Attentati e stragi scandiscono la vita quotidiana degli iracheni, con un
bilancio da guerra civile: quasi tremila morti in quattro mesi e circa
settemila feriti, in maggioranza tra la popolazione civile. Tra la gente
che frequenta le sale da tè, le piscine, i mercati, o che va ai
funerali o alla moschea. Una mattanza a cui la stampa dedica poche righe
ed è sottovalutata, se non addirittura ignorata, anche dalle stesse
istituzioni irachene.
Sul sito Middle East Online, W.G. Dunlop fa notare che dopo quattro
giorni di fila di attentati, la settimana scorsa, in cui hanno perso la
vita trenta persone, i più importanti leader politici e religiosi hanno
semplicemente taciuto. Il presidente del Parlamento, Osama al Nujaifi,
ha rilasciato una dichiarazione di condanna asettica e il premier Nuri
al Maliki ha semplicemente glissato, congratulandosi invece con le Forze
armate per la vittoria sull'Oman nel campionato di calcio per militari.
Come se le bombe e gli attacchi, perpetrati da gruppi armati sciiti e
sunniti, siano un'occorrenza inevitabile.
Lo scontro è di stampo confessionale, tra i due islam che ormai si
confrontano con le armi nell'area mediorientale.
In un Paese
profondamente diviso al suo interno tra gli sciiti, la minoranza sunnita
e i curdi, basato su una sorta di lottizzazione confessionale del
potere e fortemente influenzato dalla perdurante crisi della vicina
Siria, con cui l'Iraq è spesso messo a confronto per la similarità della
sua composizione etnica. Un paragone che prelude a scenari da guerra
regionale.
Martin Kobler, rappresentante speciale del segretario generale Onu in
Iraq, ha avvertito che i conflitti in Siria e in Iraq stanno
convergendo: «Questi Paesi sono interrelati e l'Iraq è la faglia tra il
mondo sciita e quello sunnita. Quello che accade in Siria ha un impatto
anche in Iraq, alimentandone l'insicurezza, che ha implicazioni sempre
più settarie».
A questa complessità regionale e interna si somma una crisi politica
(quattro ministeri sono vacanti) che prima ha lasciato il Paese senza
governo per circa nove mesi e poi lo ha fatto piombare nell'immobilismo,
determinato da un settarismo diffuso pure tra gli uomini
dell'amministrazione. Nell'ultimo anno non sono state varate leggi
rilevanti e lo Stato ha difficoltà a garantire la sicurezza dei suoi
cittadini.
Il giornale panarabo al Quds al Arabi, fa notare che i
politici iracheni tendono a escludere o marginalizzare i loro
avversari, che non c'è un'agenda politica basata sul dialogo e
sull'inclusione dei rivali, mentre una corruzione diffusa e la
drammatica carenza di servizi - acqua, sanità, elettricità - affligge la
popolazione. E polarizza lo scontro tra le comunità che si accusano a
vicenda di disservizi e discriminazioni. In questo clima è aumentata la
presenza di armi e di gruppi armati, tra cui quelli legati ad al Qaeda,
che con ogni probabilità sono dietro alcuni degli attacchi dinamitardi
coordinati che dall'inizio nel mese di luglio hanno fatto 370 morti.
La soluzione è nel dialogo, suggeriscono gli analisti. Ancora Kobler
sottolinea che l'Iraq deve percorrere la strada delle riforme e del
rafforzamento delle istituzioni democratiche, per non restare
invischiato nel pantano delle violenze settarie. Si deve agire per
includere le minoranze nel dialogo politico, insiste il giornale al Quds
al Arabi, ed evitare l'ambiguità che sinora ha caratterizzato i
processi democratici e costituzionali: «Quello che maggiormente manca
all'Iraq è la capacità di costruire uno Stato in cui si possano
riconoscere tutti i cittadini, al di là delle differenze religiose».
Altrimenti la guerra civile è dietro l'angolo.
Fonte
Guerra civile dietro l'angolo? Piaccia o no, l'Iraq è preda della guerra civile da un decennio ormai, si ringrazino gli americani e fila di loro leccapiedi per questo.
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