni: un -0,1% dopo il -2,3% di quest'anno e il -4,3% del
2012. Viste le incertezze sul futuro, infatti, anche un eventuale
recupero di reddito disponibile verrebbe destinato dalle famiglie - e a
maggior ragione dalle imprese - al risparmio, non certo a consumi o
investimenti.
La versione completa del Bollettino della Banca d'Italia: bollettino-bankitalia.pdf1.38 MB
Come
si può agevolmente constatare, le "speranze" sono tutte contenute in
discorsi che non riguardano tanto le cifre, quanto la "speranza".
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