Dopo gli scontri tra ribelli dell'Els e miliziani vicini al Al Qaida, i
jihadisti entrano in conflitto anche con i curdi di Siria. "La no fly
zone sarebbe il primo passo per una operazione militare come quella in
Libia" dichiara un alto ufficiale britannico.
L'agenzia Afp riferisce che sarebbero almeno 29 le persone
rimaste uccise negli scontri tra combattenti curdi vicini al Pyd -
Partito dell'Unione Democratica - e miliziani jihadisti nel nord della
Siria negli ultimi due giorni.
"Almeno 19 guerriglieri del Fronte di
Al-Nusra e 10 curdi sono rimasti uccisi nei combattimenti avvenuti
nella regione petrolifera di Hassakeh," scrive l'Osservatorio Siriano
per i Diritti Umani, organismo vicino ai ribelli anti-Assad. Gli scontri
sono iniziati quando i militanti jihadisti hanno attaccato un convoglio
di donne combattenti curde, ha spiegato il direttore dell'Osservatorio,
Rami Abdel Rahman. La minoranza curda ha osservato finora una linea più
o meno neutrale nella guerra civile siriana. In alcune occasioni ha
collaborato con i ribelli, ma nella maggioranza dei casi ha scelto di
non prendere posizione e comunque di tenere fuori dal loro territorio
sia le truppe fedeli al regime che i combattenti ribelli. Ma
l'interpretazione più flessibile della religione islamica da parte della
comunità curda gli ha attirato l'ira degli estremisti islamici, in
particolare quelli di Al-Nusra e dell'Islamic State of Iraq and the
Levant.
Intanto il capo di Stato maggiore britannico, generale David
Richards afferma senza troppi inibizioni che imporre una no-fly zone
sulla Siria e armare i ribelli potrebbe scatenare una guerra. Le
dichiarazioni sono comparse in un’intervista rilasciata dal gen.
Richiards al quotidiano britannico Daily Telegraph. “Se si vuole avere
un impatto rilevante sui calcoli del regime siriano, non basta una
no fly zone – ha detto il generale – bisogna essere in grado, come
abbiamo fatto con successo in Libia, di colpire obiettivi a terra.
Bisogna neutralizzare le loro difese aeree”. “Bisogna creare una zona di
controllo da terra – ha proseguito – ma anche assicurarsi che non abbiamo margini di manovra,
ossia neutralizzare i loro carri armati, e i loro mezzi di trasporto
così come tutte le altre cose. Se si vuole avere un impatto bisogna
colpire gli obiettivi a terra e quindi essere pronti ad andare in
guerra”. “Questa è giustamente una decisione importante – ha concluso –
ci sono molti motivi per farlo, ma anche per non farlo”. E proprio di no
fly zone - che come in Iraq e Libia rappresenta la prima fase di una
invasione diretta - si era discusso nella conferenza degli "Amici della
Siria" a Doha lo scorso 22 giugno. Ma l'andamento della guerra civile
sul campo, con il governo siriano che ha recuperato parecchio terreno,
ha aumentato la riluttanza delle potenze della Nato ad impantanarsi più a
fondo nel conflitto in Siria, esattamente come ha lasciato intendere il
gen. Richards.
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